E anche questa pagliacciata di stress test bancari è passata. Ovviamente senza che nessuno si accorgesse che siano tali. Immediatamente è scattata la corsa a chi dice l’idiozia più grossa, ormai una disciplina olimpica nel giornalismo economico-finanziario italiano: si passa dall’allarme rosso con crollo dietro l’angolo alla tesi opposta, ovvero “tutto bene, gli altri stanno molto peggio di noi”. In mezzo, il coté politico, con il ministro Tria a fare da pompiere e il sottosegretario Giorgetti che invece invita a non minimizzare affatto l’argomento. Insomma, il solito teatrino della contrapposizione degno di Kafka. O di Ionesco, più che altro. Nessuno che dica le cose come stanno: ovvero, gli stress test sono ontologicamente una buffonata.



Primo, perché le crisi non arrivano mai avvertendo prima, come un parente che rende noto giorno e ora della sua visita e vi chiede anche se portare il vino rosso o bianco. Secondo, oramai – dopo l’unicum del 2008 – non arrivano mai in modo ordinario. Terzo, conseguenza del secondo: tutti quelli che operano sanno che stanno arrivando, basta vedere come la cosiddetta smart money non resti mai con il cerino in mano e scenda dalla giostra sempre in tempo e sui massimi ma nessuno vuole ammetterlo. Perché, appunto, il 2008 non sarebbe stato tale se, a un certo punto, qualcuno avesse alzato il dito e detto chiaramente che, continuando a cartolarizzare anche l’aria, ci saremmo andati a schiantare. Invece, sono tutti saliti in giostra. E con l’unica preoccupazione di scendere al momento giusto. È il mercato, bellezza! Quindi, di principio non servono a nulla.



Anche perché, fateci caso: tutte le banche e i sistemi creditizi nel loro insieme che hanno necessitato salvataggi, vedi quello spagnolo del 2012, pochi mesi prima erano stati promossi a pieni voti dalle varie autorità, siano l’Eba per gli istituti europei o la Fed per quelli statunitensi. E pensate che nessuno sapesse, a partire proprio dal 2008, che la bolla immobiliare nata sotto il governo Zapatero avrebbe replicato la crisi dei subprime nel ramo real estate d’Oltreoceano? Per favore. Capite da soli il grado di affidabilità di quegli esamini di terza media, quindi.

C’è poi una dato di realtà, il quale affonda le sue radici nel motto supremo che molti attribuiscono ad Alan Greenspan, ex numero uno della Fed: ovvero, quando la situazione è davvero seria, il dovere di un banchiere centrale è quello di mentire. Ed è vero: a volte, dire la verità complica la situazione e non permette di incollare i cocci. O tamponare le falle, prima che si tramutino in cascate. Nel caso in questione, si rischia il panico generalizzato, dei mercati che svendono e dei cittadini che corrono a ritirare i risparmi. Tutti come tanti cani di Pavlov. Un disastro. Quindi, state certi che sia all’Eba che alla Fed sanno benissimo chi sta per tirare le cuoia, ma, giustamente, all’opinione pubblica si dà in pasto il dato innocuo, quello del test di massa senza criticità particolari. Anzi, quello addirittura superato di slancio da tutti i partecipanti. Si narcotizza, si offre metadone di normalità.



Non a caso, sempre in ossequio a quella degenerazione del contesto democratico chiamata trasparenza (certi poteri devono operare all’oscuro delle masse, pena perdere di efficacia nell’intervento), si rende noto al volgo che alcuni stress test avranno risultati pubblici, altri invece resteranno segreti. Un segreto di Pulcinella, ovviamente (vedi le criticità su Carige, note anche ai semafori e ai piccioni di Piazza Duomo), ma come ho anticipato, si tratta di distorsioni di un mondo che si sente libero e democratico soltanto grazie ai social e a gentili concessioni formali come queste, al mantra delle Rete, delle democrazia diretta e dal basso, dell’onestà-onestà. Preferisco uno meno onesto ma competente, quando si tratta di maneggiare certi argomenti.

Qual è la situazione reale? Mi piacerebbe saperlo, davvero. Una cosa però la so e come me la gran parte dei giornalisti di settore: a differenza loro, però, io non la tengo nascosta. Venerdì scorso, lo stesso giorno della pubblicazione degli esiti degli stress test, Bloomberg (non un blog di complottisti o di sovranisti in libera uscita per far fare i bisognino all’ego e marchiare il territorio) rilanciava la notizia, in base alla quale, alcune importanti banche europee starebbero facendo pressioni sulla Bce, affinché si prepari a dare vita ad aste di finanziamento diretto, a lungo termine e agevolato sul modello del Ltro del 2012 e del T-Ltro del giugno 2014 e marzo 2016. Insomma, le banche europee battono cassa, vogliono liquidità a prezzo di favore dalla Bce. Vi pare segnale di stabilità del sistema nel suo complesso? Vi pare un coé temporale che si abbini bene al risultato ufficiale e pubblico degli stress test sul sistema bancario europeo?

D’altronde, la cosa non stupisce. Nel corso della conferenza stampa dopo il board del 25 ottobre, Mario Draghi infatti disse che “le aste T-Ltro come questione da trattare sono state menzionate da due partecipanti, ma non in ogni loro dettaglio”. Come dire, ne abbiamo parlato, ma non possiamo ancora confermare. Mentre pochi giorni dopo, durante un discorso tenuto a Parigi, il governatore della Banque de France, François Villeroy de Galhau, sottolineò come “la questione del T-Ltro dovrà essere presa in considerazione”. Ma se il sistema bancario italiano paga il doom loop con le detenzioni di debito pubblico in un periodo di spread al rialzo per tensione politica e la sua cronica sotto-capitalizzazione, qual è il nodo alla gola che porta anche soggetti formalmente “forti” a chiedere alla Bc di intervenire con quello che, nei fatti, altro non è se non un palese sintomo di dipendenza dal denaro della Banca centrale per i bilanci di soggetti privati di mercato?

Semplice, circa 722 miliardi di prestiti a lungo termine garantiti dalla Bce proprio nell’ultima operazione di rifinanziamento (quella del marzo 2016) andranno a scadenza nel 2020, come da mandato statuto, ma stando alla nuova regolamentazione bancaria, i fondi di rimpiazzamento a bilancio di quel denaro da restituire devono esseri iscritti già l’anno prossimo. Quindi, in pieno periodo di rialzo generalizzato di tassi e rendimenti, a causa della contrazione monetaria della Fed e della Pboc cinese. E con la Bce che, formalmente, chiuderà il Qe il 1 gennaio e da metà anno nuovo dovrebbe cominciare a rialzare gradualmente il costo del denaro. Quindi, ecco che alcuni alti dirigenti bancari avrebbero già contattato pressantemente la Bce per fare presente la pericolosità potenziale di una simile situazione, ovvero il fatto che l’Eurotower faccia scadere quei prestiti senza che vi siano alternative per rimpiazzarne i buchi nei bilanci bancari e alcune discussioni abbastanza animate avrebbero avuto luogo già a margine dell’ultimo meeting del Fmi a Bali, non più tardi di tre settimane fa.

E, stando a MarketNews ripreso da Bloomberg, fonti della Bce avrebbero risposto positivamente a queste preoccupazioni, di fatto ammettendo la possibilità di considerare un nuovo ciclo di T-Ltro per finanziare le banche dell’eurozona. Una fonte anonima chiudeva così il servizio di MarketNews al riguardo: “Un nuovo T-Ltro potrebbe essere discusso già a dicembre, ma solo un serio shock economico potrebbe giustificare e rendere possibile la mossa”. Insomma, il famoso casus belli per ripartire in qualche modo e sotto qualche forma con la stamperia, il sostegno da Banca centrale, il Qe perenne: sia con acquisti diretti di bond sovrani e corporate, sia con uno swap sulle scadenze dei bond già in detenzione e che vanno a maturazione come in Operation Twist per schermare i debiti più a rischio dallo spread in rialzo (Italia, Portogallo e Spagna), sia con il finanziamento diretto alla banche con altre aste T-Ltro, sia fino all’extrema ratio possibile di includere nel nuovo ciclo di acquisti anche Etf, come fa la Bank of Japan, in caso servisse un sostegno diretto anche al mercato azionario. I segnali, ormai, sono palesi. Quasi elementari, roba che persino Watson l’avrebbe capita.

Restano tre domande da porsi, però. Primo, chi fornirà il casus belli? Chi sarà il canarino nella miniera della nuova crisi nell’eurozona? O, meglio dire, la vittima sacrificale sull’altare del bene superiore rappresentato dal cambio di politica emergenziale della Bce, a soli due mesi dalla fine ufficiale del Qe? Secondo, se siamo a questo punto (e che ci fossimo, ve lo dico da qualche semestre, non da ieri), qual è la reale condizione del sistema bancario europeo? Quali i nessi di pericolo maggiore? E poi, non sarà che tutto questo terrore sia da legarsi anche al fatto che, a meno di sei mesi dal formale via libera al Brexit, non vi sia ancora uno straccio di strategia per gestire i rischi di controparte sui contratti derivati processati dalle clearing houses della City e che rischiano di diventare senza più valore dopo l’addio di Londra, se mai avverrà davvero e nei termini annunciati?

Belle domande, vero? Che non avete trovate su nessun’altro organo di informazione, perché è più facile (e remunerativo) dividersi in Guelfi e Ghibellini e stimolare la reazione pavloviana di pancia dei lettori ideologizzati piuttosto che raccontare le cose come stanno e cercare di far ragionare, capire, riflettere. Attenzione, poi, a un dettaglio. Il casus belli necessario a dare il via libera a nuove aste T-Ltro già nel board di dicembre, stando a MarketNews, dovrà essere uno shock economico di grande entità: e se arrivasse dalla Germania, mentre tutti gli occhi sono puntati sull’Italia?