Ha destato una certa preoccupazione il calo della produzione industriale della Germania, considerata la locomotiva d’Europa. Si è trattato dell’ennesimo dato negativo che non lascia ben sperare per l’economia e dell’Eurozona e dell’Italia per questo 2019. Anche Mario Baldassarri, economista e Presidente del Centro Studi Economia Reale, non è molto ottimista: «In base al rallentamento del commercio mondiale e delle principali economie europee, con in testa la Germania, le previsioni a oggi ragionevoli parlano di una crescita dell’Italia per quest’anno pari allo 0,6%. Su questa crescita tendenziale va poi valutato l’impatto della manovra così com’è uscita dal Parlamento e concordata con la Commissione europea».



Qual è la valutazione in merito?

La manovra, che è piccola nella quantità e pessima nella qualità, implica una spesa corrente minore rispetto a quella prevista inizialmente dal Governo: basti pensare che per reddito di cittadinanza e Quota 100 vengono stanziati 9 miliardi contro i 16 di partenza. Non solo, rispetto a quanto aveva previsto inizialmente il Governo ci sono anche più tasse e meno investimenti. In sintesi, l’impatto della manovra se tutto va bene è pari allo 0%, ma se valutato più attentamente è -0,1%. Dunque la previsione di crescita ragionevole per quest’anno è tra 0,5% e 0,6%.



Un livello quindi inferiore all’1% ipotizzato dal Governo. Ciò cosa comporta?

Bisognerà rivedere tutti i parametri stimati sia in termini reali, come per esempio il livello di disoccupazione, che di finanza pubblica. È evidente che per come stanno le cose il deficit sarà al 2,4% del Pil e non al 2,04%. E l’anno prossimo andrà sopra il 3%. Non bisogna poi dimenticare che nella manovra ci sono le clausole di salvaguardia sull’Iva per 23 miliardi nel 2020 e per 28 miliardi nel 2021. Il che vuole dire che le previsioni di crescita per il 2020 e il 2021 sono anche loro intorno allo 0,5%. Questi andamenti diverranno via via sempre più noti nei prossimi mesi, da qui a maggio.



Proprio prima del voto…

Esattamente. Da qui la scommessa della maggioranza: cercare di andare all’incasso dei voti sperando che non emerga nel frattempo questa realtà molto seria.

Il deficit sarà più alto di quello concordato con la Commissione europea. Cosa succederà a quel punto?

Bruxelles ha spiegato molto chiaramente che monitorerà mese per mese i nostri conti. Ciò vuol dire che da qui a maggio può riemergere il rischio di un’infrazione per eccesso di debito e di deficit. La Commissione potrebbe anche far finta di non vedere nulla e lasciare la palla alla nuova Commissione che nascerà dopo il voto. Ma anche ammettendo che Bruxelles finga di non vedere la realtà, i mercati finanziari credo che la vedranno al di là di qualunque scadenza elettorale.

Con quali conseguenze?

Gli investitori potrebbero certamente continuare a comprare titoli di stato italiani, ma a tassi più alti. Lo spread quindi si alzerà e sappiamo che ogni suo aumento porta a una diminuzione del valore dei titoli di stato detenuti dalle banche. A quel punto o si ricapitalizzano o riducono il credito. La seconda opzione mi sembra più probabile. Tuttavia se ciò avvenisse il rallentamento dell’economia sarebbe ancora più marcato e potremmo rischiare di crescere meno dello 0,5%.

C’è da dire che a quel punto la nazionalizzazione di Carige diventerebbe quasi una strada obbligata…

Non so se sia la strada obbligata o no. Mi chiedo però se ci sia oggi un soggetto privato, un’altra banca, disponibile a mettere i soldi in Carige e quindi a evitare una sua nazionalizzazione. Tenendo anche conto che i grandi gruppi bancari potrebbero trovarsi nella condizione di dover pensare più al loro livello di patrimonializzazione che non ad assorbire Carige.

In questi giorni abbiamo visto alcune fibrillazioni all’interno del Governo: secondo lei rischia di cadere?

La convenienza politica di Lega e M5s è quella di andare alle europee, magari accentuando il loro conflitto, ma non facendo cadere il Governo. Queste tensioni, che sono palesemente destinate ad aumentare da qui a maggio perché i due partiti si stanno preparando alle elezioni, oltre all’obiettivo di guadagnare pezzi di elettorato usano argomenti e tematiche che chiamerei “armi di distrazione di massa”.

In che senso?

Quando assistiamo a una discussione come quella che abbiamo avuto nei giorni scorsi su 49 migranti è chiaro che si vuole cercare di non far percepire ai cittadini che stiamo andando in recessione. O non fargli pensare che reddito di cittadinanza e Quota 100 alla fine saranno briciole. Questi conflitti dei soci di maggioranza hanno quindi due obiettivi: scontrarsi per cercare di sottrarre voti all’altro e la ricerca comune di strumenti di distrazione di massa.

Secondo lei c’è la possibilità che comunque la situazione dell’economia, o le conseguenze del suo rallentamento, possano diventare evidenti prima di maggio?

Ci vorrebbe una sfera di cristallo per rispondere. Io dico che c’è una probabilità, ma è evidente che se la Commissione europea chiudesse gli occhi, le agenzie di rating non dicessero niente e i mercati finanziari in qualche modo si barcamenassero, con uno spread che restasse comunque sotto i 350 punti base, a maggio ci si potrebbe anche arrivare. Attenzione però che questi fenomeni sono come una palla di neve che rotola in cima alla montagna e che può diventare una valanga. Difficile dire quanto tempo ci può volere perché si formi la valanga. Se parte lo spread e torna a sfiorare i 400 punti base bisognerà seriamente decidere cosa fare.

(Lorenzo Torrisi)