Appare ancora sottovalutato l’effetto moltiplicatore per l’export italiano dei trattati di libero scambio che l’Ue è delegata dalle nazioni a negoziare con il resto del mondo. Il punto: chi ha le chiavi di un mercato integrato di più di 400 milioni di persone ha una forza per trattare accordi vantaggiosi che nessuna nazione da sola potrebbe ottenere. Infatti, nonostante i gravi difetti, l’Ue è certamente un moltiplicatore di forza per le nazioni esportatrici. E lo è in particolare per l’Italia, perché il suo sistema economico è fatto principalmente da piccole imprese che non hanno i soldi per finanziare la loro internazionalizzazione. Pertanto, i trattati che eliminano i dazi e le costose barriere non tariffarie sono un turbo per il motore dell’export italiano.
Non solo. Senza trattati la tutela dei marchi italiani contro le imitazioni è aleatoria. Con i trattati la protezione legale è più forte. Inoltre, tali accordi hanno un formato che minimizza gli impatti concorrenziali negativi dovuti ai flussi commerciali liberi.
Dalla settimana scorsa è in vigore l’accordo di libero scambio tra Ue e Giappone che elimina i dazi – prima fino al 30/40% su formaggi, vini, ecc. – e protegge decine di marchi italiani. Il trattato tra Ue e Canada (Ceta), in sperimentazione da qualche mese, abolisce il 98% dei dazi e tutela un gran numero di marchi e sta mostrando un notevole effetto moltiplicatore dell’export italiano. Poiché nel prossimo triennio la crescita del mercato interno italiano sarà probabilmente insufficiente a causa della politica economica non stimolativa e dissipativa decisa nel 2018, sembra realistico valutare se e quanto più export via accordi commerciali potrà bilanciare questo gap.
In agenda c’è il trattato tra Ue e Stati Uniti che promette un boom dell’export italiano. Qualche giorno fa la Commissione ha chiesto al Consiglio europeo il permesso di avviare i negoziati, Washington pronta a farlo. L’agricoltura è stata tolta dal perimetro negoziale per facilitare l’accordo. Ma Parigi è contro per protezionismo e interessi geopolitici. La Germania è a favore perché come l’Italia può crescere solo con l’export.
Roma e Berlino potrebbero forzare il consenso francese, ma la prima è frenata dall’influenza sul Governo di forze protezioniste. A queste va spiegato che l’apertura del mercato regolata da trattati, e non selvaggia, è una tutela per gli affari molto più efficace della chiusura. E che senza competitività, comunque, non c’è ricchezza.