Non si può neanche dire che la montagna abbia partorito il classico topolino. Perché la bestiola uscita ieri dal nuovo, umiliante Consiglio dei ministri che ha deciso “salvo intese” è, per l’appunto, ancora nell’incubatrice. Il decreto che – con scelta ormai surreale – si ostina a essere intitolato alla crescita, fa crescere in realtà soltanto l’evidenza dello scollamento tra i due partiti di maggioranza. Contiene misure del tutto inadeguate a fronteggiare lo stallo in cui si trova l’economia del Paese. E per di più non le vara a pieno titolo ma con riserva, il punto controverso – che si sarebbe voluto smarcare contestualmente – dei rimborsi ai risparmiatori truffati dalle banche non è stato invece concordato ma stralciato e rinviato e alcune altre misure-chiave, come quella sulla rigenerazione urbana, non sono state varate.



L’obbrobrio istituzionale della clausola “salvo intese”, con la quale in sostanza il Governo si spoglia della responsabilità decisionale collegiale per rimandare alle camere provvedimenti zoppi, su cui i partiti di maggioranza continuano a trattare in sede informale e a dispetto di quanto deciso dal Consiglio dei ministri, depotenzia anche ciò che comunque avrebbe già di per sé pochissima potenza. Era già successo con il decreto sblocca-cantieri, due settimane fa, che difatti non sblocca un bel niente.



E c’è un alone di paradosso in più, attorno a questa impasse. La prossima settimana, martedì, il Governo deve approvare il Def, il Documento di economia e finanza che la Commissione europea chiede come “punto” primaverile sulla situazione economica degli Stati membri. Tutte le stime economiche formulate dagli Osservatori internazionali più autorevoli convergono nell’indicare una crescita economica ferma nel 2019 attorno allo 0%, quindi un punto in meno della previsione ufficiale su cui si basa la Legge di bilancio di quest’anno. Ma il premier Conte, l’altro ieri, ha dichiarato che “sul Def le stime arrivate in questi giorni sul Pil italiano non hanno alterato la nostra pianificazione. Continuiamo sulla nostra strada, rispettiamo le idee altrui ma d’altra parte le idee altrui non sempre sono convergenti”. Mentre il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha promesso un documento “trasparente”, minacciando dunque di riscrivere le cifre e aprire le porte formalmente alla comunque ovvia manovra correttiva che l’Europa ci chiederà per metà anno.

Altro che crescita. C’è chi parla di 36 miliardi di impatto, chi di almeno 30. Ma con il Pil a zero, tutti i conti della legge approvata a fine 2018 per il bilancio statale dell’anno in corso saltano. Il decretino sulla crescita approvato ieri farà l’effetto del classico pannicello caldo sulla fronte del malato terminale: niente. La pochezza dei contenuti del decreto sfiora l’irrilevanza e addirittura la provocatorietà: l’aumento della deducibilità Imu dal 40% al 60%, o la riduzione dell’aliquota Ires sugli utili non distribuiti dal 24% al 22,5% quest’anno, poi al 20% entro il 2022, sono dettagli, bazzecole.

Unica misura di qualche rilievo: la proroga del super ammortamento per le imprese che investono in macchinari, che sarebbe terminato alla fine di aprile e che invece prosegue, ma solo perché si autofinanzia con il maggior gettito Iva che quegli investimenti determinano: e poi nessuno investe in regime di ristrettezze complessive. Rottamazione delle multe, cioè un minicondono pro-Comuni; risibile protezione del made in Italy; e primo passo formale per la nazionalizzazione dell’Alitalia sono altre norme tra l’inutile e il deprimente. Si salvano forse solo i nuovi Ecobonus e Sismabonus perché gli sgravi fiscali esistenti da anni (per la ricostruzione post-sisma fino all’85% della spesa e per l’efficienza energetica delle abitazioni fino al 50%) potranno essere ceduti direttamente dai cittadini che ne usufruivano nel corso di dieci anni fiscali alle imprese che fanno i lavori e diventare così uno sconto immediato sul prezzo. Una facilitazione intelligente che non impatta sulle casse pubbliche (comunque le aziende spalmeranno in 10 anni i vantaggi fiscali che prima aiutavano i cittadini), ma incentiva questi ultimi a spendere. Comunque: poca cosa.