La Federal Reserve lascia perplessi i mercati mondiali, la guerra sui dazi tra Usa e Cina è tutt’altro che vicina all’epilogo e in Europa la locomotiva tedesca rallenta paurosamente. Eppure, sottolinea Alessandro Magagnoli, analista tecnico e co-fondatore di Financial Trend Analysis (Ftaonline), “nonostante tutto questo, l’Italia dimostra una forza relativa decisamente favorevole, quando invece, anche per il susseguirsi di revisioni peggiorative sulla crescita del Pil 2019, sarebbe naturale aspettarsi una Borsa in tono molto dimesso”. Piano, però, con i trionfalismi: “E’ difficile immaginare che il mercato italiano possa fare molto meglio di quanto già fatto vedere finora. Il rischio di una correzione, pur magari con la possibilità di archiviare in ogni caso il 2019 con un buon rialzo, è dunque elevato”. In estrema sintesi, sui mercati azionari mondiali i venti che gonfiano le vele dei rialzi sembrano destinati ad affievolirsi.



Partiamo, intanto, dall’anomalia che, pur in presenza di cattive notizie, Piazza Affari abbia reagito positivamente. Come si spiega questa apparente incongruenza?

Merito dell’atteggiamento che la Bce ha preso nei confronti della crisi della zona euro, un atteggiamento che sembra particolarmente benevolo nei confronti dell’Italia.



In che senso?

Gli operatori stanno cercando di farsi un’idea su come saranno regolate le prossime operazioni di rifinanziamento annunciate a inizio marzo dalla Bce. Il tasso sui Tltro potrebbe essere negativo, quindi le banche troverebbero conveniente attingere alla liquidità messa a disposizione dalla Bce, dal momento che i tassi inferiori a zero potrebbero incoraggiare le operazioni di carry trade: prendere a prestito a un costo basso per fare un investimento a basso rischio, e con i rating attuali questo potrebbe includere anche i Btp.

Una conferma a questa ipotesi arriva anche dal trend dello spread?



Lo stabilizzarsi sotto i 240 punti base, supporto con il quale lo spread sta flirtando ormai da alcune sedute, potrebbe dar ragione a queste aspettative. Sotto area 240 sul grafico dello spread verrebbe completato un ampio testa spalle ribassista, figura che potrebbe anticipare il ritorno verso i 165/170 punti base. La figura, al contrario, verrebbe negata dal ritorno oltre i 252 punti base.

Le misure della Bce avrebbero come effetto il sostegno al debito italiano?

Guardiamo al Btp future. Ha superato di recente la resistenza a 127,75, ultimo dei ritracciamenti di Fibonacci, il 78,6%, calcolati per il ribasso dai massimi di maggio 2018 a 131,70, livello che ora entra nel mirino del rialzo. A questo punto è possibile che in poco tempo il decennale italiano torni a quotare sugli stessi livelli precedenti la crisi di fine 2018, e tutto questo senza che ci siano state notizie di miglioramento del quadro economico. Anzi, si è verificato il contrario.

Insomma, “l’ombrello di Draghi” è tutt’altro che chiuso?

Al momento è così ed è una prospettiva della quale potrebbe avvantaggiarsi proprio Piazza Affari, visto il peso rilevante del comparto bancario e della presenza di Btp nei portafogli degli istituti di credito.

C’è da brindare, quindi, per lo scampato pericolo?

No, la statistica invita alla prudenza. In questo primo trimestre, ormai prossimo alla conclusione, l’indice Ftse Mib ha già guadagnato il 17% rispetto alla chiusura del 2018. Negli ultimi dieci anni, però, solo una volta il primo trimestre dell’anno si era concluso con una performance maggiore, nel 2015 con un +21,8%, ma nei trimestri successivi, nonostante i ripetuti tentativi, Piazza Affari non era riuscita ad allungare il passo e si era dovuta accontentare a fine anno di un +12,65%. Dal 2000 a oggi solo nel 2013 e nel 2009 il saldo dell’intero anno è stato simile al guadagno già messo a segno dalla Borsa in questo primo trimestre.

In pratica, nonostante la forza relativa attuale, la Borsa italiana dipende sempre da quel che succede nel mondo. A tal proposito, a inizio settimana, gli occhi erano tutti puntati sul Fomc, il Comitato di politica monetaria della Federal Reserve. Perché?

Le attese non erano tanto per l’andamento dei tassi d’interesse, visto che la loro stabilità era data per scontata, quanto per i messaggi, espliciti o impliciti, che la banca centrale fa seguire normalmente alla riunione. E la Fed non ha sorpreso sul fronte del costo del denaro, lasciandolo invariato e lasciando intendere che non ci saranno altri rialzi per il 2019.

L’effetto di questa notizia sulle azioni?

Non è stato positivo come si potrebbe immaginare. A lasciare perplessi è stato il fatto che i membri della Fed hanno fatto capire chiaramente come nel 2019 potrebbero non esserci altri rialzi. Anzi, molti osservatori sono ormai pronti a scommettere che il prossimo intervento sul costo del denaro sarà addirittura un taglio. Comunque per i mercati un atteggiamento così prudente della Fed è stato interpretato come il sintomo di un’economia in rallentamento. Una perplessità che non verrà cancellata facilmente.

A chiudere il cerchio ha contribuito anche il calo dei rendimenti dei Treasury?

Certo. Con conseguente discesa delle quotazioni anche dei titoli bancari. Il titolo del Tesoro Usa decennale è sceso ai minimi da un anno a questa parte al 2,532%, quello con scadenza a due anni al 2,4%. E l’andamento grafico dell’Spdr S&P Bank Etf è preoccupante, soprattutto se confrontato con l’S&P 500: le due curve si sono mosse in sintonia fino a pochi giorni fa, ma quella dell’Etf ora ha accelerato al ribasso. Un comportamento che potrebbe anticipare un analogo andamento anche da parte dell’indice.

Quali sono i livelli chiave dell’Etf sulle banche?

La violazione di area 41,90, minimo del “martello” del 31 gennaio – candela giornaliera con forte capacità di supporto – sarebbe un segnale di debolezza che difficilmente potrebbe realizzarsi in assenza di un’analoga condizione anche da parte dell’S&P 500. Indice che già al di sotto dei 2.745 punti della media mobile esponenziale a 50 giorni inizierebbe a denunciare un’evidente stanchezza dell’uptrend.

Novità non del tutto positive sembrano arrivare anche dai colloqui Usa-Cina sui dazi, non è vero?

Le dichiarazioni di Trump sui dazi con la Cina, che potrebbero rimanere per un periodo di tempo prolungato, hanno aggiunto nervosismo: l’idea che si possa arrivare a un accordo in tempi brevi sta svanendo. Ottimisticamente la data per un’eventuale accordo si sta spostando da fine marzo a giugno.

Oltre al comparto banche, ci sono altri “canarini nella miniera” da guardare con attenzione per cercare di anticipare eventuali cambi di rotta della Borsa Usa?

Nelle ultime giornate a preoccupare gli osservatori è stato FedEx, uno dei titoli di maggior valore simbolico come elemento anticipatore del ciclo economico. FedEx ha abbassato per la seconda volta in due mesi le previsioni relative ai profitti annuali e ha indicato che, nonostante l’apparente solidità dell’economia Usa, a livello globale è percepibile un rallentamento, soprattutto in Europa.

Quindi?

Non è difficile notare similitudini nel comportamento tra il grafico di FedEx e quello dell’S&P 500: spesso i cambiamenti di trend del primo anticipano quanto poi succede al secondo. Trasporti e logistica, del resto, sono da sempre un eccellente anticipatore dello stato dell’economia e quindi anche dei profitti delle aziende. Lo stesso Charles Dow, padre fondatore dell’analisi tecnica moderna, suggeriva di analizzare sempre il Dow Jones Industrial in combinazione con il Dow Jones Transportation: conferme o divergenze tra i loro comportamenti sono utili per dare maggiore consistenza alle previsioni.

Cosa dicono i grafici?

Se sul grafico dell’S&P 500 il rimbalzo dai minimi di fine dicembre ha fatto molta strada, ripercorrendo quasi per intero il precedente ribasso, nel caso di FedEx il ritracciamento è stato molto più contenuto, limitandosi al 30% circa della discesa iniziata dai massimi di gennaio 2018. Nelle ultime settimane i prezzi hanno tentato a più riprese di risalire oltre la media esponenziale a 50 giorni, ora passante a 181 dollari circa, senza riuscirci in modo convincente. In area 185 si colloca anche il lato alto del gap ribassista del 19 dicembre scorso. L’eventuale violazione della trend line che sale dai minimi di marzo 2009, passante a 152 circa, segnalerebbe la fine del rimbalzo e la ripresa del trend ribassista dell’ultimo anno circa, che per il momento ha ritracciato il 50% circa del rialzo dai minimi di inizio 2009. Sotto area 152 si rischierebbe il ritorno sui minimi del 2016 in area 120 dollari. Difficile immaginare che la ripresa del ribasso per FedEx possa avvenire senza un capovolgimento di fronte anche da parte dell’S&P 500. La rottura di area 185, resistenza che però si sta allontanando velocemente dopo il calo delle ultime ore, sarebbe invece un segnale di forza sia per il titolo sia per il mercato nel suo complesso.

Si accennava prima alla debole congiuntura dell’Europa. Si avvertono già scricchiolii preoccupanti?

Sì, sul mercato tedesco, dove il Dax, dopo un fugace test di area 11.800, ha ingranato la retromarcia, interrompendo la salita delle ultime settimane. Il Dax future, dai minimi dell’8 marzo, ha disegnato un movimento in 5 onde praticamente da manuale, un movimento che potrebbe dimostrarsi l’ultimo di un terzetto correttivo iniziato lo scorso dicembre.

Che cosa significa?

E’ possibile che con il top del 19 marzo sia terminata l’ipotetica onda C del movimento rialzista partito a fine dicembre 2018, del quale il rialzo fino al 5 febbraio sarebbe stato l’onda A. La violazione della base del canale che contiene tutto il rialzo, passante a 11.420 punti circa, farebbe temere ribassi ben più estesi, che nella migliore delle ipotesi potrebbero puntare ai 10.800 punti circa, ma che nella peggiore potrebbero anche rimangiarsi per intero il rialzo da area 10.270. Solo oltre area 11.700 dal grafico del Dax future verrebbero i primi indizi di ripresa. E solo se il Dax troverà la forza per reagire e cancellare i recenti segnali negativi, per il Ftse Mib potrebbe non interrompersi la stagione del rialzo.

(Marco Biscella)