Alla vigilia del G20, che si apre oggi a Buenos Aires, il presidente americano Donald Trump ha annunciato nuovi dazi contro la Cina, accusata di non aver attuato “riforme significative” sulle politiche commerciali che penalizzano l’industria e i lavoratori americani. E sempre ieri il presidente francese Emmanuel Macron, appena sbarcato in Argentina, ha lanciato l’allarme: “Lo scontro Usa-Cina è distruttivo per il commercio mondiale”. Che cosa potrà succedere al G20, quando Trump e Xi Jinping si incontreranno nella giornata di sabato? “Naturalmente nessuno può escludere i miracoli – risponde Francesco Sisci, editorialista di Asia Times – e tutti speriamo per il meglio, ma realisticamente il vertice dovrebbe portare solo due tipi di risultati: una tregua nella guerra commerciale in corso oppure, comunque, una rottura ulteriore. Ma è difficile pensare che ci possa essere una soluzione concreta. Il vero pomo della discordia è il piano di sviluppo tecnologico cinese del 2025, secondo cui l’industria e la tecnologia cinesi dovrebbero superare quelle americane. Questo sarebbe una svolta epocale nei rapporti di forza globali”.
Che cosa chiedono gli Stati Uniti?
Gli americani chiedono che la Cina non fornisca più aiuti di Stato alle industrie cinesi e che rispetti più strettamente e paghi i diritti di proprietà intellettuale. Dubito, però, che Pechino vorrà aderire. Quindi i problemi essenziali resteranno comunque sul tappeto. Essi in effetti hanno il potenziale per cambiare il mondo. Se la Cina si pone l’obiettivo esplicito di diventare la prima economia e la prima tecnologia, nei fatti sfida il ruolo americano nel mondo. Gli Stati Uniti, quindi, o accettano passivamente di arretrare o raccolgono il guanto di sfida. E mi sembra che gli Usa abbiano deciso di raccogliere la sfida.
E’ possibile immaginare come potrebbe evolvere questa sfida?
E’ molto incerto. C’è il rinnovo, l’anno prossimo, dell’acquisto dei T-bond americani oggi in mano alla Cina, per un controvalore pari a circa mille miliardi di dollari, e c’è la possibilità di avere nuove sanzioni americane contro le esportazioni cinesi. Ma, soprattutto, in ballo c’è il nodo se questa contesa rimarrà, come è oggi, una questione bilaterale, oppure se gli Usa vorranno creare un’alleanza per affrontare questa sfida cinese. Poi, qualora gli Stati Uniti formassero questa alleanza, bisognerà vedere in quanto tempo riusciranno a organizzarla e quale sarà il suo obiettivo: sarà solo commerciale o anche politico e militare? Tutto è incerto, e questa incertezza farebbe pensare che gli Stati Uniti potrebbero avere bisogno di qualche mese per chiarire come dovranno affrontare il prossimo passo della sfida.
In più c’è il rischio concreto che il 2019 non si prospetti un anno di grande crescita a livello mondiale, non crede?
Le prospettive per l’anno prossimo sono grigie. La Cina, già stretta da una montagna di debiti interni e da probabili difficoltà commerciali all’esterno, non darà un grande contributo alla crescita economica globale. E l’America è possibile che possa pagare anch’essa per le tensioni con la Cina.
Tensioni che potrebbero anche salire fino a diventare un possibile motivo di conflitto militare tra le due superpotenze?
Difficile pensare che queste tensioni possano sfociare in una guerra vera e propria. Non mancano gli elementi tranquillizzanti. Le recenti elezioni amministrative a Taiwan, l’isola che Pechino considera una specie di provincia ribelle, hanno segnato la sconfitta dei candidati più ostili a Pechino. Quindi si allontana un po’ lo spettro che alle elezioni presidenziali di Taiwan del 2019 venga eletto un candidato che promuove un confronto più duro con la Cina. Ma è anche vero che Taiwan continua a essere un problema scottante e qualunque incidente potrebbe farlo scoppiare.
In questo contesto le questioni europee e quelle italiane vanno viste in una luce diversa?
Se i rapporti tra Usa e Cina restano così tesi, la principale preoccupazione dell’amministrazione americana è probabilmente che l’Europa non dia troppo fastidio; per il resto, si comporti come meglio crede. Quindi il pericolo che l’Italia scateni una crisi globale con un suo default è considerato molto più debole. Che la Cina non rinnovi mille miliardi di T-bond americani o gli Usa congelino mille miliardi di crediti cinesi, è una minaccia ben più grave per tutti, perché coinvolge le prime due economie del mondo.
(Marco Tedesco)