La conferma che il Paese è in recessione e l’intervento del governatore della Banca d’Italia ieri al Forex hanno confermato quel che si era già capito: s’avvicina il momento di una sterzata nella politica economica. In fondo lo ha ammesso anche Giuseppe Conte: il presidente del Consiglio ha detto che non ci sarà nessuna revisione della manovra prima di giugno, cioè prima delle elezioni europee. Vedremo se sarà possibile arrivare fino a metà anno, ma ormai si è reso conto che il Paese si trova all’angolo e combatte a mani basse. La colpa è dei governi precedenti? Poco importa, a questo punto. Certo non è colpa solo della Germania, della Cina, dei dazi di Donald Trump o di altre circostanze esterne ed eccezionali. La recessione italiana è in parte esogena, ma in gran parte endogena. Lo ha detto chiaro e tondo Ignazio Visco. Leggiamo i passaggi essenziali del suo intervento.



“In Italia la domanda interna ha risentito del marcato aumento dell’incertezza, legato prima ai dubbi sulla posizione del Paese riguardo alla partecipazione alla moneta unica – ha detto il governatore -, poi al difficile percorso che ha portato alla definizione della Legge di bilancio, segnato da contrasti con la Commissione europea risolti solo alla fine dell’anno. L’aumento dei premi per il rischio sui titoli di Stato che ne è derivato si è trasmesso al costo della raccolta obbligazionaria del settore privato, in un contesto di flessione dei corsi azionari. Le nostre ultime proiezioni sulla crescita dell’economia italiana per l’anno in corso, pubblicate nel Bollettino economico di gennaio, si collocano allo 0,6 per cento. Le proiezioni tengono conto del sostegno fornito alla domanda aggregata dalle misure espansive del bilancio pubblico per il 2019, la cui effettiva entità dipenderà dalle modalità di attuazione”.



Il Governatore non boccia né il reddito di cittadinanza, né le pensioni in sé e per sé, ma solleva un interrogativo sui modi e i tempi della loro applicazione. Da questo dipende anche l’impatto sulla domanda interna per consumi e sull’occupazione. Dunque, “l’incertezza sulla politica di bilancio non si è dissipata”, aggiunge Visco. Non solo: “L’accordo con la Commissione è stato raggiunto per il 2019, ma per il 2020-21 restano da definire numerosi aspetti e, specialmente, il futuro delle cosiddette clausole di salvaguardia, il cui importo è stato portato all’1,2 per cento del prodotto nel 2020 e all’1,5 nel 2021. Se fossero disattivate senza prevedere misure compensative, il disavanzo si collocherebbe intorno al 3 per cento del Pil in entrambi gli anni”.



Ecco, proprio questo campanello d’allarme ci introduce alla manovra bis. Perché i conti per il 2020 e il 2021 si fanno già tra marzo e aprile, quando il Governo dovrà presentare le linee guida del prossimo documento di economia e finanza e la Commissione europea tirerà le somme di quel che si è fatto finora. Se, come ormai appare più che probabile, l’economia italiana sarà ancora sul piano inclinato verso il basso, allora i parametri di riferimento andranno cambiati e non di poco. La riduzione prevedibile delle entrate aprirà nuovi buchi nel bilancio e lo spazio per altro fiscal deficit si ridurrà a zero.

Visco ha ricordato che “per assicurare un effettivo sostegno all’attività economica la politica di bilancio deve preservare la fiducia nel percorso di riequilibrio dei conti pubblici e nella prospettiva di riduzione del rapporto tra debito e prodotto. L’ammontare di titoli pubblici da collocare annualmente sul mercato continua a essere ingente: quasi 340 miliardi per il solo rinnovo dei titoli in scadenza nel 2019, che si sommano ai circa 50 previsti a copertura del disavanzo”. Non c’è davvero da scherzare.

Ma seguire il sentiero virtuoso non sarà sufficiente. “Per poter fruire appieno dei benefici derivanti dalle condizioni espansive determinate dalla politica monetaria serve il contributo delle riforme volte a ridurre le debolezze strutturali della nostra economia, debolezze che accentuano le difficoltà congiunturali. Occorrono progressi decisi nella creazione di un ambiente più favorevole all’innovazione e all’attività d’impresa, va incentivata la partecipazione al mercato del lavoro, innalzata la qualità del capitale umano, aumentata l’efficienza dei servizi pubblici”.

La Banca d’Italia, dunque, indica una vera e propria agenda di politica economica in senso lato, ribadendo quel che detto ha più volte. Tuttavia, la novità certo non positiva è che “le prospettive dell’economia italiana sono oggi meno favorevoli di un anno fa. Sono gravate da rischi al ribasso che hanno in parte origine estera, ma che continuano a riflettere in misura significativa le debolezze proprie del nostro Paese, in primo luogo l’incertezza sulla crescita, oltre che sull’orientamento della politica di bilancio e sulla ripresa di un percorso credibile di riduzione del peso del debito pubblico sull’economia”.

Bisogna chiedersi a questo punto se la correzione in corso d’opera non debba essere più consistente. Come si fa ad assicurare un ambiente favorevole all’impresa se si colpisce con vere e proprie penalizzazioni settori fondamentali come l’automobile, la cui filiera è stata determinante per la ripresa italiana? O se si aggravano le banche e le assicurazioni con imposte il cui significato è meramente punitivo? Per non parlare del mercato del lavoro ingessato dal Decreto dignità come mostrano i dati sull’occupazione. Quanto agli investimenti siamo punto e a capo. Il ministro dell’Economia sostiene che l’Italia si riprenderà non appena saranno sbloccati i cantieri. Per il momento ne vengono bloccati altri e non solo la Tav.

C’è bisogno, dunque, di un ripensamento di fondo, il Governo ha sbagliato la diagnosi illudendosi che la crescita potesse continuare per inerzia e la prognosi agendo soltanto dal lato della spesa assistenziale. O ha il coraggio di cambiare, oppure l’economia non potrà che peggiorare. Lo stellone italico non splende più.