La notizia è passata abbastanza sotto silenzio, coperta dal turbinio di polemiche politiche che volavano ben più in alto, nell’empireo dell’intelletto. Ad esempio, la scarsa preparazione di Lorella Cuccarini riguardo la frequenza degli appuntamenti elettorali nel nostro Paese. Povera Italia, come sei ridotta. Ma torniamo a noi. Stando a quanto rilanciato da Bloomberg e ripreso dal Sole24Ore senza particolare enfasi, in base agli ultimi dati forniti dalla Bce, le imprese italiane hanno ritirato più di 20 miliardi di euro dai loro depositi overnight presso le banche italiane in gennaio, come mostra il grafico. Motivo? Per il quotidiano di Confindustria, le ragioni potrebbero essere molteplici, spaziando dalle preoccupazioni che le tasse possano aumentare alle maggiori necessità di liquidità durante la recessione economica in arrivo fino a un fenomeno ciclico-stagionale slegato da fattori economici. Insomma, la qualunque. Resta il fatto che i deflussi registrati a gennaio sono stati i maggiori da quando i dati hanno cominciato a essere tracciati – 16 anni fa – dall’Eurotower.
Nel dare la notizia, il Sole24Ore registrava poi l’intervenuto del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, il quale si è soffermato in particolare sui massicci acquisti di titoli di Stato italiani effettuati negli ultimi anni dal sistema bancario nazionale. Poi, in vista del board della Bce e dalla conferenza stampa di Mario Draghi di oggi, nella quale potrebbero essere annunciate nuove aste di rifinanziamento Tltro, il governatore si chiedeva: «Come sono stati usati questi prestiti Bce da parte delle banche? Le critiche alle nostre sono state quelle che invece di finanziare l’economia hanno acquistato i titoli pubblici. Questo è stato positivo all’indomani della crisi, ma non può essere una caratteristica strutturale». Di fatto, l’argomento del mio articolo di martedì scorso. Il fatto che Bankitalia se lo domandi, mi porta a due valutazioni.
Primo, meglio tardi che mai. Secondo, qualcosa puzza di bruciato. E non solo per le tensioni fra governo e palazzo Koch. A farmi pensare, allarmato, su quali siano le prospettive future, ci ha pensato anche un’altra notizia, emersa in corrispondenza con il dato della Bce sui prelievi. A riferirla ci ha pensato questa volta Cnbc, ponendosi a sua volta una domanda che porta con sé parecchie risposte implicite. Stando a uno studio curato dal capo economista di Deutsche Bank, Torsten Slok su dati ufficiali della Federal Reserve, infatti, nel mondo sarebbe in misterioso aumento la circolazione di banconote da 100 dollari. E la dinamica non è da poco: si tratta di un raddoppio netto dalla crisi finanziaria a oggi, tanto che non solo oggi si sono oltre 12 miliardi di pezzi di carta da 100 dollari in giro per il mondo, ma questi ultimi hanno superato anche la banconota più diffusa per antonomasia, quella da 1 dollaro. Questo grafico mette la questione in prospettiva visiva, tanto per capirci.
Ora, l’articolo di fatto si concentra essenzialmente su una tesi che è ampiamente diffusa ed è alla base della “lotta al contante” da parte di alcuni governi e, soprattutto, organismi sovranazionali: le banconote sono il mezzo preferito dal crimine organizzato, il quale tutto vuole tranne che lasciare tracce bancarie o elettroniche del suo business. C’è poi la lotta all’evasione fiscale e ai paradisi di diritto britannico che ne garantiscono il proliferare, altro cavallo di battaglia. Tutte tesi confermate da inchieste di organismi come Fbi, Dea, Interpol, Eurojust e via discorrendo. Soprattutto i cartelli della droga latino-americani siedono su montagne di contanti, riciclati spesso in attività legali che garantiscono lauti guadagni, una facciata “sociale” spendibile e veri e propri imperi economici, capaci di imporre la loro legge e le loro condizioni ai concorrenti.
Tutte cose note, nella cronaca come nelle fiction, un mondo quello di queste ultime che a certi boss dovrebbe pagare i diritti d’autore per centinaia fra serie tv e film. A conferma della tesi, il fatto che un research paper della Fed di Chicago pubblicato lo scorso anno confermasse come il 60% di tutti i dollari sotto forma di banconote si trovasse all’estero e addirittura l’80% di quelle da 100 dollari: un aumento di oltre il 20% dal 1980 che la curatrice dello studio, Ruth Judson, ritiene da collegarsi all’aumento della instabilità politica ed economica a livello mondiale, un vero driver della domanda.
Insomma, per quanto ci abbiano venduto per mesi la rivoluzione delle criptovalute come un’arma potenzialmente letale in mano alla criminalità organizzata mondiale (oltre che ai ben noti hackers, più o meno legati al Cremlino), i beni rifugio per antonomasia rimangono il dollaro contante e i lingotti d’oro. Studi statistici ci dicono che l’aumento esponenziale dell’utilizzo estero del dollaro come moneta parallela, ancorché non ufficiale, sia da collocarsi temporalmente dopo la guerra del Golfo e l’invasione statunitense dell’Afghanistan post-11 settembre, visto che parte dell’opera di stabilizzazione di quelle regioni sarebbe passata proprio da un minimo di ristoro economico, garantito a sua volta dal rimpiazzare le monete locali – pressoché senza valore o devastate dall’inflazione reale – con qualcos’altro. E per lo studio, quel qualcos’altro era appunto il dollaro.
C’è però dell’altro, pur se confinato in una parte residuale dello studio e dell’articolo. A gettare il sasso è Nicholas Colas, co-fondatore della DataTrek Research, personaggio che studia queste dinamiche da almeno un decennio e a detta del quale, l’aumento dei biglietti da 100 dollari in circolazione è un segnale chiaro che il mondo sta guardando a quell’asset come a un salvadanaio-rifugio di valore. “Non ha nulla a che fare con l’economia Usa o con i tassi di interesse. Ovviamente, abbiamo ampie prove che quelle banconote siano un veicolo di diffusione della corruzione, ma rappresentano anche un metodo che la gente utilizza per mantenere i propri assets al di fuori del sistema finanziario, seppur con modalità che possiamo definire ingombranti”, dichiara Colas.
Ed ecco il parere al riguardo di Torsten Slok: “Ci sono molti fattori che possono spiegare l’aumento del circolante in banconote da 100 dollari. Potrebbe essere mosso dalla paura a livello globale per tassi di interessi negativi o potrebbe essere anche un veicolo di risparmio dei cittadini americani spaventati da un’altra crisi finanziaria oppure ancora un segnale dell’aumento della domanda da parte dell’economia sommersa”. Non a caso, nel 2016 l’ex segretario al Tesoro Usa, Larry Summers, pubblicò un articolo sul Washington Post dal titolo molto esplicativo al riguardo, It’s time to kill the $100 bill, di fatto invocando l’abolizione della banconota da 100 dollari. A sua volta, Summers mutuò la provocazione dall’ex numero uno di Standard Chartered, Peter Sands, il quale dedicò al tema addirittura un research paper pubblicato dall’università di Harvard. Il cuore della questione? “Eliminando le banconote di alto valore si renderebbe la vita più difficile a chi compie evasione fiscale, crimine finanziario e corruzione”. La solita solfa.
Ma l’allarme lanciato da grossi calibri statunitensi sul rischio che il contante, nelle sue denominazioni più grandi, possa essere amplificatore di fenomeni criminali è divenuto narrativa. Non a caso, la Bce dallo scorso inverno non stampa più banconote da 500 euro, di fatto narco-notes, come le chiamano gli inquirenti. E la Fed? Difficile che possa seguire l’esempio dell’Eurotower, visto che Federal Reserve e Tesoro statunitense incassano 99 centesimi per ogni dollaro stampato e venduto fuori dagli Usa. Solo profitto? No. C’è dell’altro che ha molto a che fare con l’aumento esponenziale dei conflitti in giro per il mondo e anche con la guerra multipolare contro la Cina: da un lato la de-dolarizzazione del mondo, la messa in discussione dello status di valuta benchmark del dollaro. Dall’altro, un concetto ancora molto oscuro e di nicchia, ma che, state certi, non tarderà a far parlare di sé, in periodo di populismo al potere: il cosiddetto de-banking, ovvero il denaro come strumento di contrapposizione economica al sistema finanziario, il contante come arma contro i derivati, il mitico materasso in cui stipare le banconote contro il sistema bancario e i suoi trading desks. Vi sembra follia?
(1- continua sabato 9 marzo)