“Tokyo crolla a -5%, pesa la guerra fra Trump e la Fed”. Il mio Natale è cominciato così, molto presto martedì mattina. Con un lancio di agenzia: uguale per tutti i principali network nelle striminzite versioni festive. Dopo il tracollo di Wall Street nella giornata di contrattazioni ridotte della vigilia, un rotondo -3% che ha spedito in bear market anche l’indice Standard&Poor’s 500, il Nikkei si è accodato: un’enorme margin call ha travolto il listino nipponico fin da prima dell’inizio delle contrattazioni, quando i futures sul Topix facevano capire chiaramente che sarebbe stato una giornata di rosso. Sangue però, non natalizio come l’abito del Babbo più famoso e atteso. E di fronte a certi eventi, non può nulla nemmeno il Plunge Protection Team, ovvero il consorzio di banche che il governo di Tokyo utilizza storicamente per intervenire con gli acquisti, quando gli indici si indeboliscono troppo (le rare volte che accade). Per una ragione semplice: non tamponi il Vaiont con il Mocio Vileda.



Ne sanno qualcosa anche negli Usa, visto che proprio lunedì mattina il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, aveva relazionato il team presidenziale per gli affari finanziari, che presiede, riguardo le sue chiamate del giorno prima con gli amministratori delegati delle sei banche più potenti d’America. I quali, ovviamente, avevano detto che a livello di liquidità era tutto a posto, nessuna anomalia di mercato. Prima regola di quando le cose si fanno davvero serie: mentire. Poi, il tracollo, seguito ieri in Giappone dal tipico rimbalzo del gatto morto (+0,89%), supportato dalla chiusura di praticamente tutte le altri grandi piazze mondiali nella giornata del 25. Ma sapete cosa c’è davvero di grave? Questo, il fatto che il Plunge Protection Team americano, composto di fatto da quelle stesse banche che hanno negato l’evidenza con il capo del Treasury il giorno prima, ci ha anche provato a salvare il mercato nella seduta pre-natalizia, ma il suo tentativo è durato il battito d’ali di un colibrì. Oltretutto, con volumi di scambio bassissimi e con solo tre ore e mezzo di contrattazioni. Poi, il crollo.



Ecco perché in Giappone hanno preferito evitare di utilizzare la medesima, consolidata strategia salva-indici: se per caso l’esito fosse stato il medesimo, il mercato si sarebbe accanito, poiché dopo anni e anni di Qe e acquisti onnivori della Bank of Japan, il messaggio sarebbe stato devastante. All’orizzonte, infatti, sembrava stagliarsi il fantasma di un amico scomparso da tempo: il libero mercato. Accompagnato oltretutto dai suoi due figli prediletti, price discovery e fair value. Insomma, il crollo generalizzato. Il famoso redde rationem. E, ovviamente, qual è per i grandi media la causa di tutto questo? Anni e anni di doping di Stato, tassi a zero e denaro a pioggia in nome della monetizzazione del debito che hanno creato bolle ovunque nel mercato oppure Trump che attacca la Fed? Ovviamente, il secondo! Non a caso, parlando con la stampa nel giorno di Natale, il Presidente ha prima vestito i panni del pompiere, riconfermando fiducia nel segretario al Tesoro, Steven Mnuchin e soprattutto in Jerome Powell e nella Fed (la quale, «sbaglia ad alzare i tassi così velocemente ma molto presto porrà rimedio») e poi quello del piazzista, invitando gli americani a comprare ora, sui minimi: «Abbiamo grandi aziende in America, le più grandi di tutte. Per questo penso che questa sia un’enorme occasione per comprare, davvero grande». Non vi ricorda qualcuno che consigliava di acquistare Mps?



Mi siete testimoni: quanto tempo fa vi ho detto che l’unica speranza del mondo era creare un incidente volontario per obbligare la Banca centrale Usa a ricominciare con la stamperia? E, soprattutto, quanto tempo fa vi ho detto che Donald Trump era finito alla Casa Bianca con questo preciso compito, quello di recitare la parte del capro espiatorio della nuova crisi, a causa della sua totale incapacità di governo e della sua totale assenza di diplomazia nei rapporti istituzionali? Et voilà, ora per la stampa mainstream la ragione dei bagni di sangue generalizzati sui mercati è tutta colpa di Trump e del suo tweet (oltre al sempreverde peso del prezzo del petrolio), nel quale descrive la Federal Reserve e la sua politica monetaria come l’unico problema dell’economia Usa. Comodo così, non vi pare?

Chissenefrega di dire che l’intero impianto dei rialzi record e della striscia di mercato del Toro più lunga di sempre sia stato nulla più che uno schema Ponzi garantito dalle Banche centrali e dai buybacks, l’importante è dare la colpa a Trump! Il quale, ovviamente, di colpe ne avrà anche – in primis aver usato strumentalmente quei rialzi farlocchi per la sua propaganda politica, ma, signori, non è certo stato il primo nella storia a farlo – ma di certo ne ha molte meno di Ben Bernanke e Janet Yellen, ad esempio. Ancora più ridicola è la vulgata che vuole i crolli esacerbati e acuiti dallo shutdown in atto negli Usa dal 21 dicembre scorso a causa del braccio di ferro fra Casa Bianca e Democratici al Senato per lo stanziamento nel Bilancio dei fondi necessari alla costruzione del muro con il Messico: come vi ho spiegato nel mio articolo natalizio in due parti, negli ultimi quaranta anni di storia politica americana ci sono stati 21 shutdown: solo questo ha portato con sé tracolli a Wall Street? Tu guarda le combinazioni, a volte!

Davvero pensate che un atto più formale che pratico, più di baruffa politica che di reale contenzioso istituzionale come la sorta di esercizio provvisorio in atto negli Usa, faccia precipitare Wall Street e sia in grado di contagiare a quel livello il Nikkei? O forse il Nikkei è una bolla espansa a livelli ormai fuori controllo, un palloncino talmente pieno di elio garantito dal duo Abe-Kuroda che al solo avvicinarsi di uno spillo più acuminato degli altri, è esploso? Magari Trump ha dato una limatina alla punta dello spillo, ma, signori miei, è stato messo a Pennsylvania Avenue per quello, cosa credevate? Ah già, voi credevate alla balla sesquipedale del governo sovranista del popolo, che fa il bene di operai e impiegati e non delle lobbies e dell’establishment! D’altronde, anche quella di panzana, esattamente come i rallies degli indici e la ripresa globale, ve l’hanno venduta bene. E per trimestri interi.

E attenzione, perché doppi fini a parte, Donald Trump ha ragione ad attaccare la Fed: non tanto nel merito, quanto nel tempismo del suo agire. Non si alzano i tassi in quel modo, conoscendo la natura fallace e dopata di quella che viene spacciata prima per ripresa record e poi addirittura per boom dell’economia. A meno che non si voglia creare un incidente ad hoc, nel qual caso di sta agendo in maniera esemplare. E il Presidente, ovviamente recitando un copione ben scritto, ha cominciato a dirlo ben prima che iniziassero i crolli di mercato, quando ancora Wall Street era il regno degli unicorni, come ci mostra questo grafico. Un capolavoro di mistificazione globale e un raro esempio di cortina fumogena a rilascio e infittimento graduale, davvero roba che Orwell se la sogna.

E adesso, come la mettiamo? Ora cosa si fa? Come si esce da una situazione che vede Wall Street, la quale ha visto aumentare ulteriormente il suo peso percentuale a livello di capitalizzazione dei mercati globali, non postare più un rialzo credibile e sostenibile, limitandosi a cicliche giornate di rimbalzo del gatto morto o exploit basati sull’ennesima bufala riguardo accordi commerciali fantasma con la Cina? Non vi pare, a occhio e croce, che la situazione stia prendendo una piega tale da dover far riconsiderare le mosse delle varie Banche centrali, in primis quella giapponese, la quale dopo lo spavento di Natale, se non ritroverà subito sprint e smalto, dubito che darà seguito alla sua promessa di aumentare ulteriormente il taglio del controvalore degli acquisti alla riunione del board di aprile 2019? Voi cosa dite, visti poi gli ultimi dati macro nipponici, da crisi conclamata, soprattutto a livello di consumi e investimenti in CapEx? E la Bank of England, con la grana del Brexit in pieno svolgimento e a forte rischio di tramutarsi in conclamata tragedia, cosa farà? Sceglierà la linea del rigore?

E la Bce? Quella è governata da uno che certe dinamiche le conosce, infatti all’ultimo board ha fatto capire che il Qe è finito soltanto sulla carta e per ragioni di mera comunicazione politica: il sostegno prosegue, sotto diverse forme. Cui, entro aprile al massimo, si unirà almeno un’asta di rifinanziamento a lungo termine. Resta la Fed? Cosa pensate, che la recita cui sta dando vita Trump non abbia una finalità diretta? Quale sia, ancora mi sfugge, ma le ipotesi più probabili sono due. Licenziamento di Jerome Powell in caso di ulteriore aggravarsi della situazione nel mese di gennaio oppure un voltafaccia clamoroso dello stesso governatore, pronto a bloccare i due rialzi previsti per il prossimo anno e, magari, ad aprire qualche swap lines emergenziale. D’altronde, è esplosa la crisi globale e c’è il rischio recessione, mica è colpa dell’America e della Trumpnomics!

Sapete in cosa si sostanzia la “previsione oltraggiosa” di Saxo Bank riguardo gli Usa per il 2019? Proprio in un drastico cambio di guida alla Fed, reso necessario dalla decisione di Jerome Powell, attraverso una risicata maggioranza all’ultimo meeting del Comitato monetario del 18-19 dicembre scorsi, di alzare i tassi di un altro quarto di punto (cosa in effetti accaduta). Per gli analisti di Saxo Bank, già nel primo trimestre 2019, questa scelta manderà fuori giri l’economia Usa attraverso l’aggravio del costo del denaro e del finanziamento e i mercati azionari, tanto che all’arrivo dell’estate Wall Street sarà talmente in profondo rosso e la curva dei tassi Usa talmente in inversione da spingere Donald Trump a rimuovere il capo della Banca centrale e sostituirlo con il numero uno della Fed del Minnesota, Neel Kashkari, capo delle “colombe” e critico della prima ora della politica di restrizione monetaria.

Presto soprannominato The Great Enabler per la sua quasi sottomissione ai desiderata della Casa Bianca in vista della corsa per un secondo mandato nel 2020, Kashkari prometterà una linea di credito da 5 mila miliardi di dollari per acquistare i perpetual bond a zero-coupon emessi dal Tesoro per finanziarie i faraonici progetti infrastrutturali del Presidente e rimettere il turbo al Pil. L’inflazione raggiungerà il 6% e il tasso di interesse principale della Fed si fermerà all’1%: praticamente come dire che, da un paio di anni, dalle parti della Federal Reserve si è solo scherzato. O, per chi vuole pensar male, costruito le condizioni per un ritorno in grande stile al Quantitative easing pressoché strutturale. Ma guarda un po’.