Germania e Italia sono prima e seconda potenze manifatturiere ed esportatrici dell’Ue, ai primi posti nel mondo. L’export, calcolato in modi che ne includano con più precisione l’indotto, contribuisce per circa il 52% alla formazione del Pil in Germania e tra il 35% e il 40% in Italia. I due sistemi industriali sono molto interdipendenti in alcuni settori e ciascuno ha come raggio il mercato globale. La pesante contrazione del Pil in Germania e la recessione in atto in Italia sono principalmente dovuti, al netto degli errori peggiorativi fatti dal Governo italiano, alla grave crisi dell’economia cinese, che ha ridotto l’export tedesco con impatto su quello italiano, e, soprattutto, alla “guerra dei dazi” dichiarata dall’America contro Cina e Germania che ha destabilizzato l’intero mercato mondiale nel 2018 riducendo gli investimenti per l’export in previsione di una caduta della domanda globale.



La scorsa settimana questo scenario negativo si è invertito, rendendo più probabile una ripresa forte dell’export nel 2019. La Cina si è arresa al diktat di Trump, impegnandosi ad azzerare il suo surplus negli scambi con l’America, quindi riducendo il deficit commerciale statunitense in misura eguale, accettando di importare senza dazio (o quasi) più beni americani. Venerdì scorso la Commissione europea ha formalizzato l’avvio di un trattato bilaterale di libero scambio con gli Stati Uniti basato sulla simmetria commerciale. Il perimetro è selettivo e riguarda solo alcuni settori industriali, lascia in sospeso quello dell’auto ed esclude l’agricoltura perché in questa materia le aperture non avrebbero consenso nell’Ue.



Il punto: per salvare l’export verso l’America e, indirettamente, nel resto del mondo, l’Ue dovrà accettare più importazioni e concorrenza dall’America stessa. Sarà un problema? Per Germania e Italia certamente no, perché la loro struttura industriale potrà compensare il minor surplus verso l’America con uno maggiore verso un mercato globale che resta vitale, se Cina e America confermeranno l’accordo. Inoltre, tale tipo di trattato riduce i costi di internazionalizzazione per le piccole imprese italiane, favorendole. Ma entro l’Ue la Francia, poiché meno forte industrialmente, più protezionista e con la volontà di guidare una “sovranità europea” post-atlantica, potrebbe percepire svantaggi e porre il veto. Ciò induce Italia e Germania con interessi economici e pro-atlantici convergenti a collaborare per evitarlo.



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