La Germania annuncia una revisione considerevole del Pil 2019, gli Stati Uniti cancellano voli aerei per lo “shutdown” del Governo, la Cina annuncia misure straordinarie di immissione di liquidità per le banche e l’Italia continua nella sua “recessione tecnica”. In questo scenario le borse “festeggiano” perché mai come in questa fase serve che le banche centrali tengano su i mercati altrimenti salta un banco fragilissimo, come si è capito molto bene nel quarto trimestre 2018. Evidentemente in questo momento non conviene che la “volatilità dei mercati” o gli effetti di una liquidità che vede i rischi e si ritira si sommino ai già tanti problemi sul tavolo. Per il momento il paradigma che si era individuato sul finire dell’anno con le prime telefonate del segretario del Tesoro Mnuchin continua. Quanto durerà non è noto, ovviamente, e la situazione va monitorata a ore, ma per il momento questo è quello che si registra.
In Italia il rendimento del decennale continua a scendere; un po’ è l’onda lunga dell’accordo trovato tra Italia ed Europa a novembre, un po’ è l’effetto della liquidità immessa dalle altre banche centrali, un po’, probabilmente, nessuno vuole dare argomenti facili ai “populisti” a quattro mesi dalle elezioni europee. Ne prendiamo atto e passiamo al prossimo capitolo. Siccome l’economia sta rallentando per davvero, siccome lo scontro tra Cina e Usa come si capisce benissimo dal discorso di Soros a Davos non è frutto della pazzia di Trump, ma il prodotto dell’establishment americano, a un certo punto si riproporranno dei problemi. Ci si accorgerà che i debiti sovrani di economie deboli sono un problema e in Italia si riproporrà lo stesso contesto del 2011.
Il costo del debito italiano sale, le banche devono far fronte alle sofferenze e diminuiscono i finanziamenti alle imprese e servirà che la banca centrale italiana, la Bce, immetta liquidità. Si colpisce l’Italia facilmente perché è noto a tutti che la difesa della Bce per l’Italia non è incondizionata ma condizionata. Non siamo la Francia. E lo sanno tutti; esattamente come sanno tutti che non è con un deficit dello 0,1 % in meno che si risolvono 30 anni di mancata crescita e un debito su Pil del 130% in tre mesi, soprattutto quando il contesto internazionale diventa “sfidante”. Che lo spread sia politico lo si capisce dal movimento di dicembre e persino nelle pieghe dei report di banche e banche centrali.
Su questa vicenda vorremmo fare un passo in avanti. La liquidità d’emergenza per l’Italia a un certo punto arriverà perché la Germania non vuole che l’euro si spezzi. Quello che la Germania ha guadagnato con l’euro negli ultimi due decenni è incalcolabile. Ha conquistato un continente senza sparare un colpo. Non c’è la volontà di rompere il gioco purché le condizioni non cambino. L’ultima cosa di cui la Germania ha bisogno in questa fase è un rafforzamento dell’euro, stretta com’è tra rallentamento globale e protezionismo. Ci manca solo ai tanti problemi che l’euro si rafforzi. E a ben vedere c’è stata almeno un’altra fase in cui la Bce ha perso un giro nella stretta monetaria e in cui la ragione vera non era il debito italiano, ma l’esigenza di tenere l’euro basso; un obiettivo tedesco in primo luogo e poi di molte aziende italiane, soprattutto in uno schema in cui si punta tutto sulle esportazioni.
Nei rapporti di forza attuali e con le regole attuali in Europa la dinamica che si ripropone a fasi alterne e da cui non si esce è questa: quando il contesto va male immediatamente i debiti dei Paesi “deboli” si ammalano di volatilità (nonostante l’euro), la malattia si trasmette all’economia reale via restringimento del credito, le banche vanno in crisi di liquidità aprendo scenari molto complicati a quel punto il potere della Bce e delle istituzioni europee diventa massimo, visto che non c’è più una banca centrale italiana in grado di immettere moneta. E la medicina della liquidità che salva “il sistema euro” viene pagata dagli italiani prima con un aumento dei tassi, poi con l’austerity. Nemmeno il migliore dei presidenti del consiglio riuscirebbe a uscire da questo schema; figuriamoci quelli peggiori.
Il potere di ricatto nei confronti della periferia e dell’Italia è sostanzialmente infinito. Possiamo parlare di “vincolo esterno”, che potrebbe anche essere auspicabile, ma in realtà le regole europee hanno un’applicazione asimmetrica per cui questo vincolo esterno che la Germania con il suo surplus commerciale non ha, nei fatti diventa uno strumento di controllo del centro sulla periferia.
Ricapitoliamo. La Germania non vuole che l’euro si spezzi altrimenti avrebbe il marco in una fase di protezionismo globale. Un disastro per un’economia che ha puntato tutto sull’export. L’Italia, e la periferia tutta, non può prescindere dalla Bce per salvarsi quando i mercati diventano volatili. L’ombrello delle istituzioni europee si apre solo se lo Stato che ne ha bisogno paga pegno al sistema applicando l’austerity che è l’unica vera valvola di sfogo in un sistema basato sulle esportazioni e senza redistribuzione interna perché nessuno obbliga la Germania a spendere per fare infrastrutture. L’austerity con i suoi effetti prociclici, soprattutto in una fase di recessione globale e dopo mesi di volatilità indebolisce enormemente i Paesi della periferia e sposta politicamente il potere verso il centro.
In questo schema l’Europa continua a essere un mostro che punta tutto sulle esportazioni e scarica gli squilibri sulla periferia e preoccupa i partner per gli effetti politici che si producono al suo interno. Se l’Italia non vuole farsi schiacciare, anche se domani Cottarelli fosse il primo ministro, deve negoziare un contratto migliore di quello che ha ora e uno status molto più simile a quello francese. In questo percorso ovviamente non privo di tensioni anche la Germania deve accettare un cambiamento perché una crescita ordinata dell’Europa senza che tutto si scarichi sempre sulla periferia rivaluta l’euro e impone un modello diverso. Senza questo c’è solo un lento declino; prima per l’Italia e poi per l’Europa.