La messe di notizie che ha coinvolto direttamente il nostro Paese mercoledì scorso ha giocato ovviamente la sua parte nel depotenziare l’accaduto, relegandolo a una breve da dare di corsa in chiusura di telegiornale, insieme all’aggiornamento sull’andamento degli indici. Ma, a mente fredda, lasciare che i meccanismi tritatutto dell’informazione facciano passare pressoché sotto silenzio quanto emerso dalla riunione del Comitato monetario della Fed, sarebbe criminale. Oltre che decisamente pericoloso. Signori, utilizzando una formula che ormai è prassi fra chi opera sui mercati, benvenuti nel QE infinity. Ovvero, nella riprova che senza stimolo, il mondo si schianta. Siamo dipendenti, siamo le Christiane F. dei tassi a zero e del denaro a pioggia e gratis. E quando parlo di mondo, intendo quel meccanismo finanziario che fa girare tutto, anche la vostra vita quotidiana – vedi il credito al consumo – o dinamiche industriali che sembrano anni luce lontano dagli indici di Borsa, vedi la presunta fusione Fca-Peugeot: pensate che a finanziarla, se si farà, non sarà la liquidità della Bce garantita nelle prossime aste di settembre, cui le finanziarie delle due case automobilistiche potranno prendere parte, visto che ormai emettono anche carte di credito?



Bene, l’altra sera la Fed ha comunicato al mondo che non solo non alzerà i tassi per tutto il 2019, ma anche che per il 2020, a oggi, contempla solo un rialzo, contro i due già programmati e prezzati dai mercati. Inoltre, come vi dicevo qualche tempo fa, a fine settembre finirà anche il programma di taper del bilancio, ovvero la normalizzazione delle detenzioni in seno allo stato patrimoniale. In parole povere, la vendite di Mbs e Treasuries acquistati con il badile negli anni del Qe e che adesso sono giunti a maturazione, quindi da scaricare per far tornare il bilancio a livelli di controvalore più normali.



Già così, ci sarebbe da rimanere basiti. Perché signori, io capisco che ormai il grado di disinformazione e dissimulazione è tale da portare la gente a dimenticare tutto nell’arco di poche ore, ma soltanto fino allo scorso mese di agosto, quando Donald Trump attaccò frontalmente Jerome Powell dal suo buen ritiro estivo degli Hamptons e a pochi giorni dal meeting di Jackson Hole, la vulgata generalmente diffusa e accettata nel mondo era quella dell’economia americana che scoppiava di salute. Un esempio da seguire, anche per la stampa cosiddetta progressista. Oggi siamo a fine marzo, non sono passati cinque anni di ciclo economico: sono passati sette mesi e la Banca centrale Usa non solo ha bloccato del tutto il suo programma di normalizzazione del costo del denaro, ma anche quello del dimagrimento di bilancio. E volete dirmi che è tutta colpa della guerra commerciale con la Cina, oltretutto scatenata quasi a freddo da Trump, quando la sua economia tirava grazie allo scudo fiscale? O del rallentamento dell’eurozona, in atto ormai da trimestri interi?



Sicuramente non a causa dei mercati emergenti, visto che da quando proprio la Fed si è messa la mordacchia, dopo i tonfi azionari di Natale, qualcuno addirittura azzarda che quelle nazioni così indebitate in dollari saranno la grande occasione di guadagno per la seconda metà del 2019. Un po’ fragilino come boom economico, cosa ne dite? Ma si sa, la gente ha la memoria corta. E per capire la portata di quanto sta accadendo, occorre proprio focalizzarsi sul cosiddetto unwind dello stato patrimoniale della Fed. Il quale, stando a quanto deciso dal Fomc, comincerà in grande stile a maggio e finirà a settembre. Di fatto, una farsa. E una farsa molto controllata, oltretutto.

Qual è la criticità di quel programma, infatti? Le cosiddette redemptions, ovvero la liquidità che quelle vendite di Treasuries e Mbs rappresentano per il mercato, una media di 32 miliardi di dollari al mese. E signori miei, un’economia che sprizza salute da tutti i pori come quella Usa – come ci hanno raccontato per mesi gli osservatori e i mezzi di comunicazione “autorevoli” – non è stata in grado di reggere che per poche settimane quel drenaggio e tassi al 2,25%. Rendiamoci conto del grado di cialtroneria cui siamo di fronte, roba che il Brexit in confronto è un capolavoro di diplomazia. E come cambia oggi quel processo di normalizzazione, oltre a terminare con almeno un anno abbondante di anticipo?

Primo, siamo al taper del taper! Ovvero, le redemptions di Treasuries, ovvero le vendite di titoli di Stato a scadenza, proseguiranno da maggio a fine settembre, ma con un cap sul controvalore che farà scendere il drenaggio di liquidità dai 32 miliardi attuali a 15. Secondo, gli Mbs a maturazione non saranno più venduti ma reinvestiti e, oltretutto, sull’intera curva dei rendimenti dei Treasuries e non soltanto sul front end, come si attendeva il mercato. Terzo, le redemptions di Mbs non a maturazione continueranno, ma, anche in questo caso, con un cap sul controvalore mensile, fissato a 20 miliardi: sapete a quanto era la media precedente prevista per i mesi estivi di quest’anno, quelli in cui si sostanzierà il programma prima di terminare? Circa 50 miliardi al mese. Infine, a ottobre, quando sarà finita la pantomima di dimagrimento del bilancio, per controbilanciare la riduzione di Mbs in detenzione, la Fed comprerà Treasuries, al fine di portare il portafoglio aggregato a un livello che da quel momento in poi resterà invariato!

Signori, questa si chiama capitolazione totale! E qui arriviamo al punto davvero importante. Ovvero, la reazione di Wall Street. La quale, mercoledì sera dopo la diffusione delle decisioni, è stata negativa. Come mai? Ecco il nodo fondamentale del contendere: i mercati devono decidere come interpretare l’accaduto. In un primo momento, la reazione pavloviana è stata quella di un rialzo, visto che – di fatto – più colomba di così la Fed non poteva essere. Poi, però, qualcosa è cambiato. E la risposta a quel qualcosa sta tutta in questi due grafici

Il primo ci mostra come, rispetto alla Fed, il mercato abbia aspettative ancora più da colomba, addirittura espansive. La linea rossa nel grafico, parla chiaro: a oggi, si prezza già un taglio integrale dei tassi (ovvero, almeno un punto) per l’anno in corso. E la linea verde dello stesso grafico rappresenta l’andamento dell’indice Standard&Poor’s: potete immaginare da soli, quindi, perché la Fed sia stata obbligata a bloccare i tassi al livello attuale almeno fino a fine 2019. Altrimenti, se ci fosse stato anche solo il timore di una virata all’insù della linea rossa, quella verde sarebbe andata in re-couple: ovvero, altro tonfo strutturale dei mercati Usa. Come a ottobre. Come sotto Natale.

Si arriverà a tanto, addirittura a un taglio dei tassi che porti quello principale all’1,25-1,50%? Se sì, avremo la certezza che il secondo grafico ha ragione. Soltanto con la mossa di mercoledì, la Fed ha infatti fatto crollare i rendimenti dei bond Usa lungo tutta la curva, portando però con sé non solo la revisione della crescita economica, ma anche mettendo in prospettiva quella che è la profondità della recessione attesa: siamo di fronte al picco di rischio più alto di tutto il ciclo. Insomma, c’è davvero poco da scherzare. Anche perché, esattamente come con lo spread, da qualche tempo si è smesso di sbandierare quotidianamente il dato del Pil statunitense come esempio da seguire: sapete il tracciatore in tempo reale della Fed di Atlanta, il GDPNow, a quanto accredita la crescita per il primo trimestre di quest’anno? Allo 0,4%, in aumento dallo 0,2% della scorsa settimana. E sapete cosa ha garantito quell’aumento? Il fatto che il Census Bureau abbia certificato un aumento della spesa pubblica, ovvero un sostegno diretto del governo all’economia attraverso i mezzi che gli sono propri. Di fatto, un Qe con altri mezzi, uno stimolo federale. E anche con questo, siamo a percentuali da eurozona.

Insomma, signori, i mercati saranno anche molto proni alla legge della dipendenza da stimolo, ovvero al mantra del bad news is good news, ma stavolta la bad news potrebbe essere veramente cattiva: quella che ci troviamo di fronte ha tutti i contorni e i profili di una recessione in piena regola. E, almeno stando dalle mosse del Fomc, assicurata e ineluttabile come morte e tasse. A questo punto, occorre far passare qualche giorno e capire quale sarà il mood su cui si intoneranno i mercati: canteranno e porteranno la croce, accettando quanto già fatto dalla Fed rispetto alle attese o cominceranno a battere i piedi, a colpi di tonfi, come sotto Natale? Il fatto che sia ricominciata la pantomima dei rinvii dell’incontro fra Donald Trump e Xi Jinping per chiudere la disputa commerciale fa deporre per la seconda ipotesi. Nemmeno a dirlo, tutta strumentale.

E la Bce, cosa farà? Davvero starà ferma fino a settembre, quando partiranno le aste di rifinanziamento per il sistema bancario? Davvero l’aver bloccato i tassi per tutto il 2019 con un mese di anticipo rispetto alla Fed e a livello zero sarà sufficiente a fornire un sostegno a un’economia, quella dell’eurozona, che parte da fondamentali più fragili di quella statunitense, non fosse altro per le criticità ormai croniche del sistema bancario, talmente profonde da riguardare adesso anche il suo cuore pulsante, cioè la Germania? Non è questione da poco. Anzi. Eppure, pare non interessare a nessuno. Almeno per ora.