Il fatturato industriale a dicembre è crollato del 3,5%, se paragonato al mese precedente, e del 7,3% rispetto allo stesso mese del 2017, con un calo generalizzato dei vari settori. Non solo: secondo Unioncamere Veneto, nei prossimi tre mesi è atteso un calo della produzione pari all’11%, degli ordinativi interni del 13,1% e del fatturato di un ulteriore 7,3%. Il tutto dentro un quadro di crescita complessiva del Paese che in questo 2019 è, nella migliore delle ipotesi, in piena stagnazione, con segnali preoccupanti anche dalla produzione industriale e dalle prospettive del mercato del lavoro. Lecito, dunque, porsi una domanda cruciale: come sta l’industria italiana? “Visti questi numeri – risponde Alfredo Mariotti, direttore generale di Ucimu-Sistemi per produrre – la manifattura italiana è in difficoltà, non sta certo attraversando uno dei momenti migliori della sua storia. E’ un periodo di grande rallentamento, dovuto sicuramente a fattori internazionali, a partire dalla guerra dei dazi e alla frenata globale del settore automotive, uno dei comparti più trainanti dell’export. Ed è un rallentamento che non colpisce solo l’Italia, ma anche altri Paesi europei, Germania compresa, con ripercussioni pesanti su di noi, visto che proprio la Germania è tra i maggiori Paesi di destinazione delle nostre esportazioni”.



C’è chi parla addirittura di un rischio ridimensionamento della manifattura italiana…

Il problema è che adesso si parla di 60mila posti di lavoro nuovi che si possono creare con l’adozione di quota 100. Ma in questo momento sarà difficile; anzi, quando si abbassa la produzione industriale, è molto probabile che si verifichino nuove crisi aziendali e nuovi esuberi. L’allarme ridimensionamento è condivisibile, perché davanti a certi numeri ripetutamente negativi si viene poi a determinare anche un contraccolpo psicologico: la convinzione che tutto vada a rotoli. E chi oggi potrebbe fare qualche investimento in più, invece comincia preoccuparsi, rinviando o bloccando gli investimenti. E’ come un cane che si morde la coda.



Gli imprenditori sono preoccupati, sfiduciati o arrabbiati?

Sfiduciati mai. Sono in parte allarmati e in piccola parte arrabbiati, perché anche l’attività di governo era partita con una serie di promesse di espansione, tanto che lo stesso presidente del Consiglio ha detto più volte che “il 2019 sarà un anno bellissimo”. Poi, invece, eccoci di fronte a difficoltà enormi.

Il settore dei beni strumentali sembra l’unico a non risentire di queste difficoltà…

Il 2019 è previsto ancora positivo. Prevediamo una crescita della produzione pari al 2% e un +5% per l’export. Siccome il “tragitto” del bene strumentale è abbastanza lungo, gli ordini, elevatissimi, arrivati entro fine 2018 devono essere ancora soddisfatti. Dovemmo, quindi, avere i primi 6-7 mesi con una produzione a pieno regime, che poi andrà via via ad attenuarsi. A fine 2019, con un +0,2%, i consumi di macchinari in Italia dovrebbero replicare il risultato del 2018, un anno brillantissimo. Ma c’è un ma.



Quale?

L’impostazione della Legge di bilancio, in merito agli incentivi più importanti, cioè iper e superammortamento, è profondamente sbagliata.

Perché?

Eliminare il superammortamento e incrementare l’iper significa solo cercare di favorire interventi utili soprattutto alle imprese medio-grandi, che in Italia sono in numero ridotto, a discapito invece delle imprese medio-piccole, che hanno l’esigenza e l’interesse a modernizzare il loro parco macchine. Meno male che sono ancora in pista la “Sabatini” e altri incentivi. In più, c’è anche un problema di manodopera qualificata.

In che senso?

All’interno delle aziende i profili professionali che potrebbero entrare sono difficili da reperire. Le nuove tecnologie produttive richiedono più formazione, eppure la Legge di bilancio, nella sua prima stesura, aveva escluso la Formazione 4.0, poi inserita all’ultimo minuto. Ciò ha fatto sì che diverse aziende, temendo che potesse venir meno l’incentivo, hanno sospeso i programmi di formazione interna.

L’Italia può cadere in recessione?

In una recessione come quella del 2009 spero proprio di no, anzi lo escluderei, visto che si sono creati degli anticorpi all’interno delle aziende. Dopo anni di crescita, probabilmente un rallentamento era prevedibile, ma qui tutto sta avvenendo molto in fretta. Se a causa dei dazi la Cina rallenta, questo si ripercuote molto sull’Europa e sulla sua capacità di esportare in tutto il Far East. Più che una brutta recessione penso che avremo un periodo di stop & go. Il che, però, complica tutto.

Come si può rilanciare l’industria?

Due sono le leve: le costruzioni e l’automotive. Se non tirano questi settori, è difficile far ripartire l’industria. L’automotive è fermo dopo anni di forte espansione, il problema grosso rimane il blocco delle costruzioni e degli investimenti, privati e pubblici. Le grandi opere, invece, vanno subito cantierate.

E le Pmi di che cosa hanno bisogno per restare competitive sui mercati internazionali?

Direi che per i produttori di beni strumentali sarebbe necessario: confermare che le fiere rimangono lo strumento principale per presentare i prodotti sui mercati; incentivare la presenza di buyer esteri alle fiere internazionali organizzate in Italia, visto che per molte Pmi non è semplice presentarsi sui mercati esteri; mantenere gli incentivi per presenziare alle principali fiere di settore all’estero in accordo con i settori. Infine, per i beni strumentali è di difficile applicazione l’utilizzo dell’e-commerce se non per azioni promozionali di settore.

In otto mesi il governo ha varato decreto dignità, Rdc e quota 100. Non è un po’ pochino per fronteggiare una situazione sempre più critica?

In un momento di forte difficoltà economica è difficile che quota 100 possa determinare una sostituzione 1-1 tra chi esce dall’azienda per andare in pensione e chi viene assunto. Considerando, tra l’altro, che sono due figure professionali completamente diverse. Quindi da quota 100 non avremo grandi vantaggi sul fronte dell’occupazione e nemmeno dei consumi, perché chi va in pensione prenderà un po’ meno di quando lavorava.

E il reddito di cittadinanza che impatto potrà avere?

La normativa sul Rdc, che è una misura assistenziale, prevede che uno possa rifiutare le prime due proposte di lavoro, ma non la terza. Il problema è che oggi si fatica già ad avere la prima.

Cosa si poteva fare in alternativa?

Era meglio utilizzare queste risorse per abbattere quello che impropriamente si continua a chiamare cuneo fiscale. Dare, cioè, più soldi in busta paga ai lavoratori e far pagare meno contributi alle aziende. A quel punto, sì che ci sarebbe di nuovo interesse ad assumere, a svecchiare la forza lavoro, a investire. E un grosso aiuto alla ripresa potrebbe arrivare da un’altra misura attesa da anni.

Quale?

Il cosiddetto splitting o quoziente famigliare, che vale molto di più rispetto alla flat tax. Se oggi uno lavora da solo e prende 100, ma ha moglie e figli a carico, è fiscalmente penalizzato rispetto a un nucleo famigliare dove ci sono due percettori di reddito, che prendono ciascuno 50 a testa. Lo splitting rilancerebbe i consumi e l’economia, ma anche l’andamento demografico.

Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, invita le aziende e gli imprenditori a reagire. La manifattura italiana ha sempre mostrato grandi capacità di reazione anche davanti a choc estremamente negativi. Saprà farlo anche questa volta?

La nostra classe imprenditoriale deriva da un artigianato evoluto, di qualità, fin dai tempi del Rinascimento. Abbiamo molta fantasia, inventiva e capacità di adattamento nei momenti difficili. E poi, secondo me, bisogna considerare tutti quelli che operano all’interno delle aziende. In un’impresa medio-piccola l’imprenditore e la sua famiglia, così come il dipendente e la sua famiglia, sono tutti sulla stessa barca, tutti devono rimboccarsi le maniche per remare nella stessa direzione, rendendo disponibili tutte le loro capacità affinché si attutisca il più possibile quello che è un inizio di crisi economica.

Basta questa capacità di reazione? Non sarebbe opportuno che venisse sostenuta?

Lo ripeto: bisogna far ripartire i grandi investimenti, bisogna rivedere il sistema del superammortamento a vantaggio delle imprese medio-piccole… Bisogna mettere in atto una serie di azioni che facciano capire a imprenditori e lavoratori che ci sono alle spalle un governo e una politica economica che li sorregge, li spinge, anche psicologicamente.

Non le sembra che il governo sia un po’ troppo distratto da altri temi?

Un po’ di concentrazione in più sull’economia e sulle imprese ci vorrebbe. Si continua a richiamare la dignità del lavoro, ma la vera priorità è che si creino opportunità di lavoro per le persone. Il lavoro non si crea per decreto, ma mettendo in atto azioni e misure che permettano alle aziende di svilupparsi.

(Marco Biscella)