Il dato sull’andamento del Pil in Italia del terzo trimestre è una brutta notizia ed è preoccupante per il Governo italiano. La pubblicazione segnala un’economia ferma in cui il Pil non cresce più mentre aumentano i timori per il rallentamento della crescita globale, per la normalizzazione della politica monetaria della Fed e per le tensioni che le trattative sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea potrebbero causare. La cattiva notizia per il Governo è che nel terzo trimestre è successo “qualcosa” in Italia che, per esempio, non è successo in Francia.



Ci spieghiamo meglio. Se confrontiamo l’evoluzione trimestrale del Pil di Italia e Francia nel secondo e nel terzo trimestre notiamo che nell’ultimo periodo le due performance si sono disallineate rispetto a quanto si era visto fino al secondo trimestre. Un’evoluzione che merita una riflessione perché, in teoria, le due economie a parità di circostanze esterne non avrebbero avuto ragioni per “disallinearsi”. È vero che l’economia globale rallenta per tutti, ma per qualche ragione la crescita in Italia si sta fermando prima.



Una possibile spiegazione è che da maggio 2018 il credito alle famiglie e alle imprese italiane è cominciato a diminuire e in maniera anche abbastanza veloce. La ragione è che l’aumento dello “spread” costringe le banche a restringere il credito iniettando “austerity” nell’economia italiana. Questa è una brutta notizia perché lo spread nelle ultime settimane è continuato a salire. La ragione della salita dello spread non è il deficit al 2,4% in quanto tale, un valore comunque contenuto sia rispetto alla storia italiana degli ultimi dieci anni (è il più basso dal 2008), sia perché il saldo primario italiano permetterebbe al Governo italiano di spendere quei soldi. La ragione ultima è nello scontro politico tra Italia e Unione europea in cui l’Italia perde lo scudo della sua banca centrale e diventa terreno di caccia per gli speculatori.



Su questa questione vorremmo citare un estratto dell’ultimo report di S&P sui titoli di stato italiani: “I nostri rating sono impattati dalla limitata flessibilità monetaria dell’Italia. In questo contesto consideriamo che la flessibilità fiscale italiana è più limitata rispetto ad altre economie del G7…”. È la prima frase che certifica quello che dovrebbe essere l’ovvio e cioè che l’Italia è un Paese dalla sovranità limitata e che si trova esposta alla tempesta della speculazione appena dissente dalle regole dell’Unione europea.

La questione che ci si dovrebbe porre oggi è questa: se un Governo monocolore Pd facesse il reddito di cittadinanza come sembrava proporre su queste colonne Boccia insieme a una riduzione fiscale “l’Europa” come reagirebbe? Se il Governo italiano tirasse dritto rispetto a queste proposte evitando l’aumento automatico dell’Iva l’Italia avrebbe un problema con la sua banca centrale? Non sono dettagli perché fare proposte “contro” le regole europee, come nella sostanza appaiono, è un mestiere molto difficile per qualsiasi Governo se il giorno dopo quelle proposte tutti, sui mercati, capiscono che il debito italiano è senza rete di sicurezza.

A questo proposito segnaliamo che qualsiasi deviazione dal Fiscal compact da parte del Governo italiano è un problema in Europa per almeno due ragioni. La prima è che la periferia deve contrarsi e rimanere in deflazione per fare stare in piedi l’Europa con il surplus commerciale tedesco che non viene redistribuito. Se la periferia non si contrae il cambio si rivaluta e il modello economico tedesco va in crisi. La Germania potrebbe e dovrebbe, secondo le regole europee, reinvestire il proprio surplus ma non lo fa e questo è devastante per la tenuta dell’Unione almeno quanto il deficit italiano. Su questa questione diciamo solo che se l’obiezione fatta all’Italia è che non ha ridotto il proprio debito quando l’economia andava bene, che dire della Germania che quando l’economia andava bene e i tassi erano bassissimi ha continuato a non investire il suo surplus in Europa? Il secondo atteggiamento è incomprensibile almeno quanto il primo.

La seconda questione è che il fatto che il debito italiano sia alto non può, ovviamente, essere un’obiezione rispetto a politiche anticicliche. Se, all’interno di un’unione monetaria in cui manca qualsiasi meccanismo di distribuzione un Paese che per storia o per demeriti ha un debito alto deve fare politiche meno anticicliche in fase di recessione o addirittura procicliche e restrittive significa che si pongono le basi non solo per rendere strutturali le differenze, ma per ampiarle a dismisura.

Il Governo italiano si dovrebbe quindi preoccupare degli ultimi dati sul Pil che paradossalmente possono essere contrastati, sempre ammesso che lo spread non esploda, proprio da quelle politiche anticicliche che sono in manovra e che dovrebbero arrivare, soprattutto lato investimenti, più prima che dopo. Se l’economia italiana si è ammalata di austerity via restringimento del credito delle banche come conseguenza dello spread la soluzione è fare politiche anticicliche ed espansive intelligenti per pompare nell’economia quelle “risorse” che lo spread sta togliendo.

Sullo sfondo rimane la questione di una costruzione, quella europea, con delle regole che non solo la stanno distruggendo, ma la stanno frantumando sotto spinte centrifughe sempre più forti e “convinte” perché quelle regole nei fatti lavorano per ampliare a dismisura le differenze e non per ridurle. Se l’Europa non vuole morire o far morire l’Italia su queste questioni serve un cambiamento rapido e radicale soprattutto se ci aspetta una recessione. Imporre l’austerity (si pensi all’aumento dell’Iva) a un Paese che ha perso il 25% della capacità produttiva (hanno chiuso tantissime imprese), ha la disoccupazione al 10%, con alcuni dati sulla disoccupazione giovanile drammatici, sarebbe un errore tragico; per permettere all’Italia di riprendersi l’aiuto attivo della Bce è una condizione necessaria perché altrimenti lo “spread” distrugge tutto. Anche, ripetiamo, se a fare politiche espansive è un Governo non “populista” che decide di non svendere l’economia italiana.

Se invece rimaniamo ancorati a un’idea per cui l’Europa è il mezzo con cui i Paesi europei si fanno la guerra, si pensi all’Italia costretta a farsi la guerra in Libia con lo spread a 500, allora meglio chiuderla subito prima che si facciano altri, incalcolabili, danni.