Ancora non sono noti tutti i dettagli del Def 2019, ma il fatto che la crescita stimata del Pil per quest’anno sia stata portata al +0,2% dal +1% dello scorso dicembre ha fatto dire al Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, che siamo di fronte a “un bagno di realismo del Governo”, tenendo anche conto che questa mini-crescita sarebbe il frutto dei provvedimenti adottati quest’anno, e non con la Legge di bilancio, ovvero il decreto crescita e lo sblocca-cantieri. Abbiamo chiesto un commento a Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.



Professore, del Def colpisce in effetti questa stima sul Pil…

Senza dubbio si poteva fare di meglio, soprattutto sullo sblocca-cantieri. Ritengo infatti che l’effetto del provvedimento sul 2019 sarà limitato, dato che non si è scelto di fare i controlli ex post anziché ex ante. Se c’è l’urgenza di riattivare dei cantieri, occorre una procedura rapida, non si può pensare di effettuare dei controlli prima, che tra l’altro non escluderebbero la possibilità di irregolarità durante l’esecuzione dell’opera. Non so se questa impostazione a mio avviso sbagliata dipenda più da incompetenza o da amore per la burocrazia.



Del Documento di economia e finanza sappiamo ancora poco, ma quel che è certo è che la stima del deficit è salita al 2,4% del Pil e quella del debito al 132,8%. Questo potrà creare dei problemi con Bruxelles, magari dopo le elezioni europee?

Il fatto è che se anche ottenessimo una certa flessibilità sul deficit ci sarebbe un problema di debito: quando troppo elevato, nuoce all’economia. A parte le valutazioni astratte della Commissione europea e delle società di rating, il punto è che l’incremento del debito genera un suo deprezzamento, il quale a sua volta aumenta il tasso di interesse e fa sì che i patrimoni delle banche si riducano, portando a una restrizione del credito. In più la svalutazione del debito ha un effetto negativo sulla formazione del risparmio.



Può spiegare meglio perché?

I risparmiatori mettono da parte una quota del loro reddito e se vedono svalutarsi il loro risparmio aumentano la quota da accantonare, riducendo quindi la loro capacità di spesa e di contributo alla domanda interna. Quindi, complessivamente, avremo pochissimi investimenti pubblici, visto che lo sblocca-cantieri avrà effetti limitati sul 2019 e ancora non si capisce cosa ne sarà di Tav, terzo valico e altre opere infrastrutturali, e l’aumento del debito porterà a un rallentamento dell’economia. Naturalmente questo non vuol dire che il debito deve essere al 60% del Pil, ma se si trova già sopra il 130% anche un minimo aumento, anziché una sua riduzione, rappresenta un segnale negativo. Il debito è poi posseduto in parte da soggetti di altri paesi europei, soprattutto Francia e Germania. In qualche modo hanno quindi in mano le sorti dell’Italia, perché vendendo i nostri titoli di stato possono far salire il loro rendimento.

Potrebbero farlo davvero?

È chiaro che non hanno molto interesse a farlo, perché hanno investito parecchio nel nostro Paese, in particolare la Francia nel sistema bancario. Certo è che quasi paradossale vedere che alla fine i sovranisti si mettono nelle mani dell’Ue. Continuano nella linea sbagliata di Renzi, che faceva la voce grossa in Europa, ma nello stesso tempo ne era schiavo.

Il Def, come ha ammesso anche Boccia, sembra comunque essere improntato al realismo. O no?

Il Def in sé, nella sua parte prudenziale, non è purtroppo credibile, perché i due leader dei partiti di maggioranza hanno bisogno che Tria allenti i cordoni della borsa se vogliono ancora governare. Io continuo ad avere l’impressione che questo esecutivo non possa durare a lungo, anche perché non credo sia in grado di porre rimedio alla situazione economica e dei conti pubblici che si è creata. Quindi o Salvini e Di Maio contano di andare presto alle elezioni quest’anno oppure non so proprio cosa possano avere in mente. Non ritengo plausibile, come il leader della Lega potrebbe immaginare, che in caso di vittoria del fronte sovranista europeo che sta cercando di mettere insieme possa far trattare meglio l’Italia da Bruxelles.

Il fatto che ieri al Def non sia seguita una conferenza stampa potrebbe essere un segnale politico da non sottovalutare?

È chiaro che questo Governo non sa più come dimostrarsi unito all’esterno. Lega e M5s sono due partiti che non solo fanno il gioco delle parti, ma sono due parti che si stanno separando nel gioco, perché uno cerca di colpire l’altro. Ciascuno ha anche paura di fare dichiarazioni che lo possano danneggiare nei sondaggi. Credo che comincino a diffidare delle politiche che hanno adottato fin qui. Mi sembra che il Governo sia impaurito.

Non si tratta quindi di un qualcosa di limitato alla strategia per la campagna elettorale delle europee?

No. I leader dei due partiti mi sembrano in difficoltà. Da un lato c’è Di Maio che deve capire se è ancora il leader dei 5 Stelle. Dall’altro Salvini alle prese con l’elettorato storico e tradizionale della Lega al nord, un ceto produttivo che non è necessariamente interessato ai temi redistributivi e alla contrapposizione nord-sud. Il vero punto è il modello economico. In quelle regioni davvero si vogliono gestire i soldi della sanità con criteri di efficienza e non di spreco burocratico, davvero si vuole snellire la burocrazia e fare più opere. Salvini ha portato a casa Quota 100, che però non soddisfa le esigenze specifiche della Lega. All’elettorato storico leghista è riuscito a offrire solo un po’ più di sicurezza.

Ora sembra voler portare a casa la flat tax

Non sappiamo però come si intenda finanziarla. E poi, almeno inizialmente, per i ceti produttivi del nord potrebbe non risultare ottimale. Si parla infatti della soglia fino a 50.000 euro lordi per famiglia. Cosa succede a chi guadagna un po’ di più? Abbiamo purtroppo un sistema fiscale che opprime tutte le categorie economiche, tranne i ricchi veri, che sanno bene come poter pagare imposte più convenienti in altri paesi, come Svizzera o Lussemburgo, e che in Italia lasciano le briciole. Non si può quindi pensare che risolvendo il problema di chi ha redditi fino a 50.000 euro si è risolto il problema dell’imposizione fiscale: ci vuole una riforma complessiva.

(Lorenzo Torrisi)