Cosa significa, quindi, l’allarme quasi contemporaneo di Confindustria e del suo quotidiano sul rischio recessione, mai così netto e duro per il nostro Paese dai tempi del mitologico titolo a nove colonne Fate presto? Ad esempio, significa che dietro l’inversione sulla curva dei rendimenti fra titoli Usa a 3 mesi e 10 anni avvenuta la scorsa settimana, tipico segnale pre-recessivo, c’è dell’altro. E con effetto immediato, non di annuncio. Anzi, auto-alimentante. Quell’inversione, unita al processo più generale di dietrofront della Federal Reserve sul suo percorso di normalizzazione di costo del denaro e bilancio, ha fatto in modo che poco più di 400 miliardi di dollari di controvalore in debito globale cambiassero segno da positivo in negativo. Nell’arco di un weekend, quello scorso. Quello che noi abbiamo passato con il naso e gli occhi in direzione Basilicata, attendendo una folgorazione stile via di Damasco.



Signori, bentornati nel regime del Nirp, la politica di tassi di interessi sotto zero. Strutturale e sistemica. E sapete quell’ultima tranche a quanto ha portato il controvalore totale? Oltre i 10 triliardi di dollari, prima volta dal settembre 2017. Per Bloomberg, quanto accaduto “intensifica l’enigma per investitori alla disperata ricerca di profitto, mentre contemporaneamente mette alla prova il rallentamento economico già in ebollizione”. Signori, in soli sei mesi l’ammontare di debito con rendimento negativo a livello globale è semplicemente raddoppiato. Tre mesi, non tre anni. E, formalmente, a Qe attivo solo in Giappone.



E cosa significa tutto questo? Semplicemente che siamo nuovamente a un passo dalla trappola. Perché tassi negativi significano anche che gli investitori perderanno denaro, se terranno in portafoglio quei bond fino a scadenza. Quindi, due le opzioni: sperare che la follia monetarista spinga le Banche centrali a portare artificialmente ancora più in alto i prezzi (ed ecco spiegata la pavloviana rotazione in atto fra azionario e obbligazionario) o vendere quella carta durante il suo percorso di maturazione, magari a rendimento ancora più basso, ad altri investitori altrettanto nel panico. Direte voi, perché mai qualcuno dovrebbe comprare quella bomba a orologeria? Perché il rischio è che quelle dinamiche si inneschino all’interno di un quadro generale che sia già di depressione globale conclamata, quindi crescita negativa o deflazione in senso stretto. Mentre tutti, media e politici in testa, parlano ancora di recessione alle porte. Invece, è già sdraiata sul nostro divano che beve la nostra birra e guarda la nostra televisione. La strada migliore per il disastro, perché in quel panorama gli assets più rischiosi potrebbero ancora una volta entrare nella zona di pericolo, esacerbando le dinamiche e spingendo le Banche centrali a intervenire con il bazooka.



Lo conferma, intervistato sempre da Bloomberg, Brian Singer della William Blair, a detta del quale «non abbiamo mai assistito a un periodo di espansione monetaria così ampio, grande e duraturo. E cosa sia sempre accaduto alla fine di ogni periodo di politica significativamente accomodante, è un mero computo di errori da mettere in fila. Questa volta la bolla è insita nel debito a basso rating e negli assets privati più illiquidi». Guardando il quadro con freddezza, tornano alla mente le parole di Ben Bernanke nel 2014, quando disse che «non assisterò più a un periodo di normalizzazione dei tassi, finché sarò in vita». Per una volta nella sua carriera, ci aveva azzeccato. Il mondo sta navigando a vista, ma noi nemmeno lo sappiamo. Ora, però, quell’allarmante quadro riguardo l’ipotesi di Qe4 del Sole24Ore, ancorché spacciato come mera simulazione di studio, ci dice che il rischio potenziale è tale da non poter più essere nascosto del tutto. Va dissimulato, in base alle esigenze più stringenti. Un po’ come i morti per Fentanyl, silenziati dai grandi media che invece continuano a tenere nella loro “cassetta degli attrezzi” l’emergenza terrorismo come grande arma di distrazione di massa. In effetti, è qualche anno che funziona.

E la pantomima quasi triennale del Russiagate ci insegna che la strada è quella giusta, vincente. A colpo sicuro. Sapete che la sera di martedì, al Senato Usa si è votato sul Green New Deal (Gnd), ovvero sul piano ultra-keynesiano di utilizzo dell’ambiente come alibi per fare deficit a cascata (con le varie Greta sullo sfondo, tanto per intenerirci e farci sentire in colpa), di cui è portabandiera Alexandria Ocasio-Cortez, la Rosa Luxemburg dei poveri? E sapete come hanno votato al riguardo, anche se un mero piano di indirizzo, i colleghi Democratici della nostra eroina del politicamente corretto? Il computo totale è stato un bel 57-0 contro il Gnd e ha visto i 43 senatori Dem astenersi, limitandosi a votare “presente” alla chiama. Ma questo ci dice soltanto una cosa: che quel piano è ciò su cui si baserà la campagna elettorale del 2020, perché quella stroncatura – soprattutto il “fuoco amico” che l’ha sostenuta – fa di quella politica folle la nuova arma di distrazione di massa, poiché verrà venduta come avversata e avversa alle élites. Quindi, sacrosanta per definizione e benefica per il mitologico “popolo”.

Non a caso, Donald Trump ha immediatamente twittato: “Non distruggete troppo il Green New Deal, perché voglio combatterlo nel 2020″. Il sovranista/populista diventerà il pragmatico uomo di Stato contro l’utopia socialista e rivoluzionaria, nonostante sia stato il primo a usare in maniera criminale la leva del deficit. È tutta una pantomima, attenti a chi e cosa ascoltate. E lo stesso vale per le armi di distrazioni di massa nostrane. Per quanto mi riguarda, a Rami e Adam possono dare anche il Cavalierato del lavoro, il Nobel per la fisica, la conduzione della Prova del cuoco e la guida tecnica della Nazionale di calcio. Mi interessa quanto la campagna acquisti del Chievo. Ma smettiamola, per carità di Dio, di parlare di idiozie inutili e propagandistiche come lo ius soli, trasformandole in priorità degne al massimo di Carramba che sorpresa o C’è posta per te. Per noi, in realtà, c’è solo una recessione ben peggiore del 2008 di fronte da affrontare con un sistema bancario ancora più debole e fragile e imbottito di Btp, un debito mostruoso da sostenere e finanziarie in un contesto in netto peggioramento globale e un’economia reale che comincia davvero a soffrire, a partire dalla trasmissione del credito, pressoché già congelata.

«Il mondo del lavoro è fermo, la crescita nel 2019 sarà zero. È allarme recessione», ha gridato mercoledì Confindustria, l’editore dello stesso Sole24Ore che avvertiva il giorno prima sulla necessità del Qe4. E nel giorno in cui Mario Draghi, in un classico caso di excusatio non petita, avvertiva che la Bce “non è a corto di munizioni, i rischi per l’economia sono al ribasso e siamo pronti ad agire”. Come? “Dobbiamo riflettere su possibili misure che possano preservare le implicazioni favorevoli per l’economia dei tassi negativi mitigandone al tempo stesso gli effetti collaterali, se mai ce ne siano”. Tradotto, è il sistema bancario l’anello terribilmente debole. Per tutta l’eurozona, vedi la disperata accelerazione relativa alla fusione Deutsche Bank-Commerzbank, con il Tesoro tedesco clamorosamente in campo e la richiesta delle Autorità finanziarie francesi di alzare ulteriormente i cuscinetti di sicurezza degli istituti transalpini (ovviamente, la scusa ufficiale è ancora quella di un possibile Brexit senza accordo).

E la nostra poco edificante pratica del doom loop, ovvero le banche domestiche come acquirente di ultima (e pressoché unica) istanza del debito pubblico? Mercoledì lo spread fra i nostri Btp e i Bund (precipitato ulteriormente in territorio negativo) è salito, ma i rendimenti in asta sono scesi: indovinate un po’ chi ha reso possibile questa discrasia? Indovinate un po’ chi ha comprato quella carta, alla faccia di prestiti e mutui all’economia reale e alle famiglie concessi già oggi con il contagocce? Si attenderà fino alle aste Tltro di settembre per agire? Si sa, cambiano latitudini e nomi, ma tutti al mondo hanno il loro Isis e il loro Fentanyl da giocarsi alla bisogna, come le carte dei giochi da truffatori alla stazione dei treni. Sta a noi, guardare la Luna e non il dito.

(2- fine)