Una nuova lettera è arrivata dalla Commissione europea, stavolta indirizzata al Direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera e firmata dal Direttore generale della Commissione Ue per gli Affari economici e finanziari Marco Buti. Nella missiva si legge che “il debito pubblico italiano rimane una vulnerabilità cruciale” ed è “una fonte di preoccupazione per l’area euro nel suo complesso”. Entro il 13 novembre, è la richiesta di Bruxelles, si dovrà “fornire una relazione sui cosiddetti ‘fattori rilevanti’ che possano giustificare un andamento del rapporto Debito/Pil con una riduzione meno marcata di quella richiesta”. «Questa lettera conferma che per la Commissione il problema non è il deficit al 2,4% del Pil in sé, ma l’effetto combinato del tasso di crescita e del deficit sul debito», ci dice Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze. «C’è però un’ambiguità da chiarire».
Quale?
Il bilancio che viene sottoposto alla Commissione europea è un bilancio di debiti e crediti, ma non è vero che tale bilancio ha un effetto automatico sul debito pubblico. Il quale dipende dal bilancio di cassa. Il che vuol dire che se non si spendono tutti i soldi che sono stati stanziati il problema non c’è. Reddito di cittadinanza, riforma delle pensioni e investimenti possono in effetti subire dei ritardi. E questi tre sono casi importanti per i quali il bilancio di contabilità economica differisce dal bilancio di cassa per ragioni che potremmo dire amministrative e legali evidenti. Dunque c’è una domanda implicita nella lettera di Bruxelles.
Cosa viene in pratica chiesto al Governo italiano riguardo alla Manovra?
Viene chiesto quanto, a parte la dichiarazione sul deficit/Pil ben nota, intenda effettivamente spendere nel 2019. Si arriverà al 2,4% del Pil o invece solo al 2%? La differenza può essere importante.
In effetti secondo alcune indiscrezioni il ministro Tria e il Premier Conte, in occasione del prossimo Eurogruppo, vorrebbero far capire agli altri paesi partner e alla Commissione che il deficit reale dell’Italia sarà del 2%…
Da un punto di vista tecnico per mettere in marcia il reddito di cittadinanza serviranno decreti attuativi sia per individuare i soggetti beneficiari che lo strumento per erogare la prestazione. Quindi ci vorrà del tempo perché si comincino a spendere i soldi stanziati. Anche per quanto concerne Quota 100 ci sono delle norme di preavviso per gli statali e delle regole della Pa per le quali non è possibile andare subito in pensione. Un professore, per esempio, non può comunque lasciare il posto prima di settembre. E anche qui ci vorranno decreti attuativi.
Dunque l’idea del Governo potrebbe funzionare con l’Europa, tenendo anche conto che riforma delle pensioni e reddito di cittadinanza verrebbero inseriti in due ddl collegati alla manovra?
Certo che può funzionare. Si tratterebbe di far capire che dal punto di vista della cassa avremo quattro decimali in meno di deficit/Pil. Naturalmente tutto questo rappresenta qualcosa di un po’ imbarazzante per chi vuole farci sopra una propaganda elettorale.
Effettivamente presentarsi alle europee senza aver ancora la riforma delle pensioni e il reddito di cittadinanza potrebbe essere un problema per Lega e M5s.
La Quota 100 credo che riusciranno facilmente ad approvarla tecnicamente. Dunque i potenziali beneficiari sapranno già che entro l’anno potranno accedere alla pensione. Discorso diverso per il reddito di cittadinanza, dove forse si potrebbe cominciare a far presentare le domande di richiesta. Dal mio punto di vista, poi, i 5 stelle si illudono se pensano che il reddito di cittadinanza li aiuti a prendere voti al Sud. Sono appena tornato dalla Calabria: il problema della sicurezza è dominante. Quindi chi prenderà voti al Sud è Salvini che garantisce la sicurezza. Senza dimenticare che chi lavora con fatica per riuscire ad arrivare alla fine del mese non accoglierà volentieri la notizia che c’è chi potrebbe prendere anche di più senza fare niente.
(Lorenzo Torrisi)