Lo “Stato del benessere”, o Welfare State, è il più ambizioso progetto delle democrazie post-belliche: creare attraverso redistribuzione della ricchezza una società capitalizzata a sufficienza e con accesso per diritto a servizi di tutela allo scopo di creare una classe media maggioritaria soddisfatta e quindi incline a dare il consenso al modello democratico e non a estremismi motivati dalla povertà con domanda di soluzioni autoritarie. Pertanto il progetto di “capitalismo di massa” coincide con quello democratico. Ma sempre più questo è in crisi, in tutte le democrazie, perché i pur diversi modelli di welfare non sono riusciti a trovare una formula di equilibrio tra creazione e distribuzione della ricchezza: troppa distribuzione, via costosi apparati burocratici, soffoca la creazione della ricchezza, ma la riduzione delle garanzie, o loro insufficienza, tende a spaccare la società in più ricchi e più poveri.



La politica cerca nuovi equilibri tra creazione e distribuzione della ricchezza, ma questi sono ostacolati da un metodo statalista di erogazione delle garanzie che resta comunque una sottrazione di ricchezza, rendendo i modelli di welfare insostenibili. Per esempio, dai primi anni 90 Francia, Germania e Italia hanno finanziato le tutele con debito e non con crescita. La Germania ha trovato soluzioni, ma che hanno impoverito parte della popolazione. Francia e Italia le hanno rinviate aumentando il debito, ma comunque dovendo ridurre le garanzie. In particolare, per l’Italia, c’è una mancanza di servizi per la qualificazione degli individui, peggiorata dalle misure dell’attuale governo, che porta verso il regresso.



Soluzioni? Sta emergendo quella del “privato sociale”, cioè la sostituzione di servizi statali inefficienti o insufficienti con quelli privati più efficienti. Per esempio: Banca Intesa ha lanciato un prestito d’onore agli studenti meritevoli, garantito da un fondo, per aiutare l’accesso di quelli poveri all’università. Una società di consulenza sta sperimentando con successo il come incrociare domanda e offerta di lavoro, inserendo qualificazioni della seconda. Le associazioni produttive stanno sempre più provvedendo con mezzi privati ai gap di formazione dei lavoratori.

L’aumento, potenziamento e coordinamento delle iniziative di “privato sociale” è certamente una soluzione concreta per compensare il calo di investimenti qualificanti e modernizzanti dello Stato e mantenere la speranza del capitalismo di massa.



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