Prima di tutto, una doverosa presa d’atto. Nonostante io mi sia limitato a riportare la previsione di Nomura nel mio articolo di venerdì scorso, occorre sottolineare come la banca d’affari non ci abbia preso: la sua correlazione con il 2007-2008, la quale prevedeva in quel giorno un primo, netto calo dello Standard&Poor’s 500 destinato a sostanziarsi nell’atto iniziale di una stringa negativa di almeno 9 sedute – in grado di generare un -5% sull’indice – non si è avverata. Anzi, Wall Street ha chiuso positiva. L’S&P’s 500 addirittura dell’1,32%.



Certo, quando a Borsa aperta le solite fonti ben informate non solo mettono in giro la voce di un allentamento del regime tariffario fra Usa e Cina in attesa di giungere a un accordo, ma, addirittura, di Pechino pronta a sei anni consecutivi di aumenti delle importazioni dagli Stati Uniti, fino all’azzeramento del surplus commerciale, è difficile che i corsi delle equities possano ignorare la notizia, vera o falsa che sia. E, come al solito, reagire come il cane di Pavlov. Ma tant’è, mi pareva giusto sottolinearlo, per trasparenza nei vostri confronti. Detto questo, che dire? Ormai sono un po’ a corto di parole per descrivere cose vecchie con il vestito nuovo, parafrasando Francesco Guccini. Il mondo gira attorno a se stesso e non sembra intenzionato a fermarsi, quantomeno per prendere atto di cosa stia accedendo e fare il punto.



Primo, dati dell’Institute of International Finance (Iif) alla mano, l’indebitamento pubblico e privato del mondo ha toccato la cifra record di 244 triliardi di dollari, ben oltre le tre volte il Pil globale e pari a una ratio debito/Pil del 318% nel terzo trimestre del 2018. Insomma, anneghiamo letteralmente nel debito. E con le Banche centrali pronte a tornare in azione a forza quattro per evitare schianti frontali, quella marea pare destinata a crescere ancora. Diventando, di fatto, l’ossigeno stesso che tiene in vita il sistema. Il sangue.

Qualche dato? Il totale del debito governativo oggi eccede i 65 triliardi di dollari, in netto aumento dai 37 triliardi di solo dieci anni fa. Il debito privato non finanziario lo scorso anno ha sfondato la quota totale di 72 triliardi, il nuovo massimo storico con una ratio sul Pil del 92%. Il debito privato dei cittadini è cresciuto di oltre il 30% a quota 46 triliardi, spinto in alto soprattutto dalla forte crescita nei Paesi emergenti, Cina in testa. Ma, attenzione, perché Repubblica Ceca, India, Messico, Corea del Sud, Malaysia e Cile hanno tutti registrato aumenti dell’indebitamento privato superiore al 20% dal 2016. Infine, l’indebitamento del settore finanziario è cresciuto a circa 60 triliardi di dollari, il 10% in più in dieci anni. Questo, alla faccia della lezione impartita dal crollo di Lehman Brothers che tutti giuravano di aver imparato. Balle. Ma tanto, chi se ne importa. Ci penseremo più avanti, ora l’importante è portare a casa la pelle. Anzi, ci penseranno i nostri figli e nipoti, tanto il carico debitorio dei nostri errori di oggi ricadrà sulle loro spalle. Noi saremo cibo per i vermi, nel frattempo.



Ma la tv non dice nulla al riguardo, ci parla dell’ultima proposta di Donald Trump ai Democratici per rompere l’impasse sullo shutdown, ci parla dell’ennesimo naufragio nel Mediterraneo, ci mostra tutta una serie di priorità molto mediatiche che ci tengono buoni, ammansiti, anestetizzati e soprattutto sintonizzati sulle lunghezze d’onda che fanno comodo alle tanto vituperate élites. Eh già, le élites. Che brutta cosa, quale orrido nemico da combattere! Meno male che ci sono i gilet gialli a tenere alta la bandiera del popolo contro l’establishment affamatore, quello che alla richiesta di pane, risponde sarcasticamente e in maniera 2.0 di mangiare i muffin di Starbucks! Sabato, per il decimo fine settimana di fila, sono scesi in piazza in tutta la Francia, per la prima volta dal lancio del cosiddetto “Dibattito nazionale” voluto da Emmanuel Macron per aprire un ponte di dialogo con i fronti della protesta. Tradotto, spaccare il movimento: divide et impera. Erano sempre meno in tutto il Paese e, questo per fortuna, sempre meno violenti, solo pochi scontri a Parigi a fine giornata.

In compenso, fuori dalla Francia non arriva tutta la verità. Arriva solo quella che fa comodo ma non questa ad esempio, proveniente da Tolosa, ma esemplificativa di un trend tutt’altro che residuale: chi stanno colpendo in maniera diretta e immediata i gilet gialli con la loro protesta, soprattutto quella violenta che tiene lontana la gente comune da strade e piazze nel giorno deputato alle spese per antonomasia? I piccoli commercianti. I quali, dal canto loro, hanno dato vita a una campagna di vendita degli esercizi, sottolineando come il clima da guerra civile permanente stia dando un’ulteriore mano non solo ai grandi centri commerciali, meno attaccabili perché solitamente ubicate in zona molto presidiate dalla polizia, ma, soprattutto, al commercio on-line e al suo gigante quasi monopolista, Amazon.

Insomma, morte ai bottegai! I quali, però, danno lavoro, hanno famiglie da mantenere e spesso e volentieri con le loro attività commerciali mantengono vive strade e quartieri che altrimenti si caratterizzerebbero solo per la presenza di una fermata del bus che ti porta in centro, lontano dalla miseria e nel cuore delle vetrine scintillanti. Ma si sa, certe cose è meglio non raccontarle in giro. Tanto più che, stando a un sondaggio lampo sempre condotto da Le Figaro, nell’ultima settimana il gradimento di Emmanuel Macron, per la prima volta da mesi, è timidamente cominciato a risalire. Tu guarda che caso, che combinazione. E, sempre casualmente, a casa nostra il Movimento 5 Stelle ha archiviato la pratica dell’asse politico proprio con i gilet gialli alla velocità della luce. Puff, sparito. D’altronde, il reddito di cittadinanza è realtà! La grande battaglia è stata vinta, insieme a quella per quota 100! E, soprattutto, per ora, non si parla di manovra correttiva, stante il peggioramento del quadro economico rispetto ai calcoli vagamente ottimistici del Governo (come dimenticare il fantasmagorico 3% di crescita vaticinato da quel Nobel in cerca d’autore del ministro Paolo Savona, grazie al cielo nel frattempo sparito dai radar?).

E quel per ora scritto in corsivo è voluto, perché è stato sottolineato dal primo ministro in persona, Giuseppe Conte, nel corso dell’inaugurazione delle iniziative per Matera capitale culturale europea. I suoi due vice, Batman e Robin, hanno negato in maniera chiara e netta quell’ipotesi: un po’ come negarono qualsiasi tipo di trattativa con l’Europa sul deficit al 2,4%, soglia dalla quale non ci sarebbe schiodati nemmeno con la Troika alle porte. Lui, invece, in punta di coscienza ha pronunciato quel per ora, perché sa che la situazione sta precipitando a livello globale e, soprattutto, europeo. Quindi, occorre essere seri.

E che la recessione sia già qui, sull’uscio di casa, lo mostrano questi due grafici, plasticamente. Il primo è l’indicatore del Pil globale preferito dall’Ocse, il quale nel suo aggiornamento pubblicato all’inizio della scorsa settimana ci dice che, dopo undici mesi di cali consecutivi dal picco del dicembre 2017, oggi siamo nell’esatta posizione del momentum economico in cui si incorse in recessione globale, quando terminarono i due cicli di crescita precedenti. Il secondo, invece, è ancora più preoccupante, perché ci mostra come per trimestri interi la narrativa, ufficiale e mediatica, abbia negato quella che era già una realtà. Su dati Ubs, compara l’andamento del Pil tedesco con la crescita del cosiddetto Kurzarbeit, il lavoro a tempo determinato, in Germania. Un qualcosa che, in un’economia come quella tedesca, è il classico canarino nella miniera del rallentamento da contrazione della crescita, da instabilità, da incertezza nel futuro economico.

Guardate quando è cominciata a crescere quella striscia, non certo nell’ultimo trimestre: il problema è che prima c’era il Qe, inteso in questo caso come acquisti di debito corporate. E tutto sembrava il paradiso degli unicorni, visto che anche le aziende tedesche e francesi potevano finanziarsi a costo zero presso la Bce, emettendo obbligazioni con il badile, a qualsiasi prezzo, con qualsiasi cedola e rating e su qualsiasi ammontare di controvalore, bypassando bellamente le forche caudine del finanziamento tramite il sistema bancario. Ora, per citare il ministro dell’Interno, la pacchia invece è finita. E guarda caso, siamo entrati in recessione tecnica alla velocità della luce, quasi dalla sera alla mattina. Ma guarda un po’ che combinazione, non vi pare? Quindi, sarà anche vero che, come dice il ministro Di Maio, Bankitalia non ci azzecca quasi mai nelle sue previsioni, bollate oggi come “catastrofiste”, ma qui è la realtà che parla chiaro, non palazzo Koch e il suo centro studi. Negarlo, non è solo patetico, è criminale.

E attenzione, perché come vi ho detto qualche tempo fa, nel weekend – casualmente – in Irlanda del Nord sono tornate le autobombe. Per ora, senza conseguenze. Solo segnali, avvertimenti. Ma quella suonata (anzi, esplosa) fuori dal tribunale di Londonderry/Derry è stata una sveglia che fingere di non sentire potrebbe costare caro, molto caro. Il Brexit è infatti un qualcosa che va ben oltre il risultato del referendum del 2016. Va oltre anche la volontà popolare britannica espressa, sacrosanta comunque la si pensi. Si tratta di uno snodo, un Rubicone in vista del voto di fine maggio. Mese per raggiungere il quale, non si faranno prigionieri. Attenzione, quindi, a scoperchiare troppi vasi di Pandora.