Quella che la Camera dei Deputati ha appena approvato (con l’irrituale il ricorso al voto di fiducia perché si temevano defezioni nelle file della maggioranza) non è il vero disegno di legge di bilancio. Sinora – si direbbe a Roma – Governo e Parlamento hanno scherzato. Infatti, il vero disegno di legge di bilancio verrà presentato e discusso in Senato dopo il 19 dicembre, data entro la quale tra il “mandatario” del Governo italiano (Presidente del Consiglio Prof. Giuseppe Conte) deve raggiungere un accordo con la Commissione europea per evitare che all’Italia venga inflitta una procedura d’infrazione.



Da un lato, non si comprende più che funzione abbia il ministro dell’Economia e delle Finanze, Prof. Giovanni Tria, e che ruolo abbia il ministro degli Affari europei, Prof. Paolo Savona. Il 7 dicembre, un gruppo di economisti e di giornalisti economici ha chiesto a gran voce a Tria di dimettersi per il buon nome della categoria. Da un altro, nel Palazzo si dice che non si vuole evitare un procedura d’infrazione perché in tal modo si indebolirebbe la doppia campagna elettorale già iniziata in vista della chiamata alle urne per il Parlamento europeo in maggio. Il mandato effettivo del Prof. Conte sarebbe quello di ottenere un accordo per una procedura “morbida”, allungando i tempi per la decisione definitiva e mitigando le penali (ad esempio, evitando la salata multa prevista dai trattati e dagli accordi intergovernativi). Tatticamente, tuttavia, i dirigenti delle due principali forze di Governo si augurano che l’alone di un’Europa “matrigna” che vuole castigare coloro che abbandonano l’austerità e tentano la via della crescita e ridurre l’area della povertà continui ad aleggiare almeno sino alla vigilia delle elezioni. È arma che vogliono utilizzare sia contro le forze tradizionalmente europeiste (come il Partito popolare europeo, il Partito socialista e democratico europeo e il Partito liberale europeo), sia l’uno contro l’altro.



Tuttavia, i dati delle ultime settimane mostrano che il quadro interno e internazionale è profondamente differente da quello delineato dal Governo quando è stato predisposto il disegno di legge di bilancio. Allora – come sottolineato, all’epoca, da questa testata -, tutti i principali istituti interni e internazionali prevedevano un andamento economico che avrebbe portato a un crescita attorno allo 0,9% del Pil italiano nel 2019. Oggi queste stesse fonti stimano un aumento del Pil attorno allo 0,5% o addirittura uno scivolata verso una recessione. Il 14 dicembre – ossia pochi giorni prima del “fatidico” 19 dicembre – la Banca centrale europea pubblicherà le proprie previsioni. Ma già ora i principali istituti di ricerca italiani e stranieri hanno in fase avanzata le loro elaborazioni.



Il modello del Centro Studi di cui presiedo il comitato scientifico prevede per l’anno che sta per iniziare (l’anno del maiale, secondo il calendario cinese) una crescita al di sotto dello zero – quindi, recessione netta con forte aumento del debito pubblico anche in caso di riduzione dei programmi di spesa di parte corrente. Lo spread è la determinante dominante della nuova crisi. Dalle previsioni risulta che il nodo non è il deficit/Pil. Pur se venisse portato al 2%, o anche a quell’1,8% di cui parlava il Prof. Tria quando pensava ancora di essere suo il compito di definire la politica economica e finanziaria del Paese, il finanziamento a debito di spese di parte corrente non avrebbe effetti anti-recessione, ma ne aggraverebbe i rischi. Tanto più che le grandi opere pubbliche e i grandi investimenti privati vengono o procrastinati o disincentivati. E su tutta la politica economica c’è un’aura di pauperismo vecchio stile: la decrescita “infelice” e l’impoverimento generalizzato mentre lo stesso Abel Aganbegjan, ascoltato consigliere di Mikhail Gorbaciov, mutuando Bucharin, gridava Arricchitevi per incoraggiare tutta la popolazione a stimolare la crescita.

Il World Uncertainty Index pubblicato dal Fondo monetario internazionale ogni tre mesi per 143 Paesi – e ora elaborato da Hites Ahira, Nicholas Bloom e Davide Furceri (il primo e il terzo sono economisti del Fondo, il terzo della Università di Stanford) – è eloquente: nella sua ultima versione, datata 29 ottobre e da qualche giorno disponibile on line, vede l’incertezza del quadro politico (le continue liti tra le due parti del “contratto di governo”, l’isolamento in Europa, la poca chiarezza sui contenuti dei principali provvedimenti) come la determinante di una fuga di capitali dall’Italia e di un’accelerazione verso una recessione.

Il passaggio al Senato potrebbe aggravare la situazione, dato che il M5S intende prendersi una rivincita di immagine, presso i suoi elettori, con un marchingegno relativo alle cosiddette pensioni d’oro che porterà via elettori a Salvini, ma costerà alle finanze pubbliche più di quanto non genererà in risparmio di spesa.