Strano, però, che un’operazione di sgombero senza precedenti per Roma – e per questo destinata a catalizzare l’attenzione dei media e inasprire le polemiche politiche – sia scattata proprio ieri, formalmente il giorno clou del Vertice sulla Libia di Palermo. Non vi pare? Serviva forse oscurare l’ennesima figuraccia globale che si è riusciti a rimediare o, al contrario, qualcuno ha sentito il bisogno di fare la sua “pisciatina”, per marcare il territorio e ricordare chi comanda davvero, dopo il vertice separato di lunedì? E altrettanto strana appare un’altra coincidenza accaduta ieri, ovvero il fatto che la stampa cinese abbia rilanciato a mercati aperti la notizia che il vice-premier e negoziatore sul commercio, Liu He, a fine mese sarà negli Stati Uniti per incontrare il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, proprio pochissimi giorni prima dell’incontro fra Donald Trump e Xi Jinping al G20 di Buenos Aires, appuntamento dal quale tutti si attendono la risoluzione positiva della disputa in atto a colpi di dazi. Strano, Wall Street aveva chiuso poche ore prima in profondo rosso, con il Nasdaq per l’ennesima volta a -3% e le mitiche Faang sbattute come tanti tappeti impolverati, et voilà, i futures tornano a segnare bel tempo e l’Europa, almeno inizialmente, rimbalza.



Siamo almeno alla ventesima conferma di un punto di svolta nella guerra commerciale fra Pechino e Washington, poi prontamente smentita, tanto per creare nuova aspettativa. Sembra la pantomima sulla Corea del Nord e il suo arsenale nucleare, la ricordate? Per qualche settimana sembrava di essere sul set del Dottor Stranamore e, alla fine, come vi dissi fin da principio, quando la cortina fumogena non è stata più necessaria, l’emergenza nucleare è semplicemente sparita da radar mondiali, esattamente come ci era entrata. E potrei andare avanti, cari lettori. Viviamo nel mondo parallelo della narrativa di comodo, respiriamo percezioni e secerniamo speranze: dei primati, insomma. Nemmeno troppo intelligenti, occorre ammetterlo. Siamo ben oltre la metafora della rana bollita a poco a poco dal fuoco dolce e lento della propaganda, ormai non ci rendiamo nemmeno più conto di quando ci sparano addosso con un lanciafiamme caricato a bugie. Capite da soli che un piano del genere, essendo in corso di applicazione contemporanea a livello globale, non può essere frutto della mente di Di Maio e Salvini. E nemmeno di quella certamente più acuminata e lucida di Davide Casaleggio. Qui è in corso un lavaggio del cervello generalizzato, strutturato su più piani come una lasagna: le esigenze della propaganda statunitense verso la propria opinione pubblica sono ovviamente differenti da quelle italiane o anche cinesi, cambiano i contesti. Ma resta un punto: negare la realtà, proiettandone una inesistente ma tremendamente ormai verosimile, visto il grado di penetrazione che certi messaggi e certi veicoli di comunicazione hanno raggiunto.



È il principio della “finestra di Overton” messo in pratica. E, devo dire, per ora in maniera molto brillante. I mercati si stanno schiantando, eppure i giornali nemmeno ne parlano più. In ottobre si sono bruciati 9 triliardi di capitalizzazione a livello globale, eppure la notizia era il nostro spread che prendeva 6 punti base in un giorno. Capite che c’è qualcosa di strutturale e strategico in quanto sta accadendo, nulla è casuale. Le coincidenze, cari lettori, non esistono. Se non nella narrativa ufficiale di chi, in via non ufficiale e dietro le quinte, ne crea i presupposti, salvo poi venderle come conigli che escono dal cilindro del destino. Attenzione, perché stiamo varcando bastioni dai quali difficilmente esiste un ritorno indolore. E se c’è qualcosa di pericoloso, questo è la mancanza di consapevolezza. Volete un altro esempio? Guardate questi grafici, i quali ci mostrano un altro avvenimento accaduto ieri, ma di cui nessuno, state pur certi, parlerà. Per la prima volta in assoluto, gli assets in detenzione dalla Bank of Japan hanno superato per controvalore il Pil annuale del Paese! Al 10 di novembre scorso, infatti, lo stato patrimoniale della Banca centrale nipponica parlava di assets per 553,6 triliardi di yen contro un prodotto interno lordo nominale di 552,8 triliardi, ultimo dato del 30 giugno scorso. E se faticate a figurarvi una degenerazione faustiana simile del concetto keynesiano di stimolo, il secondo grafico mette in relazione i bilanci delle tre principali Banche centrali impegnate in programmi ufficiali di Qe: pensate che il Giappone, già sul viale del tramonto per una crisi demografica strutturale, abbia un futuro?



In compenso, pletore di scienziati che operano da agit-prop di questo Governo ci dicono che il debito non è un problema, visto che il Giappone ne ha più di noi e sta una favola. Di più, basta seguire la strada nipponica dell’autarchia nella detenzione di quel debito e il gioco è fatto, addio spread e interessi che premono. Sapete cosa ci faranno i giapponesi con quella carta di Stato? Lo avete capito, non fatemi essere volgarmente esplicito. Volete fare la fine del Giappone, ovvero al primo, timido ritorno in auge del minimo sindacale di fair value su quegli assets senza più un prezzo o un valore denominato, ritrovarsi come Dresda dopo i bombardamenti alleati? Certo, sarà assolutamente consolante avere in mano titoli di Stato, quando lo Stato sarà ufficialmente l’unico soggetto attivo di mercato: si chiama Unione Sovietica, però, in caso vi sfugga un termine di paragone efficace.

E attenzione, perché in traiettoria simile, ancorché non così parossisticamente terminale, c’è anche il nostro di debito, visto che al posto della Bank of Japan, noi abbiamo come compratore di ultima istanza la Bce. Peccato che, ufficialmente, dal 1 gennaio non ci sarà più. Restano le nostre banche, sanissime come mostra il caso Carige di queste ore. Riusciranno i nostri istituti a sostituire l’Eurotower come acquirente marginale di Btp, dal 2019 in poi? Se anche lo facessero, cosa impossibile perché cadrebbero come birilli del bowling sotto i colpi di default a catena entro l’estate, con quale denaro garantirebbero credito a famiglie e imprese? Stamperà denaro l’onorevole Borghi nottetempo in cantina, come Totò e Peppino?

Ah già, la ricetta che propongono è quella di obbligare la Bce a comprare debito a oltranza, a operare da prestatore di ultima istanza e acquirente perenne e acritico di Btp: a loro modo di vedere, questo sarebbe il ruolo di una Banca centrale. Ovvero, de-responsabilizzare del tutto i governi dai loro obblighi minimi di sanità mentale rispetto ai conti pubblici. Comodo un mondo così, verrebbe da citare lo spot pubblicitario sul “vincere facile”: peccato che la realtà non sia questa e che, soprattutto, il Qe perenne tale non sarà. Certo, una nuova ondata di liquidità a costo zero è in arrivo, ma sarà l’ultima, per il semplice fatto che poi toccherà azzerare in qualche modo i carichi debitori pubblici e privati, se si vuole ripartire in qualche modo. Ovvero, trovando una denominazione di prezzo credibile per gli assets che funzioni da benchmark. Come, d’altronde, è sempre stato. Pensate che in un processo come quello, senza precedente alcuno nella storia umana, tutti sopravviveranno?

Certo, ad ascoltare certi soloni sarà tutto un paradiso di unicorni keynesiani e redditi di cittadinanza garantiti, ma le cose cambiano in fretta, quando i conti non si devono fare più a parole ma con i fatti. E i soldi. Guardate questo altro grafico, è impietoso: è il Bear market indicator di Goldman Sachs, appena revisionato e pubblicato. Guardate dov’è, rispetto al trend storico, oggi il rischio percentuale di una correzione strutturale al ribasso dei mercati, un bear market appunto, ovvero un calo di oltre il 20% dai massimi.

Stando alla narrativa generale di politici, Banche centrali, economisti molto chic e sovranisti di vario genere, il mega-rally innescato da Donald Trump sarebbe mai potuto finire così in fretta? Andate indietro solo di un paio di mesi, sfogliate di nuovo giornali e riascoltate tg e talk show. O, più semplicemente, rileggetevi gli articoli sul tema pubblicati da questo stesso sito. E rispondetevi da soli.