Gli ultimi giorni di borsa del 2018 hanno prodotto commenti sorprendentemente concordi; dagli organi di informazione più mainstream, passando per i blog più quotati tra chi si occupa di finanza e finendo nei commenti di analisti e strategisti, la parola d’ordine è che i movimenti di borsa sul breve termine sono diventati erratici e imprevedibili con una volatilità che non si vedeva dal 2015. Gli ultimi movimenti di borsa sono stati, per usare un eufemismo, insoliti al massimo livello. L’impressione è che si siano accumulati una serie di rischi o temi decisivi di cui non si intravede una soluzione e che i mercati non sono abituati ad affrontare e che si entri nel 2019 con moltissime questioni aperte. Si prenda come esempio l’incredibile volatilità registrata nei movimenti del prezzo del petrolio. Possiamo fare un rapido elenco.



La guerra commerciale con la Cina continua con accelerazioni e rallentamenti. La questione aperta è se ci sia una reale volontà di arrivare a un accordo, più o meno, soddisfacente per entrambe le parti o se non ci si avvii verso una guerra fredda in cui si pone l’alternativa tra l’appartenenza a un’area piuttosto che un’altra. Anche solo per un accordo non si intravedono punti di arrivo con le strette di mano tra il presidente cinese e quello americano mentre vengono arrestati manager di primissimo livello cinesi.



Il clima politico americano rimane molto conflittuale. Si vedano le polemiche di questi giorni sulla costruzione di un muro al confine del Messico piuttosto che la sospensione dei salari degli impiegati federali. Qualsiasi cosa si pensi del ruolo degli Stati Uniti nel mondo questo livello di incertezza percepita rimane una fonte di volatilità notevole.

La politica monetaria della Fed, criticata con i soliti modi da Trump, rimane sotto attenta osservazione. È abbastanza chiaro che i mercati non sono pronti per una normalizzazione rapida delle politiche monetarie mentre montano le preoccupazioni per il rallentamento globale e si contano diversi focolai di volatilità politica. La Fed è stata la “migliore” delle banche centrali dal 2008, mentre altre hanno clamorosamente sbagliato tagliando troppo tardi o perdendo occasioni per una normalizzazione.



Il rallentamento globale che il mercato ha già cominciato a scontare oltre ogni evidenza rimane sullo sfondo. La domanda, in questo caso, è quanto pronunciato sarà il rallentamento. Il mercato come sempre ha cominciato a portarsi, avanti ma è chiaro a tutti che negli scenari più complicati la correzione è solamente iniziata. Oltre alle azioni che finiscono sulle prime pagine, ci sono sezioni dei mercati meno conosciute al grande pubblico che hanno mostrato segnali di forte stress.

In Europa siamo ancora alle prese con i negoziati sull’uscita del Regno Unito in mano a una Commissione europea a fine corsa e guidata da politici che non passeranno alla storia, mentre a Londra assistiamo a un clima politico confuso come mai si era registrato. Poi ci sono i soliti “temi”: il debito e il deficit italiano, Deutsche Bank che continua ad aggiornare i minimi in un clima in cui i calcoli sui derivati e sull’esposizione netta diventano molto più complicati e molto meno credibili, le tensioni politiche in Francia, ecc. Anche in questo caso ci si interroga sulle politiche della Bce in un clima politico europeo che rimane pieno di tensioni.

Non sono passate di moda le tensioni in Medio Oriente con i difficili tentativi di arrivare a una normalizzazione e le frizioni con la Russia di Putin sia in Siria che in Ucraina.

I mercati dopo un dicembre pessimo per ora aspettano che si depositi un po’ di polvere. Le questioni però sono ancora tutte aperte.