“Seppure in un quadro caratterizzato da notevoli incertezze, il recupero dell’attività industriale di inizio anno influenza in misura rilevante il quadro” macro del primo trimestre e “alla luce di queste evidenze la stima della crescita del Pil” per il 2019 (+0,2%) “appare verosimile”. A certificarlo è l’Istat in audizione sul Def. “Rispetto alla necessità di rilanciare gli investimenti” la revisione della mini-Ires, il ripristino del superammortamento e l’aumento della deducibilità Imu contenuti nel decreto crescita “sono attesi generare una riduzione del prelievo fiscale per le imprese pari a 2,2 punti percentuali”. Anche per Bankitalia “lo scenario macroeconomico presentato nel Def tiene conto in modo realistico della congiuntura ed è complessivamente condivisibile. Esso è soggetto a rischi rilevanti, che possono provenire da un peggioramento del contesto globale e da un più accentuato deterioramento della fiducia delle imprese”. Mentre ieri sull’aumento dell’Iva si è consumato l’ennesimo battibecco tra il ministro Giovanni Tria (in audizione ha detto che “l’aumento dell’Iva è confermato in attesa di misure alternative”) e i due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini (“con questo governo – hanno ribattuto all’unisono – non ci sarà alcun aumento Iva, punto”), ad attenuare per fortuna un po’ la tensione e la preoccupazione sull’evoluzione della congiuntura economica sono arrivati, l’altro ieri, dalla Germania i dati molto confortanti dello Zew: l’indice di fiducia degli investitori tedeschi, infatti, migliora nettamente ad aprile salendo a 3,1 da -3,6 di marzo, e il dato è migliore delle stime degli analisti. Ancor meno preoccupato si dimostra Mario Deaglio, professore di economia internazionale all’Università di Torino: “Non ho mai condiviso le stime ultrapessimistiche sul Pil. E’ nell’ambito delle nostre possibilità mettere a segno nel 2019 una crescita anche dello 0,5%”.



I dati della produzione a febbraio di qualche giorno fa e l’indice Zew in forte miglioramento possono essere due segnali che fanno ben sperare?

Penso proprio di sì. Credo che la nostra economia conservi una notevole carica di energia e possa quindi aggiungere qualche decimale in più di crescita.

La scivolata forte dell’autunno 2018 è alle spalle?



Quella scivolata ha tre cause: la sostanziale fine del ciclo degli acquisti di auto nuove. Siccome l’industria dell’auto in Italia pesa molto, soprattutto perché una parte considerevole della componentistica viene prodotta proprio nel nostro Paese, qui abbiamo una perdita di potenziale stimabile almeno in un -0,2/-0,3%, che non realizziamo quindi per una ragione fisiologica.

Il secondo motivo?

E’ di tipo internazionale: il deterioramento del clima produttivo globale legato soprattutto al nuovo protezionismo. I dazi esistenti e la minaccia di quelli nuovi deprimono la domanda estera di tutti i Paesi, la Germania in particolare, che per noi è un mercato molto importante perché abbiamo un legame molto stretto con l’industria tedesca, e non solo nel Nord-Est. Questa depressione ci toglie un altro 0,3/0,4%.

Ma il dato dell’indice Zew può essere un fattore che cambia le prospettive in vista del secondo semestre, quando – lo ha ricordato anche Tria – sono attese “previsioni ottimistiche”?

Che le possa cambiare in modo radicale no, ma che la spinta tedesca le possa migliorare, questo sicuramente sì. E visto che oggi le stime si sono consolidate sul +0,2% di crescita, se mi dicessero che possiamo arrivare a +0,4/+0,5% io ci credo.

Anche se non abbiamo ancora ricordato il terzo elemento che ha portato alla scivolata dell’autunno 2018?

Riguarda la domanda interna delle famiglie, che al di fuori dell’auto tiene bene: elettrodomestici, accessori per la casa e abbigliamento per il momento tirano abbastanza, garantendoci un +0,2% di espansione. Qui il nodo è un altro.

Quale?

L’industria delle costruzioni. La domanda di ristrutturazioni non è male, ma non è granché e non cresce più di tanto. Dove siamo molto carenti sono le costruzioni pubbliche, il motore che non si è mai acceso. Tutti gli investimenti pubblici in infrastrutture sono fermi, solo ogni tanto e con tempi lunghissimi qualcosa si sblocca, perché la normativa italiana, giustamente rivolta a evitare infiltrazioni mafiose o comportamenti illeciti, porta a un estenuante allungamento dei tempi, che oltretutto ci fanno perdere anche i fondi europei. Questo fattore interno porta a un -0,4/-0,5% di potenziale.

Ricapitolando?

Non c’è una situazione drammatica, c’è piuttosto un insieme di fattori che tirano in condizioni diverse e che ci danno un piccolo risultato. Però, se è vero che quello che si vede in primavera, poi continua anche d’estate, l’altro punto di svolta sarà a settembre-ottobre.

Prima di allora, che cosa si potrebbe fare per non far sfiorire questi germogli di ripresa?

La prima cosa che possiamo fare è cercare di accendere il motore delle costruzioni, perché gli ostacoli sono prevalentemente di tipo amministrativo. E’ un’operazione che non costa alle casse dello Stato. Per il resto, è complicato. Dovremmo riuscire a contenere la spesa pubblica e al tempo stesso spingere l’economia, che sono due obiettivi in qualche misura antitetici. Attenzione, però: una parte non piccola della nostra spesa pubblica è data dalla spesa per interessi.

Quindi?

Se riuscissimo a ridurre la spesa per interessi, non perché abbiamo bisogno di meno prestiti, ma perché l’Italia diventa più seria e affidabile, e dunque lo spread scende in misura cospicua, potremmo andare avanti nella giusta direzione.

Con quali benefici?

Potremmo dedicare le risorse risparmiate con il calo dello spread – che, ricordiamolo, non è una voce scritta nel bilancio, visto che si forma tutti i giorni – alla crescita e magari anche a ridurre un po’ il nostro debito, perché è necessario farlo.

Potrebbe bastare recuperare la fiducia dei mercati o serve qualcos’altro?

Se poi ci fossero ancora delle disponibilità, lo stimolo potrebbe essere dato da sgravi fiscali alle imprese, ma specifici.

Per esempio?

A favore delle imprese che investono o che assumono potrebbero avere delle agevolazioni fiscali. L’obiettivo è rivitalizzare le imprese già vitali e che possono fare da traino per il tessuto produttivo italiano. E’ una misura che può essere varata ed entrare subito in vigore: gli sgravi fiscali possono indurre le imprese a continuare i loro piani d’investimento. Del resto, gli investimenti in macchinari sono stati per noi un volàno negli ultimi 18 mesi.

L’Istat stima un calo del prelievo fiscale sulle imprese del 2,2% grazie a mini-Ires e superammortamento. E’ la strada su cui dovrebbe continuare il governo?

Assolutamente sì. E’ la strada che in questo momento si traduce più direttamente in nuova crescita. Distribuire a pioggia pochi soldini in busta paga non produce quasi nessun effetto, come abbiamo già visto con gli 80 euro di Renzi.

(Marco Biscella)