Martedì Giuseppe Conte dovrebbe incontrare Jean-Claude Juncker e si capirà quanto Governo e Commissione europea siano vicini a un accordo per evitare la procedura di infrazione. Da parte degli esponenti dell’esecutivo sembra però essere emerso chiaramente, dopo il vertice di ieri, che il deficit/Pil per il 2019 non sarà portato sotto la soglia del 2%. Basterà questo per raggiungere un’intesa e soprattutto per dar corpo a una manovra in grado di evitare una recessione di cui si comincia a parlare? Lo abbiamo chiesto a Marco Fortis, economista vicepresidente della Fondazione Edison.
Professore, il 2% di deficit/Pil indicato dal Governo sarebbe una soglia adeguata per riuscire a evitare la procedura di infrazione?
Difficile dirlo, bisognerebbe capire se negli incontri finora intercorsi tra rappresentanti del Governo e della Commissione c’è stato già un qualche tipo di accordo sulla soglia di deficit che può consentire una via d’uscita al cul-de-sac in cui si è finiti. Se si sono accordati sul fatto che il 2% può salvare la faccia a entrambi, è probabile poi che questa soglia venga considerata adeguata.
Non le sembra strano che la trattativa riguardi solo il deficit del 2019 mentre resterebbero invariati quelli per il 2020 e il 2021?
Mi pare che ambo le parti non abbiano alcun interesse a esacerbare una situazione in cui non è chiaro cosa succederà tra due anni, figuriamoci tra tre. Ho l’impressione che l’inconfessato desiderio del Governo e della Commissione sia di arrivare interi al primo guado da affrontare, rappresentato dalle elezioni europee. Per questo si darebbe vita a un accordo di breve periodo su una manovra che sia palatabile per l’elettorato delle forze politiche che sostengono l’esecutivo e per Bruxelles, che non deve far vedere che manda all’aria tutte le regole del Fiscal compact, di fatto però facendolo.
Dunque la Commissione non farebbe rispettare le regole a cui richiama il nostro Paese…
Se si arrivasse a un accordo sul 2% ci troveremmo di fronte a due clamorosi arretramenti. Da parte del Governo, con la presa di coscienza che ormai la Nota di aggiornamento al Def è superata, visto che prevedeva una crescita del Pil dell’1,5% nel 2019, e da parte della Commission europea, visto che di fatto del Fiscal compact non vi sarebbe più traccia.
Nel caso si arrivasse a una manovra con il deficit al 2%, questa sarebbe in grado di evitare il rischio recessione di cui si comincia a parlare?
Non credo proprio, perché la manovra cerca di aumentare la spesa pubblica con interventi che non spingono i consumi. Chi lascerà il lavoro usando Quota 100 non guadagnerà come prima, dunque non avrà potere di acquisto più elevato, e la platea di chi prenderà reddito o pensione di cittadinanza non mi sembra così dirompente da permettere una ripresa dei consumi rispetto al calo visto nel terzo trimestre. E poi le imprese, di fronte a uno scenario così incerto, in cui si cerca di arrivare vivi alle elezioni europee, non credo che avranno più l’entusiasmo con cui negli ultimi tre anni hanno fatto crescere gli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto del 30%. Non abbiamo più le condizioni per cui l’economia privata era fondamentalmente impostata su un orizzonte che poteva permettere una crescita annua superiore all’1%.
Sembra però ci sia l’idea di aumentare gli investimenti pubblici.
È vero, ma le cifre di cui si sta parlando sono piuttosto modeste. Anche se si arrivasse a un deficit/Pil al 2% e si raggranellassero 3-4 miliardi per fare più investimenti pubblici, avremmo comunque una manovra espansiva che produce una recessione.
Una definizione paradossale!
Sì, è paradossale. Ma lo stesso ministro Savona, dopo aver sostenuto che il Pil del 2019 sarebbe cresciuto dell’1,5%, ora parla di rischio recessione. Abbiamo quindi una Nadef e una Legge di bilancio basate su previsioni in cui non crede nemmeno più il Governo. In questa manovra non c’è niente che possa evitare non dico la recessione, ma nemmeno il rallentamento molto marcato dell’economia dovuto al fatto che è stato spento l’elemento che più aveva contribuito alla crescita negli ultimi tre anni
Ovvero?
C’è stata una sfiducia, causata dalle mosse del Governo, che è calata come una cappa sul sistema economico, e sono stati spenti i due motori della crescita: un po’ di fiducia dei consumatori, che erano tornati a consumare, e gli investimenti delle imprese, che ora si sono fermate per capire cosa succederà.
Dunque l’Italia non ha “frenato” per via del rallentamento del commercio mondiale?
No, perché se guardiamo il contributo dell’export al Pil, nel terzo trimestre è stato ancora positivo. Per la Germania invece è stato negativo e dunque si può dire che l’economia tedesca sta sentendo gli effetti del rallentamento del commercio mondiale. Noi potremmo vederli dai dati del quarto trimestre, visto che le imprese italiane che fanno componentistica per quelle tedesche avranno subito un calo degli ordini. Potremmo quindi ritrovarci con un’ulteriore doccia fredda per il Pil italiano, con un rallentamento dell’export intracomunitario. Non abbiamo di fronte uno scenario molto roseo. Probabilmente è anche per questo che il Governo ha capito che deve fare un cambiamento rapidissimo nella manovra.
(Lorenzo Torrisi)