“Mi aspetto una risposta forte dal Governo italiano: mi aspetto una revisione della Legge di bilancio”. Parole di Pierre Moscovici nel giorno dell’Ecofin cui ha partecipato anche Giovanni Tria, prima di tornare anticipatamente a Roma. Resta ormai una settimana di tempo per rispondere alle due lettere inviate da Bruxelles all’Italia. L’esecutivo dovrà fare marcia indietro? No, secondo Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.



Perché Professore?

L’unica cosa buona, ma importantissima, che per ora ha fatto questo Governo è essere andato contro il Fiscal compact, decretandone nella sostanza la morte. L’Europa fa finta di essersi scordata che il Fiscal compact non può essere più attuato, perché sono passati i 5 anni dalla sua introduzione, trascorsi i quali doveva esserne valutata l’efficacia da tutti gli Stati membri per eventualmente inserirlo in un trattato o in una direttiva. Poiché nulla di questo è stato fatto, il Fiscal compact è “fuori legge”, quanto meno nella sostanza. Il fatto che l’Europa finga di essersene dimenticata è un’arma molto potente in mano al Governo italiano.



Ci sono diverse perplessità sul livello di deficit/Pil indicato nella manovra e sulle prospettive di crescita dell’economia. Lei cosa ne pensa?

Di fatto le previsioni sul deficit rimangono nello spirito europeo, visto che il disavanzo diminuisce nel tempo. Dal mio punto di vista si sarebbe dovuti salire al 3% del Pil fino a quando non ci sarà la prova provata della ripresa del Paese. Per quanto riguarda le stime di crescita, certo puntando molto sui trasferimenti anziché sull’attività economica il moltiplicatore non può essere alto. Sarebbe opportuno che sugli investimenti pubblici si arrivasse a un 1-2% di Pil. Bisognerebbe cioè trovare più spazio possibile nella manovra per gli investimenti e il lavoro.



Se è vero quel che ha detto sul Fiscal compact, perché gli altri paesi europei si schierano con la Commissione e non con l’Italia?

Perché c’è una battaglia in corso su come costruire l’Europa che vorremmo e la maggioranza attuale di governi ha una certa interpretazione della presenza dello Stato nell’economia e della politica fiscale. È evidente che sarebbe ideale che questa battaglia non cominciasse dall’Italia, che è il Paese con le finanze pubbliche più in difficoltà, ma dalla Germania e dalla Francia. Gli Stati Uniti d’America, non il Tennessee o lo Stato di Washington o quello del Massachusetts, hanno fatto un deficit del 6% del Pil quest’anno, con una riforma fiscale di grande impatto espansivo e un grande piano di investimenti nelle infrastrutture in tutto il Paese. Trump ha deciso di fare questo, generando crescita e opportunità per il proprio Paese.

Cosa c’entra la politica economica di Trump con l’Europa?

Quella di Trump è una decisione simile a quella che in un momento di bassa crescita avrebbe dovuto prendere l’Europa tutta. Noi non abbiamo, forse anche per fortuna, un Trump, ma è evidente che queste politiche partono da una visione diversa su quella che deve essere la politica fiscale e la rappresentazione dei desideri delle comunità. In Italia, con il voto di marzo, c’è stato il primo segnale europeo di richiesta di una politica fiscale che metta al centro le comunità e le loro difficoltà e non un concetto vuoto (specie in momenti di difficoltà) e tecnico come quello di austerità. L’Europa è ancora purtroppo dominata nei numeri da quest’interpretazione a mio avviso sbagliata del suo ruolo ed è logico che l’Italia si trovi in minoranza. Sappiamo però bene che le elezioni europee della prossima primavera genereranno un cambiamento.

Qualcuno dice una vera e propria rivoluzione…

Non credo che saranno una rivoluzione. Ne uscirà un Parlamento molto più “equilibrato”, non un trionfo dei sovranisti. Penso che i moderati abbiano perso l’immensa occasione di governare politicamente questi cambiamenti non vedendo quello che stava accadendo o rappresentando soltanto una minoranza tra i benestanti. Hanno avuto l’opportunità di rappresentare il cambiamento, ora spetta ad altri partiti farlo.

Lei prima ci ha dato una sua opinione su quello che dovrebbe fare il Governo italiano, ma se dovesse fare una previsione cosa crede che accadrà?

Secondo me ci sarà uno stallo tra due parti che sono in posizione contrattuale paritaria. Non è più uno scontro Europa-Grecia, dove Renzi vigliaccamente si schierò insieme ai forti contro i deboli, anziché fare una battaglia insieme ai colleghi greci che probabilmente gli avrebbe consentito di aumentare i propri consensi in patria. Non bisogna trascurare il fatto che l’Europa è debole, per via di Macron, della Merkel, delle elezioni ravvicinate e della forza dei movimenti sovranisti, che non sono necessariamente xenofobi come dimostra il Governo giallo-verde. Credo che ci sarà uno stallo che avrà una retorica abbastanza violenta, nel senso dei toni che verranno usati.

Si arriverà a una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia?

Questa decisione formale improvvida sicuramente verrà presa, ma non credo che si arriverà mai a parlare di sanzioni fino alle elezioni, altrimenti gli europeisti perderanno consensi. Il Governo italiano dirà esplicitamente che la procedura di infrazione se la possono pure tenere i burocrati di Bruxelles. Quindi ci saranno dei movimenti di tensione che si rifletteranno probabilmente sullo spread, anche se non eccessivamente. Ci sarà enorme volatilità fino all’approvazione della manovra. La vera sostanza di tutto sta infatti in cosa il Governo farà con tutti i soldi stanziati: sullo spread avranno più conseguenze la qualità della manovra e il suo impatto sulla crescita che non l’apertura di una procedura di infrazione europea, che sicuramente genererà delle fibrillazioni nel breve termine.

(Lorenzo Torrisi)

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