L’economia italiana non è ferma, regredisce. In base ai dati rivisti ieri dall’Istat sul terzo trimestre, il Pil, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente. E’ il primo dato negativo dopo 14 trimestri di crescita, cioè dal secondo trimestre del 2014. Risultato: la variazione acquisita per il 2018 è pari a +0,9%, e non +1% come annunciato in precedenza. “Il rischio – avverte Marco Fortis, vicepresidente di Fondazione Edison – è che potremmo chiudere il 2018 sotto quota 1% di crescita del Pil: a quel punto il 2019 diventa una scommessa. L’unica cosa certa è che l’obiettivo del +1,5% è una chimera assoluta. Del resto, generare, come ha detto Draghi, una crisi autoprodotta sullo spread e dare una mazzata alla fiducia di consumatori e imprese sono state mosse improvvide, che stanno generando effetti recessivi del tutto autoindotti, visto che non abbiamo avuto il calo dell’export come in Germania”.



Si può parlare di recessione in arrivo?

Tecnicamente si può parlare di recessione dopo due trimestri di Pil in calo. Quindi, prima di poter parlare di un possibile Pil del quarto trimestre ancora negativo, bisogna capire bene i motivi del calo del terzo trimestre.

Da quali fattori è stato determinato?

Era prevedibile che l’Istat avrebbe fatto una rettifica rispetto alla crescita zero indicata con la prima stima preliminare, perché, dal lato dell’offerta, i dati relativi alla produzione industriale, nel frattempo sopravvenuti, evidenziavano un calo molto forte, confermato anche dall’andamento del valore aggiunto industriale.



Tradotto in cifre?

Nel terzo trimestre abbiamo avuto un -0,3% di produzione industriale, che per l’Italia è molto importante, e pure i servizi hanno subìto una frenata, visto che sono rimasti fermi. Nel complesso, dunque, a far da zavorra sono stati soprattutto la debole produzione industriale e la crescita zero dei servizi.

E dal lato della domanda?

E’ interessante notare subito una cosa. C’è chi dice che anche la Germania sta rallentando, ma la frenata tedesca è dovuta principalmente all’export, mentre in Italia il contributo al Pil della domanda estera netta ha registrato un +0,1%, quindi è una situazione che non è analoga a quella della Germania.



Questo cosa significa?

Che noi abbiamo avuto una brutta caduta della domanda interna: non solo con la crescita zero dei consumi delle famiglie, ma soprattutto con gli investimenti fissi lordi, andati indietro dello 0,2%. E sto parlando del loro contributo al Pil, non della loro variazione percentuale. Significa che gli investimenti hanno tolto uno 0,2% alla crescita del Pil.

Come si spiega questa brusca frenata?

E’ dovuta alla montante sfiducia che è stata generata dal sistema economico.

Di Maio ha subito addossato la colpa alla manovra “insipida” del governo Gentiloni. E’ così?

Questa dichiarazione non ha alcun senso. Fino al secondo trimestre, gli investimenti fissi lordi erano cresciuti dello 0,5%, grazie all’efficacia del piano Industria 4.0, la freccia all’arco della precedente manovra, che è stata peraltro morbida proprio perché il governo Gentiloni era a fine corsa e non voleva vararne una monstre che poi non avrebbe potuto comunque gestire.

Poi che cosa è successo?

Finché non sono state sbandierate le frasi bellicose contro la Ue sul fronte del deficit e finché non si è messo mano al mercato del lavoro con il Decreto dignità, ancora nel secondo trimestre il contributo al Pil degli investimenti fissi lordi era stato addirittura del +0,5%. Un segnale che quelle misure funzionavano. Ma non appena le imprese hanno visto che il Paese stava entrando in un loop negativo, gli investimenti sono stati bloccati in tutti i modi. E non c’è da meravigliarsi; anzi, probabilmente, se questa tendenza continuerà, gli investimenti caleranno ancora anche nel quarto trimestre.

E le famiglie?

Hanno bloccato la crescita dei consumi, perché hanno avuto la sensazione che stiamo entrando in un tunnel. La gente tende a risparmiare e chi ha un minimo di investimenti in titoli di Stato o in azioni di società quotate in Borsa ha subìto danni non indifferenti alla propria ricchezza personale. In buona sostanza, il governo è riuscito a fermare, in un quadro di vincoli di spesa pubblica molto stringenti, gli unici driver della crescita di questi ultimi tre anni e mezzo, cioè i consumi privati e gli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto, che avrebbe potuto ancora utilizzare per uscire dalla crisi. E ora si profila un evidente paradosso.

Quale?

Nel 2019 il governo attiverà della spesa pubblica per distribuire fondamentalmente sussidi. Ma non sono queste le misure decisive per ridare fiducia ai consumatori. Nello stesso tempo, se gli investimenti in opere pubbliche, che finora sono stati molto modesti, non verranno rilanciati – ma non credo, visto che nella manovra non ce n’è traccia, se non in minima percentuale -, è molto difficile credere che il 2019 sarà un anno positivo. Il 2018 si chiude con questo decalage, ma l’anno prossimo sarà una scommessa assoluta.

Lo stesso Di Maio ha assicurato che “la manovra espansiva da 37 miliardi di euro farà vedere i suoi effetti già dal 1° gennaio 2019”. Che ne pensa?

Innanzitutto, mi piacerebbe sapere da quali voci sono composti questi 37 miliardi, visto che 12,5 sono semplicemente la sterilizzazione dell’aumento dell’Iva. Insomma, non cambia nulla. Se una parte della spesa va lì, non è certo una manovra molto espansiva. Se, poi, le altre cifre sono per quota 100 e reddito di cittadinanza, allo stato attuale di espansivo ci sono solo i salti mortali per cercare di spiegare come si possa fare tutto questo, alla luce di una previsione del Pil che verrà ridotta notevolmente, in termini reali e nominali.

Con quali conseguenze sui conti pubblici?

Con un Pil così calante, la manovra rischia non tanto di far scendere al 2,2% il deficit, come si è sentito dire in questi ultimi giorni nel tentativo di mitigare l’ira della Commissione Ue, quanto di sforare sopra il 3%.

Perché?

Come crescita acquisita per il 2018 siamo ora fermi allo 0,9%. Se facciamo crescita zero – e sarebbe già un bel risultato – nel quarto trimestre, chiudiamo l’anno sotto l’1%. Dopodiché è del tutto impensabile che il 2019 parta come una saetta, anche perché il primo trimestre, in cui non succederà nulla almeno fino a febbraio, potrebbe essere ugualmente moscio. Quindi sarà molto difficile che i trimestri successivi possano di colpo intraprendere un’accelerazione formidabile, a fronte anche di un rallentamento generale dell’economia e di uno spread che nella migliore delle ipotesi rimarrà a lungo intorno a 250-300. In queste condizioni non credo proprio che i consumatori si mettano a fare follie, anche se alcuni di loro riceveranno sussidi sotto forma di reddito di cittadinanza o vedranno la possibilità di inforcare una finestra per avere la pensione anticipata. Bisogna essere dei funamboli per immaginare che, chiudendo il 2018 in questo modo, il 2019 di colpo farà una specie di botto.

Il governo è sempre convinto di poter far crescere il Pil dell’1,5%. Ma con queste premesse quanto rischiamo di lasciare sul campo rispetto all’obiettivo indicato?

Ci sono previsori che pensano che l’Italia non riuscirà a fare nemmeno lo 0,5%… Il 2019 è un’incognita e l’unica cosa certa è che il +1,5% è una chimera assoluta. Faccio pure fatica a immaginare che si possa stare intorno all’1%, visto che gli investimenti in macchinari vengono meno come volàno di crescita, la domanda interna è fiacca e la bella dinamica delle esportazioni è un sogno per tutti, Germania compresa.

Alla luce di questi dati, la manovra non avrebbe bisogno di una bella revisione?

Fatalmente la revisione la farà lo stesso governo, se si renderà conto in quali guai sta andando a cacciarsi. Secondo me, il vero rischio è che per ogni povero che si andrà ad aiutare con il reddito di cittadinanza, la recessione ne creerà un paio in più da un’altra parte.

(Marco Biscella)