Ora, ragioniamo con calma. Io non ho alcuna conoscenza specifica di ordine pubblico, se non i rudimenti di sopravvivenza garantitimi dalla vita per strada e allo stadio: come militante politico in gioventù, come tifoso di calcio e poi come giornalista, spesso inviato in passato. Insomma, riesco a non finire chiuso a morsa fra due cordoni di celerini, ma non sono certo un funzionario di PS. Probabilmente, quindi, è questa mia pecca originale a farmi pensare che, per l’ennesima volta, la grande macchina della provocazione sia in atto. Cose note? Non tutte, fidatevi, ci sono novità molto interessanti. E. comunque, in tempi come questi, repetita iuvant. Andiamo con ordine, partendo però dalla grande novità politica emersa ieri a livello nazionale. Il ministro Luigi Di Maio, dopo aver manifestato pubblicamente la sua solidarietà ai gilet gialli francesi e averli invitati a non mollare, ha messo a loro disposizione la piattaforma Rousseau del Movimento 5 Stelle: «Una nuova Europa sta nascendo. Quella dei gilet gialli, quella dei movimenti, quella della democrazia diretta». Più timidamente e con dei distinguo, subito dopo si è accodato anche il ministro Salvini: «Sostegno ai cittadini perbene che protestano contro un presidente che governa contro il suo popolo ma assoluta, ferma e totale condanna di ogni episodio di violenza che non serve a nessuno».



Et voilà, la pantomima si dipana e finalmente – come begli Usa o nel Regno Unito che sta prendendo coscienza – la nebbia dell’inganno sovranista comincia a diradarsi plasticamente. Sabato 5 gennaio, dopo una pausa per le festività natalizie e di fine anno che hanno messo in stand-by la rivoluzione (sigh), a Parigi e nel resto della Francia sono tornati in piazza gli ormai mitici gilet gialli: per la prima volta dal discorso alla nazione rivolto da Emmanuel Macron, in numero consistente – ancorché ben distante dalla massa iniziale – e con intenti decisamente bellicosi, fin da principio. La Ville lumiere è tornata a bruciare. Addirittura hanno abbattuto la porta d’ingresso di un ministero con una ruspa, terrorizzando il personale all’interno e costringendolo alla fuga da uscite secondarie. Roba da presa della Bastiglia in sedicesimi, reloaded, 2.0. Chiamatela come volete, l’idea è quella. Molto simbolica.



Vi pare normale che, dopo sette weekend più o meno caratterizzati da atti di violenza di strada, la polizia non solo si sia fatta cogliere di sorpresa per l’ennesima volta, nonostante i manifestanti fossero solo 8mila in totale e i facinorosi reali molto meno e che, soprattutto, una ruspa sia riuscita ad arrivare nel centro del potere cittadino, nel cuore dell’area di governo, davanti a un ministero? Il tutto, non scordando un piccolo particolare: alla vigilia della mobilitazione, l’ottavo sabato di rivolta, il governo aveva fatto arrestare con un pretesto patetico – manifestazione non autorizzata – uno dei leader dei gilet gialli, forse il più carismatico e mediatico, Eric Drouet. Giovane, ribelle, barba incolta ma in realtà curatissima, sguardo magnetico: il Che Guevara perfetto per la nouvelle revolution, perfetto per un docufilm di Netflix, così come per un dibattito su RTL o France 2.



Immagino che, al mio pari, Emmanuel Macron non conosca nulla oltre i rudimenti base dell’ordine pubblico. D’altronde, ha fatto il banchiere per tutta la vita lavorativa, prima di approdare alla politica. E temo che fra le sue sicuramente dotte e raffinate letture, non abbiano trovato posto né Sun-Tzu, né Von Clausewitz. Perché se sei riuscito a smorzare un po’ gli animi grazie al tuo appello-compromesso e al Natale giunto giusto in tempo, arrestare il leader della protesta con una scusa idiota prima della manifestazione del grande ritorno in piazza non appare esattamente una mossa strategica. A meno che l’idea e la finalità non fosse proprio quella di attizzare nuovamente il fuoco che covava sotto la cenere cosparsa a piene mani dalla pausa per le festività, sacre anche per rivoltosi e rivoluzionari.

Che dite, uniamo per l’ennesima volta i puntini come nella Settimana Enigmistica e, guarda caso, salta fuori il casus belli perfetto? Non a caso, a disordini appena sedati, il buon Emmanuel Macron, ha dichiarato compunto che «la violenza estrema attacca la Repubblica. Giustizia sarà fatta». Ovvero, ancora un sabato di incidenti e, state certi, lo stato di emergenza minacciato dopo i primi due weekend di vandalismi e violenze verrà proclamato: quasi certamente, fra gli applausi della maggioranza dei francesi. E a quel punto, come fu per Hollande dopo il Bataclan, l’Eliseo godrà di poteri pressoché totali, anche nei confronti dell’Assemblea Nazionale. Il tutto, in vista di un voto europeo di maggio che appare quantomeno spartiacque. Storico, diciamo pure. E non solo per l’Europa, paradossalmente anche per la presidenza Macron, sempre più in difficoltà per il caso Benalla.

Ed ecco arrivare la seconda parte del discorso, quella relativa alla “sindrome Folagra” e che accomuna la Francia dei gilet gialli all’Italia del governo gialloverde alla Gran Bretagna del Brexit. Guardate un’altra volta questa tabella, è relativo a un instant-survey compiuto da Ipsos France subito prima del discorso alla nazione di Emmanuel Macron, quando il movimento dei gilet gialli era al massimo del suo consenso fra la popolazione. Di fatto, è una proiezione relativa alle intenzioni di voto in caso di ipotetiche elezioni, contemplando le due ipotesi: ovvero, la presenza o meno di un potenziale partito dei gilet gialli. Come vedete, un botto. Non a livello di M5S, ma, attenzione, qui siamo di fronte a un mero movimento di protesta, senza alcun vertice, né sede, né programma. E nato ufficialmente solo il 17 novembre, dopo un video su Facebook di un’anonima cittadina esasperata dal caro-carburante. E a chi ruba consensi questo ipotetico partito della rivoluzione dal basso, l’ennesimo in epoca di sovranismo alla conquista del mondo? A tutti i partiti di opposizione tradizionale, tranne che al partito di Emmanuel Macron. Il quale, infatti, non verrebbe scalfito.

Rimarrebbe identico, immutato. Magari al minimo storico di consenso (25%), ma, quantomeno, non in fase di erosione terminale. In compenso, avrebbe chi compie il lavoro sporco per lui: polverizzare le opposizioni storiche, strutturate, tradizionali. Sia di destra, sia di sinistra. Sia la Le Pen, sia Melenchon. I quali, non a caso, fiutata l’aria, si sono messi a flirtare – seppur con diversi gradi di attrazione – con le ragioni dei rivoltosi, quasi a cercare un accordo, un punto di contatto, i prodromi ancora timidi di un’alleanza. E i numeri parlano chiaro. Stando a un sondaggio realizzato a fine dicembre e pubblicato da Franceinfo, la candidatura dei gilet gialli alle europee otterrebbe l’8% dei consensi, contro il 19% di République en marche e il 21% del Rassemblement National (ex Front National) di Marine Le Pen. La presenza di una “lista gialla” andrebbe a togliere voti soprattutto al partito di estrema destra, che perderebbe così tre punti, avvicinandosi ai rivali di En Marche! Ma soprattutto, cos’è accaduto sabato sera, quando ancora le barricate fumavano per le strade di Parigi? Al termine di una riunione tenutasi a Marsiglia nei locali del quotidiano locale La Provence, un gruppo di gilet gialli ha annunciato la creazione di un coordinamento nazionale: “Gilet gialli, il movimento”. Vi ricorda qualcosa?

E sapete chi c’è dietro a questo progetto, nell’aria già da diverse settimane e ora concretizzatosi ancorché solo in fase embrionale? Bernard Tapie, proprietario del giornale, ex presidente dell’Olympique Marsiglia e, soprattutto, cavaliere di ventura che ha attraversato gli ultimi quaranta anni della storia politica (fu membro eminente del Partito socialista, onnipotente anche Oltralpe negli anni Ottanta di Mitterand), imprenditoriale e dei tribunali di Francia. Il perfetto attrezzo del sistema, un uomo buono per tutte le stagioni, un grand commis da strapazzo. Un facilitatore, un faccendiere. Giunto ora alla stagione finale della sua vita, anche a causa di un brutto male diagnosticatogli nel 2017 e intento a dar vita all’ultima missione: favorire la nascita di quello che, nei fatti, sembra l’embrione del Partito dei gilet gialli.

«L’obiettivo sarà quello di coordinare le azioni sul territorio e di lavorare alla creazione di un vero programma sociale attraverso l’insieme delle rivendicazioni», ha dichiarato durante la conferenza stampa Hayk Shahinyan, autoproclamatosi portavoce ufficiale del progetto. I rappresentanti hanno annunciato la creazione di una piattaforma che verrà messa online – vi ricorda qualcosa o qualcuno? – nei prossimi giorni per raccogliere e dare un ordine di priorità alle rivendicazioni della mobilitazione. «I cittadini saranno al centro delle decisioni, delle azioni, dei progetti da realizzare e delle idee» – ha dichiarato Shahinyan, parlando di un’organizzazione «orizzontale e innovatrice».

Anche in questo caso, vi suona qualche campanello di somiglianza? E in base al principio, da sempre benedetto dal potere, del divide et impera, ecco che in contemporanea con la riunione, un centinaio di gilet gialli si sono ritrovati davanti ai cancelli de La Provence per protestare contro i loro colleghi, accusandoli di essere degli “arrivisti” pronti a vendersi per fini personali. E il fatto che Bernard Tapie abbia inoltre deciso di mettere a disposizione dei gilet gialli due pagine de La Provence per il prossimo mese, non solo ha fatto aumentare in molti i sospetti in merito alle sue reali intenzioni di strumentalizzazione del movimento – per conto terzi, l’ultimo omaggio al Potere che tanto lo ha sedotto e tanto gli ha garantito – ma ha anche provocato una vera e propria sommossa dei giornalisti all’interno della redazione. «Un giornale indipendente e apolitico non può servire come base logistica a un movimento politico», ha dichiarato Sophie Manelli, rappresentante del Sindacato azionale dei giornalisti. Insomma, caos e settarismo montanti, mentre le opposizioni istituzionali e parlamentari sono già alle prese con emorragie di consensi e affannose quanto impacciate rincorse: musica per le orecchie dell’Eliseo, un piano che meglio congegnato non si poteva architettare. Non vi pare?

E qui, nel nostro amato Paese, proprio in queste ore non stiamo forse nascondendo dietro la cortina fumogena, politica e mediatica, di 49 disperati in mezzo al mare il redde rationem, finalmente giunto con dati e cifre alla mano, di una manovra economicamente iniqua, falsamente ed elettoralmente redistributiva, assistenziale e totalmente anti-espansiva? Di più, l’intero impianto dell’emergenza e della paura permanente, del decreto sicurezza, dei porti chiusi e della tolleranza zero, non sta – giorno dopo giorno – diventando il sempre meno potente ma ormai unico mastice che tiene unita la compagine di governo, come le stoccate fra alleati partite nel weekend dall’Abruzzo – dove si vota per le regionali il 10 febbraio e dove Lega e M5S sono competitor e avversari – ci hanno mostrato plasticamente? E anche qui, non c’è qualcuno che sempre meno nell’ombra, trama per spaccare il governo e creare maggioranze variabili e convergenze parallele, in vista sia delle tornate regionali che, soprattutto, delle elezioni europee di fine maggio? Non siamo dentro Matrix?