Ieri mattina il nuovo capo del Consiglio di supervisione bancaria della Bce, l’italiano Andrea Enria, è entrato in carica firmando il commissariamento dell’italiana Carige. Un esordio difficile: non il primo per il tecnocrate formatosi in Bankitalia. Sette anni fa – era il dicembre 2011 – Enria era stato designato da pochi mesi a capo dell’Eba: l’originaria authority di vigilanza bancaria creata dall’Ue dopo lo scoppio della grande crisi finanziaria (Mario Draghi era in carica come presidente della Bce da appena un mese: aveva vigilato sulle banche italiane nei sei anni precedenti, ma a Francoforte, a fine 2011, non aveva alcun potere sul sistema creditizio). Il debutto operativo dell’Eba fu uno stress test che mise in ginocchio anzitutto il sistema bancario italiano: valutato nelle settimane di picco dello spread, quindi nel momento di massima debolezza delle banche italiane rispetto ai nuovi parametri patrimoniali di vigilanza.



Da UniCredit a Mps alle Popolari: pochi gruppi evitarono pesanti ricapitalizzazioni (risparmiate invece per gran parte agli intermediari francesi e tedeschi). Si ritrovarono invece nella spirale sempre più vorticosa fra gli effetti creditizi della recessione da austerity e i vincoli sempre più pressanti da parte della supervisione europea, che due anni dopo passò sotto la responsabilità diretta della Bce.



Da allora la stabilità del sistema bancario italiano è costantemente peggiorata (non da ultimo in parallelo con la fiducia dell’opinione pubblica italiana nell’Europa delle banche). Carige è solo l’ultimo dissesto a essere certificato in Italia nell’ultimo triennio: dopo Etruria e le altre tre banche regionali “risolte”, la lunga agonia delle Popolari venete e il salvataggio pubblico di Mps. Una crisi conclamata quella della Cassa genovese: il principale responsabile – l’ex presidente Giovanni Berneschi – è stato arrestato la prima volta già nel maggio 2014 e due anni fa è stato condannato a una pesante pena detentiva per svariati reati societari e finanziari.



Ha lasciato una Carige in forte difficoltà, ma non irrecuperabile. Tanto che nel 2015 Vittorio Malacalza, finanziere genovese, scommise sul suo possibile rilancio, diventandone il primo azionista e contando di incassarne profitti finanziari e di potere. L’esito è stato diverso: non da ultimo perché altri finanzieri (come il raider italo-britannico Mincione) avevano messo gli occhi sul rischioso “affare Carige”. È stato così che tra baruffe in consiglio e ricambi di manager (ultimi, da un paio di mesi, il neo-presidente Pietro Modiano e il neo-amministratore delegato Fabio Innocenzi, da ieri commissari), Carige è giunta a un capolinea a questo punto inevitabile. Non una banca “fallita”, ma una banca certamente bisognosa di nuovi capitali.

Malacalza – è cronaca della vigilia di Natale – non poteva reggere l’aumento e ha cercato di guadagnare scampoli di tempo: bloccando l’assemblea e tentando fino all’ultimo una soluzione di mercato. La coincidenza con il cambio della guardia in Bce fra Danièle Nouy ed Enria alla fine può essersi rivelata neutra: i giorni non concessi a Carige nel 2019 sono stati quelli (molti di più) garantiti nel 2018, quando il brusco cambio di quadro politico-istituzionale nell’Ue ha messo progressivamente in stand by la vigilanza di Francoforte. Certamente un nuovo capo (italiano) della vigilanza non poteva indugiare: senza dimenticare che il responsabile formale della supervisione nell’eurozona è sempre Draghi, entrato ieri nel suo ultimo anno di presidenza Bce.

E mentre è fuori di dubbio che il commissariamento di Carige sia un nuova sconfitta di Bankitalia, è prevedibile che il caso alimenti in Italia ritorni di fiamma anti-europei. Attorno, ad esempio, a questa domanda: perché Carige è stata alla fine commissariata mentre su Deutsche Bank la Bce (e l’autorità nazionale tedesca Bafin) non hanno mai nulla da accertare o imporre?

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