Il Fondo monetario internazionale, al pari della Banca d’Italia, nell’aggiornamento del World Economic Outlook, ha tagliato allo 0,6%, dall’1% di ottobre 2018, le stime di crescita per l’Italia nel 2019. Non solo: la situazione finanziaria del nostro Paese viene additata tra i principali fattori di rischio globali, assieme a una Brexit senza accordo, a una frenata peggiore del previsto in Cina, a un’escalation delle guerre commerciali e a uno “shutdown” prolungato negli Stati Uniti. “Gli spread italiani – si legge al primo punto della sezione sui rischi globali del Fmi – sono scesi dal picco di ottobre-novembre, ma restano alti. Un periodo prolungato di rendimenti elevati metterebbe sotto ulteriore pressione le banche italiane, peserebbe sull’attività economica e peggiorerebbe la dinamica del debito”. Siamo davvero un rischio per l’economia globale? “Le parole chiave per capire l’economia oggi – risponde Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Roma Tor Vergata – sono cooperare, investire in formazione e competenze, faticare. L’Italia invece si sta muovendo su una via del conflitto e del sovranismo. E il dato più importante, sottolineato proprio dal Fmi, è il calo dell’1% del Pil mondiale. Una frenata che spiega una legge economica molto importante”.
Quale?
Quando, anziché cooperare, si cominciano a creare conflitti, come la guerra dei dazi, la torta della ricchezza che si vorrebbe dividere si rimpicciolisce. E oggi, appunto, la crescita mondiale attesa per quest’anno si è ridotta di un punto percentuale rispetto alle previsioni per via della guerra commerciale. Questo è il primo problema.
In questo contesto perché l’Italia sta diventando il problema?
Perché la cultura economica che sta emergendo nel nostro Paese è completamente sbagliata, anche considerando un ulteriore aspetto. E’ stato, infatti, detto più volte che il lavoro sta finendo e quindi che la cosa più importante da fare diventa la redistribuzione.
E invece?
Il lavoro non sta finendo affatto. Secondo gli ultimi dati del Rapporto mondiale sul lavoro, dal 2000 a oggi, quindi prendendo in considerazione anche gli anni della crisi finanziaria globale, nel mondo sono stati creati 500 milioni di nuovi posti di lavoro e l’anno scorso l’aumento, sempre a livello globale, è stato di 40 milioni. Quindi la favola della tecnologia che distrugge il lavoro è una sciocchezza. La verità è che l’Italia è il Paese che meno di tutti gli altri ha capito come si sta nella globalizzazione.
Come ci si dovrebbe stare?
La globalizzazione è un albero pieno di frutti, ma per coglierli ci vuole la scala delle competenze, della formazione e dell’istruzione. Non capire questo è un grave errore. Il nostro, invece, è un Paese in cui si continua a parlare di rendite, di pensionamenti anticipati e misure simili, il che non serve a renderci un Paese proiettato verso il futuro. I nuovi lavori non li conquisteremo certo così. Il problema, alla fine, oltre che strettamente economico, è anche culturale. Impostare le politiche economiche su queste direttrici vuol dire destinarsi alla sconfitta.
Reddito di cittadinanza e quota 100, che sono diventati legge, non sono le risposte giuste?
Diciamo così: ora che il reddito di cittadinanza è stato approvato, proviamo a trasformarlo in un’opportunità.
Come si può fare?
Il punto chiave è la formazione, che aiuta le persone a reinserirsi nel mercato del lavoro. E’ un fattore dirimente, perché se c’è una formazione qualificata, che impegna davvero le persone, tutto ciò tiene lontani i furbi o chi vorrebbe cumulare il reddito di cittadinanza con il sommerso. Dunque, al reddito di cittadinanza dovrebbe poter accedere solo chi usa il tempo per riqualificarsi. Fermo restando che, a mio avviso, la misura più utile oggi è puntare le risorse a disposizione per incentivare gli investimenti.
In effetti sugli investimenti il bilancio è davvero deficitario, non crede?
Non è che manchino completamente, una quota è stata confermata, ma l’enfasi su Industria 4.0 era ciò che stava aiutando davvero il Paese a crescere. E’ giusto prevedere delle reti di protezione per redistribuire ricchezza, una scelta eticamente importante, ma il problema è che si può redistribuire solo ciò che si crea. Se però si comincia a redistribuire mentre si crea di meno, i problemi diventano seri.
Lo stesso Fmi ha tagliato le stime di crescita al +0,6%, come Bankitalia. Eppure il governo resta ottimista, crede in una crescita più robusta, convinto che alla fine le stime saranno sbagliate perché entro fine anno qualcosa succederà. Ma guardandosi in giro, dalla Brexit alla frenata cinese, dalle tensioni commerciale al lungo “shutdown” americano, non c’è da stare troppo allegri. Da dove potrebbero arrivare notizie positive?
Bisogna smetterla con la logica del conflitto, della separazione, che è la stessa logica di Trump, della Brexit – che senza accordi si prevede farà scendere il Pil britannico del 9% – e del nostro sovranismo. Sono tre esempi di come il conflitto determini la riduzione della torta complessiva. Speriamo che queste terapie siano di breve durata.
Secondo lei, l’Italia andrà incontro alla necessità di una manovra correttiva?
Questo dipenderà molto dalla politica e dai rapporti tra l’Unione europea e l’Italia. In questo momento la Ue non ha interesse ad alzare il livello del conflitto, prima delle elezioni di maggio, ma dall’altra non può nemmeno perdere la faccia. Alla fine si cerca sempre un compromesso, nel senso che la Ue poi chiude un occhio, come successo anche con quest’ultima manovra.
C’è chi dice che la Legge di bilancio del governo, con Rdc e quota 100 in testa, sia solo una manovra elettoralistica, utile a Lega e M5s per capitalizzare un dividendo di consensi alle Europee di maggio. Poi a luglio, visti i trend attuali di frenata dell’economia globale, il governo sarà costretto a una brusca retromarcia e a mettere mano a robusti tagli. Che ne pensa?
Spero solo che gli italiani si sveglino per tempo. Noi non possiamo migliorare la nostra situazione se continueremo a cascare in queste trappole.
L’Italia, oggi in stagnazione, sta camminando o correndo verso una recessione?
Premesso che parte delle responsabilità sono legate a fattori internazionali come la guerra dei dazi., il problema è che l’Italia segue lo stesso percorso di bassa crescita ma con un punto in meno rispetto alla media europea. Le previsioni, per ora, ci danno ancora un segno positivo, visto che a fine anno dovremmo arrivare al +0,6%, quindi siamo sopra la soglia che può portare a una recessione. Resta il fatto, purtroppo, che così torniamo a una crescita dello “zero-virgola”.
Che cosa dovrebbe fare di urgente il Governo?
Non è che si può cambiare una manovra di punto in bianco. Diciamo che dovrebbe favorire di più gli investimenti delle imprese, accrescere la competitività del sistema Paese e lavorare per correggere i difetti strutturali, gli stessi denunciati da anni: i tempi lunghi della giustizia, la farraginosità della burocrazia, il difficile accesso al credito delle Pmi. Dovrebbe, cioè, fare in modo che chi crea valore e lavoro possa essere messo nelle condizioni di operare al meglio.
(Marco Biscella)