Creare lavoro è possibile solo con la circolazione del capitale e la sua valorizzazione. Non ci sono altre vie. La moneta non basta. Il monetarismo è stata la grande illusione degli ultimi quarant’anni. Ha accompagnato il sorgere, anzi, il ri-sorgere della religione liberista, ossia dell’autoregolazione benefica del mercato che si è via via accompagnata alla religione dei diritti senza obbligazione. Due liberismi che hanno in comune l’assenza di autofondazione morale. Si fondano infatti sul desiderio narcisistico che si autolegittima attraverso il mercato che è lo spazio del consumo.



La deflazione secolare è il frutto dell’intreccio dei due liberismi: inverati senza legittimazione democratica in una Europa né confederale, né federale, ma a funzionalità per sottrazione di sovranità nazionali, regolata dai rapporti di poteri nazionali — lo si ricordi: nazionali — che si riflettono nelle direttive e nella politica micro (vigilanza bancaria) e macro economica (debito alias Fiscal compact e investimenti), implementate dalla gigantesca tecnocrazia oligarchica europea a legittimazione di seconda istanza e per via di trattati tra nazioni inegualmente potenti e quindi alcune dominate e altre dominanti (Germania, Francia, Olanda).



La manovra dell’attuale Governo italiano si annunciava come la cosiddetta fine del muro di Bruxelles. Come disse Paolo Savona, quella fine poteva e può essere l’inizio di una rinnovata Europa: quella dei fondatori, ossia sorretta dalle radici giudaico-cristiane e dalla politica economica non della deflazione disgregatrice, bensì dell’inclusione sociale fondata sul lavoro e sull’educazione. Questo implica una politica di investimenti pubblici e privati da cui scaturisce una crescita fondata sull’elevazione del tasso medio di profitto per gli investimenti sia privati che pubblici e conseguentemente per le nuove imprese pubbliche e private.

Di qui la crescita più rapida di quanto non si possa ottenere da una lotta alla povertà con il reddito di cittadinanza (di fatto un prolungamento delle di già operanti misure del precedente Governo) e una negoziazione con l’oligarchia tecnocratica europea non sui livelli di debito generati da tale politica di helicopter money, bensì da politiche economiche di struttura per difendere e rafforzare la borghesia nazionale piccola e media combattendone il disfacimento. Ciò implica sconfiggere culturalmente l’esoterismo anti-produttivo di governo e non di governo che sta paralizzando e disfacendo lo Stato, confondendo altresì la divisione dei poteri in un giustizialismo robespierriano pericolosissimo per la libertà personale e d’impresa.

La grande recessione mondiale sta nuovamente avverandosi (ne abbiamo avuto conferma anche con il dato sul Pil negativo nel terzo trimestre per il nostro Paese). Se s’intrecciasse con la deflazione tedesca che domina l’Europa sarebbe per l’Italia (drammaticamente sanzionata dalle oligarchie dominanti dell’Ue) dei produttori che ha nel Governo i suoi ultimi ma forti rappresentanti, per l’Italia del lavoro e dell’impresa sarebbe la fine! È un appello forte che lanciamo al ministro Tria: non cada in un errore che già Tsipras ha compiuto! Sarebbe una tragedia! Subito le opere pubbliche! Tutte e di più!

Al centro l’impresa e il lavoro produttivo senza dimenticare naturalmente il sostegno per coloro che il lavoro lo cercano e per i quali occorre predisporre le politiche a ciò idonee, ma si negozi per la crescita certa che è il sostegno ai produttori. Di qui le basi per una nuova Europa, forti del legame atlantico che è la nostra stella polare. Agire subito a qualunque costo: anche quello di ricercare per tale scelta una nuova e forte legittimazione popolare.