Il rallentamento o recessione globale che verrà ormai è un argomento da prima pagina per i giornali “mainstream”. È meno “mainstream” la cronaca degli interventi che si stanno mettendo in atto per rilanciare l’economia e controbilanciare gli effetti di un confronto sempre più muscolare tra Cina e Stati Uniti. In questo racconto noi italiani ed europei dibattiamo degli squilibri degli altri: dei grandi problemi del Giappone con la sua politica decennale di tassi bassi, di quelli dell’economia cinese, delle sue banche e del rapporto “malato” tra Stato e imprese, e infine degli squilibri enormi dell’economia americana con la Fed in ritirata spaventata dalla piega che hanno preso i mercati nel quarto trimestre e drogata da politiche di stimolo fiscale. Noi europei invece, in questo racconto, siamo sulla strada giusta e se ci sono dei problemi questi sono dei soliti italiani, o forse francesi e al massimo di qualche banca tedesca che però ha l’economia che sta benissimo. Questo detto da un continente che è la peggiore area globale in termini di performance economica negli ultimi 20 anni e che ha il suo interno aree che sono uscite devastate dalla crisi del 2008 riveduta e corretta in Europa grazie all’austerity del 2011 e a una banca centrale che in fasi cruciali si è mossa davvero molto male.
Cerchiamo di capire come il resto del mondo guarda all’Europa. La domanda che si fanno tutti da Londra a New York e poi in Cina e in Giappone è come mai in una fase di rallentamento globale il Paese leader dell’economia europea, e cioè la Germania, con un surplus fiscale record, un surplus commerciale fuori scala e il tasso di finanziamento negativo non investa per controbilanciare la crisi. Il supporto all’economia europea, via stimoli fiscali e investimenti, ovviamente dovrebbe venire in via principale dalla Germania sia per un fatto dimensionale, sia per le condizioni del suo bilancio. Siccome questo non avviene e la Germania non spende né per aumentare i salari, né per investimenti pubblici, né per uno stimolo fiscale, l’unico attore che può fare qualcosa è la Bce, che ormai però ha esaurito tutte le munizioni che il suo statuto attuale le consente. Di queste cose non si scrive su qualche oscuro organo del sovranismo mondiale, ma su organi di informazione “normali” e molto reputati della comunità finanziaria.
Ma è questo atteggiamento “europeo” che ha condannato “l’Europa” a non essere un attore terzo e indipendente rispetto a Cina e Stati Uniti. E lo si vede benissimo dal fatto che ogni Paese europeo cerca la sua via personale con Cina e Stati Uniti. Sono trascorsi molti anni da quando Angela Merkel definiva l’alleanza tra Cina e Germania come un “dream team” senza “l’Europa”. Oggi l’economia europea, e soprattutto il suo modello, si regge sulla supposta o reale irresponsabilità degli altri; l’irresponsabilità degli stimoli monetari e fiscali americani con il dollaro vicino ai massimi degli ultimi 15 anni, un bel regalo per le esportazioni europee, l’irresponsabilità della banca centrale giapponese e di quella cinese. Nel frattempo la Germania continua a fare un uso assolutamente opportunistico dell’euro, rifiutandosi di fare investimenti e usando un continente come uno scudo umano mentre si oppone a qualsiasi piano europeo per stimolare domanda e crescita.
È la conservazione di uno status quo che ha distrutto il sogno europeo, ma che determina un equilibrio che ha palesemente dei vincitori e dei perdenti ridotti a colonia. Ora, possiamo anche ammettere che non ci si debba fidare di far spendere soldi agli italiani che però intanto hanno un mercato del lavoro più flessibile di quello tedesco, non parliamo per carità di patria della Francia; però, quando non si spende nemmeno per le infrastrutture tedesche e nemmeno si pensa a un piano di stimolo fiscale per i lavoratori tedeschi che avrebbero beneficio su tutta l’area, allora c’è qualcosa che non va.
Quello che non va è che l’europeismo degli altri è, nella realtà dei fatti e quando le cose contano per davvero, assolutamente opportunistico. Oggi non si rompe l’euro e non si chiude la Bce perché non conviene, sicuramente ai tedeschi, ma questo è l’unico orizzonte. Gli italiani alla prova dei fatti sono stati e ancora oggi sono i più europeisti di tutti perché hanno immolato sull’altare dell’integrazione europea il 20% della loro industria. Certo è stato un europeismo molto ideologico, molto stupido e molto lastricato di legioni d’onore. Non è una scusa, ma un attestato di stupidità e probabilmente molto peggio. In questa area, che non si concepisce come Stato e dove vale la regola dell’opportunismo, bisogna stare con un opportunismo almeno pari a quello degli altri. La partita dell’Europa come Stato terzo, tra Cina e Stati Uniti, è persa e la prova del nove è il comportamento della Germania in questa fase.
Un’appartenenza all’area euro sicuramente “adulta”, ma che non inganna nessuno su cosa sia e soprattutto cosa non sia l’Unione Europea. Per noi italiani si tratta di avere un’appartenenza altrettanto “adulta”, molto più tesa a fare sistema e salvare il sistema, italiano, e possibilmente molto meno venduta.