Ricomincia dal fronte bancario l’eterno scontento e la rissa permanente di una costruzione europea nata male e a tutt’oggi priva di correttivi democratici. Questione di mesi, se non di settimane, e il problema banche si riproporrà con tutta la sua forza, a costituire una ipoteca in più per il cammino dell’economia e della politica unitarie. Proviamo a capire perché, partendo da una premessa istituzionale importante.



“Aver scongiurato l’apertura di una procedura d’infrazione per il mancato rispetto di norme liberamente sottoscritte è un elemento che rafforza la fiducia e conferisce stabilità”, ha quasi sillabato il Presidente Mattarella nel suo discorso alla nazione il 31 sera, riferendosi causticamente alla procedura brancaleonica con la quale il Governo gialloverde ha imposto alle Camera la manovra di bilancio 2019 così come concordata – si fa per dire – a Bruxelles. Ma Mattarella ha usato una formula spinosa scegliendo quell’espressione: “norme liberamente sottoscritte”. Giusta, per carità: giustissima. Ma strutturalmente precaria, in quanto correla definitivamente e – si direbbe – inderogabilmente un atto squisitamente politico e datato (cioè l’atto della “libera sottoscrizione” di quelle norme da parte di un dato Governo italiano in un dato contesto europeo) al contesto di oggi e di domani, che sono diversissimi, e alle premesse politiche di oggi e di domani, altrettanto diverse.



Il quadro economico politico globale è diversissimo da quello in cui l’Italia ha sottoscritto l’adesione alla regole dell’Unione economica e monetaria, com’è diversissima la situazione economica, politica e sociale del nostro Paese come di tutti gli altri paesi membri dell’Unione che variamente ne soffrono e denunziano questa sofferenza verso quelle stesse norme liberamente sottoscritte, che evidentemente andrebbero liberamente rinegoziate oggi.

Ne sarà drammatica riprova quanto sta accadendo sotto traccia nel settore bancario europeo, come meritoriamente raccontato in Italia soltanto dal Sole 24 Ore, e come potrebbe presto avere ripercussioni proprio nel nostro Paese. Attualmente la vigilanza bancaria europea è esercitata dalla Bce in regime di autonomia assoluta rispetto alla linea di politica monetaria affidata al consiglio che fino al prossimo novembre è presieduto da Mario Draghi. La vigilanza è gestita da un altro consiglio, oggi guidato dalla francese Danièle Nouy che presto sarà sostituita da un altro italiano, ex Bankitalia, Andrea Enria. Ebbene: è la Nouy con la sua struttura ad aver gestito finora i famosi “stress test”, ovvero quelle prove simulate algoritmiche delle conseguenze che determinate situazioni di crisi finanziaria avrebbero sulle banche dei vari paesi dell’Eurozona.



La Nouy è stata attaccata duramente dal presidente del Parlamento tedesco, l’ex ministro delle finanze Wolfgang Schauble, che ha rivelato una scelta – chiedendone severamente conto – che ha lasciato il mondo di stucco. Schauble ha rivelato, cioè, che l’esecuzione materiale di questi stress test non era stata affidata dalla Nouy a funzionari interni alla Bce, ma a consulenti esterni. E che consulenti: il colosso Blackrock, primo investitore mondiale anche nel settore bancario. Incaricato per il 2018, ma già per il 2016, l’anno in cui gli stress test condussero alla procedura di nazionalizzazione del Monte dei Paschi di Siena!

Dunque la Nouy ritiene che un colosso che investe per mestiere in moltissime – ma non tutte – banche del mondo non sia inquinato, nella sua capacità di giudizio, dall’interesse di non interferire con l’esito degli stress test sul corso borsistico delle banche nelle quali ha investito! Capite a che punto di miopia arriva l’inadeguatezza di certi poteri forti che non sono oggi responsabili delle loro scelte nei confronti di nessuno?

In queste mani siamo. Siamo nelle mani di soggetti nominati al di fuori di qualsiasi controllo sia democratico che, ancor meno, meritocratico, e privi del benché minimo senso di opportunità politica e di rigore istituzionale. Pensare che le banche europee debbano dipendere dalle scelte e dalle valutazioni di personaggi capaci di queste gravissime banalizzazioni è agghiacciante.

Certo, qualcuno ha “liberamente sottoscritto” a suo tempo quel cumulo quasi inestricabile di norme scadenti che rende possibile una simile sconcezza. Ma ciò non toglie che oggi emerge, questo cumulo, nella sua drammatica nocività e va smantellato. Fortuna che a dirlo non è un grillino semianalfabeta o qualche leghista montanaro, con una precaria terza media inferiore all’attivo, ma il Parlamento tedesco, guidato dal “falco” Schauble. Chissà che qualcuno, tra Bruxelles e Francoforte, non si dia una sveglia.

Questo caos primordiale della regolazione bancaria europea potrebbe riverberarsi pesantemente sull’Italia dove, a fronte degli innegabili miglioramenti che il sistema bancario ha vissuto smaltendo molti Npl (non performing loans, debiti che non producono interessi, ndr), resta aperto un pericoloso bubbone: Carige.

Un tempo decima banca d’Italia, sventrata da un ventennio di malagestio illecita – stando alle condanne comminate in appello a chi ne aveva guidato la gestione – e oggi afflitta da un azionariato inadeguato e casuale, dovrebbe fisiologicamente essere presto avviata a una fusione con un gruppo più grande e più liquido, capace di gestire al meglio la risoluzione dei fardelli del passato. Ma quest’ovvio esito incontra inspiegabili e deplorevoli intoppi. Si vedrà.

Il guaio è che però il termometro della salute bancaria, che sono appunto gli stress test, si è a questo punto innegabilmente rivelato un termometro rotto. E del resto, l’iniquità della legislazione internazionale in materia di banche è stata voluta com’è oggi in particolare dai tedeschi, i quali – per coprire le magagne gravissime dei loro istituti, gravati da un’esposizione verso i titoli tossici irrimediabile – hanno spostato i riflettori sul rischio contenuto nelle immobilizzazioni in titoli di Stato, tipiche delle banche italiane. Una mossa di distrazione di massa. Dunque, ingiustizie su ingiustizie.

Un cumulo di storture che in teoria le elezioni europee dovrebbero porre al centro del dibattito elettorale per poter poi promuovere dalla sede propria, quella democratica di Strasburgo, un risanamento di tutte le norme europee sbagliate o invecchiate. Quelle sull’economia e la finanza pubblica, ma anche quelle – intimamente correlate – sulle banche. Ma sperare che il voto di maggio possa rivelare un simile, salvifico potere pecca sicuramente di ottimismo…