I dati sull’economia italiana delle ultime settimane, incluso l’indice PMI servizi uscito ieri, segnalano una situazione di forte deterioramento e sembrano prospettare una recessione. Cosa sta succedendo? Seguendo l’evoluzione del PMI si può notare una brusca inversione di tendenza nel primo trimestre del 2018 che poi si è aggravata durante l’estate. L’inversione di tendenza, primo trimestre 2018, è coincisa con i primi segnali di rallentamento dell’economia globale e in particolare cinese misurabile, per esempio, con il rallentamento dei commerci mondiali. Il rallentamento dell’economia globale colpisce i due principali Paesi esportatori d’Europa e cioè la Germania e l’Italia; l’Italia però soffre di più per il ruolo particolare che la sua industria occupa nell’economia europea e soprattutto per com’è integrata con l’industria tedesca. Il sistema produttivo italiano ha un ruolo chiave come fornitore dell’industria tedesca ed è questa la ragione per cui il rallentamento globale e quello dell’economia tedesca si scarica più violentemente e più velocemente sull’economia italiana; non ne stiamo facendo una ragione di buoni e cattivi, ma è la normale dinamica che si osserva in fasi di rallentamento in cui la “supply chain”, i fornitori, soffrono sempre prima e di più. In Europa, in America, in Asia e in qualsiasi settore.



In questa situazione di rallentamento globale l’Italia da maggio subisce un rialzo dello spread e un restringimento del credito alle imprese e un clima politico interno ed esterno, nei rapporti con l’Europa, che non aiuta a dare alle imprese il bene primario di una ragionevole certezza. Si pensi, per esempio agli effetti sulla propensione agli investimenti di una norma come la cancellazione della prescrizione oppure i timori derivanti da uno scontro aperto con la Vommissione europea e con la banca centrale italiana, la Bce.



Osserviamo quindi un rallentamento globale e l’introduzione dei dazi in America con i loro effetti sull’industria globale che si sposta e muta producendo scossoni che sicuramente non fanno bene all’economia. Si pensi a questo proposito che l’America oggi dipende dalla Cina persino per una parte della componentistica militare; la ridefinizione dei rapporti commerciali tra Usa e Cina appare inevitabile e il supporto per una reindustrializzazione dell’America è molto più bipartisan di quanto spesso si dica in Italia. Le sfide al modello economico europeo non sono un fenomeno passeggero e impongono un cambiamento, più domanda e investimenti interni, significativo.



Torniamo all’Italia. Le regole europee, con una manovra allo 0,8%, l’aumento dell’Iva sono ovviamente fiscalmente restrittive e in una fase di rallentamento globale hanno effetti molto prevedibili su un’economia come quella italiana. Si presenta uno scenario da tempesta perfetta che potremmo riassumere in questo modo. L’Italia con un’economia distrutta da due crisi e un debito al 130% del Pil avrebbe bisogno di politiche monetarie espansive, ma la Bce sta rallentando. L’Italia ha più bisogno di queste politiche della Germania. Nell’attuale dibattito politico europeo una continuazione di queste politiche verrebbe considerato come un regalo alle cicale italiane da parte delle formiche tedesche. L’Italia, secondo le regole europee, dovrebbe fare un deficit che è meno della metà di quello francese e avrebbe possibilità nulle o quasi di controbilanciare gli effetti di un rallentamento globale. L’Italia per assicurarsi l’aiuto della Bce dovrebbe fare politiche restrittive e “fare austerity”.

Riassumiamo: il rallentamento globale colpisce l’Italia in modo molto violento sia per le particolari condizioni dell’economia italiana, un’economia esportatrice con tanto debito, sia perché le regole europee le consentono una limitatissima se non nulla capacità di fare politiche anticicliche e anzi la obbligano a quelle che nei fatti sono politiche pro-cicliche, in senso restrittivo, in una fase di forte stress. Quello stesso rallentamento colpisce la Germania in modo molto meno violento perché c’è una capacità molto maggiore di fare politiche anticicliche e perché il debito è più basso.

E quindi arriviamo alla fine. Oggi gli investitori cosa anticipano? Oggi anticipano che le politiche restrittive che dovrà fare l’Italia per assicurarsi la coperta della Bce renderanno, via distruzione dell’output e dell’industria causa austerity, il suo debito meno sostenibile di prima. È una previsione facilissima semplicemente perché è la ripetizione di quanto successo nel 2012 quando la recessione economica italiana causata dall’austerity ha non solo prodotto la rottura di trend decennali, come quello che ci vedeva fare, più o meno, come la Francia, ma ha fatto esplodere il debito su Pil. E siccome il debito diventa più insostenibile via distruzione dell’economia allora gli investitori chiedono un rendimento più alto. Lo chiedono proprio per gli effetti prevedibilissimi che avrà l’austerity in Italia in una fase di rallentamento globale. Se l’Italia potesse fare politiche anticicliche e fare deficit in questa fase il suo debito sarebbe molto più sostenibile perché l’industria rimarrebbe intatta. Chi pensa che in questa situazione gli investitori si convincano per uno zero virgola di deficit in meno non sa di cosa parla. Quello che fa davvero paura è l’impatto di una recessione a velocità doppia come conseguenza di austerity e rallentamento globale sull’economia italiana che è la garanzia ultima del debito italiano.

Il rallentamento globale che verrà è il più telefonato della storia mondiale e da mesi occupa le prime pagine dei media “main stream”. Ieri è stato “chiamato” persino da Jamie Dimon in diretta sulla CNN…In tutto il mondo, dall’America al Giappone passando per la Cina, i governi si stanno inventando politiche monetarie o fiscali o tutte e due espansive. In Europa si inietta un’austerity che ha effetti chiaramente asimmetrici a seconda di dove sia applicata. La domanda a questo punto per l’Europa è: cui prodest? Il rispetto di regole assurde che nessuno al mondo ha mai rispettato e che non hanno alcuna validità scientifica, perché il 3,0% e non il 2,9% o il 3,1%?, porterà sicuramente al declino l’Europa e forse alla distruzione dell’Italia con una crescente pressione a uscire da un progetto che senza modifiche è mortale per l’economia italiana e che non dà futuro ai cittadini europei. Ci rendiamo conto che nel frattempo ci si possa spartire l’Italia, però poi non stupiamoci che l’Italia tradisca l’Europa per mettersi con gli americani che ovviamente, anche loro, fanno i loro esclusivi interessi.

Il Governo italiano dovrebbe smetterla di contribuire con baruffe quotidiane su questioni vitali, come la certezza di un processo che non sia senza fine, a un clima di incertezza che è già massimo, dovrebbe chiarire più prima che dopo cosa si intende fare per le imprese e dovrebbe, più prima che dopo, mettere in atto quelle politiche anticicliche che sono oggi più che mai necessarie e senza le quali non c’è futuro. Che l’Europa si ostini in questo clima internazionale con una politica economica assurda è folle. E ci viene il sospetto che oltre all’ottusità di una burocrazia che ha perso il contatto con la realtà ci sia la volontà di impedire una ridefinizione dei rapporti di forza in Europa perché esattamente come l’austerity ha effetti asimmetrici in Europa è vero anche il suo contrario. E cioè la “non austerity” premia l’economia scassata da due crisi dell’Italia e il modello economico prodotto da tre decenni di svendite ed Europa molto più che gli altri Paesi. E quindi lo scontro con l’Europa non è destinato a scemare; l’Italia dovrebbe avere l’intelligenza di cercarsi degli alleati veri e, se possibile, di rendersi il più credibile possibile sulla violazione delle regole europee.