“Essere scesi dal 2,4% al 2,04% è cosa ben diversa che fare una manovra con lo 0,8% di deficit come pretendeva all’inizio la Commissione Ue. Secondo me, il bicchiere è tre quarti pieno. Sarebbe stato mezzo pieno e mezzo vuoto se fosse stato trovato l’accordo su un deficit all’1,6%, a metà strada tra 0,8% e 2,4%. Anche se resto fortemente convinto che per dare effettivamente una svolta alla situazione economica italiana bisognava forzare un deficit di più ampia portata per destinare ingenti risorse a investimenti pubblici diffusi sul territorio. Una cosa è comunque certa: fino a un anno fa sarebbe stato impensabile che l’Italia potesse raggiungere questo obiettivo. Invece, a piccoli passi, riusciremo a fare davvero quel che serve per il rilancio del Paese”. Commenta così Antonio Maria Rinaldi, professore di Finanza aziendale all’Università “Gabriele D’Annunzio” di Pescara ed economista vicino a Savona, l’esito del vertice tra Conte e Juncker a Bruxelles.
Come valuta il risultato?
Come prima, anche ora i numeri sono scritti sull’acqua. Sono solo previsioni, tutto è in funzione di ciò che avverrà veramente nel 2019. Sappiamo che all’orizzonte ci sono molte nubi per quanto riguarda la crescita nel contesto europeo e internazionale e sappiamo che storicamente qualsiasi tipo di previsione è stata poi ampiamente disattesa a consuntivo. Anche ieri i bravi burocrati di Bruxelles si sono voluti accontentare dei numeretti. E spiace notare che la Ue si sia ridotta, per l’ennesima volta, a impuntarsi su numeretti corretti in punta di matita. Ma questi numeri servono solo a giustificare l’apparato elefantiaco della burocrazia Ue, sempre più distante dalle vere esigenze dei cittadini europei e dall’economia reale.
E’ stato un cedimento del governo Conte alle richieste della Commissione?
Sono abituato a valutare i numeri a consuntivo. Vedremo se il 31 dicembre 2019 sarà rispettato questo 2,04% oppure, secondo una prassi consolidata in tutti i Paesi che si sono assoggettati ai vincoli dei Trattati, non saranno rispettati. Per accontentare i formalismi di Bruxelles era necessario ritoccare il 2,4%, ora vediamo cosa succederà il prossimo anno. Del resto, abbiamo un formidabile alleato.
Sta pensando a Macron?
Sì, perché la Francia arriverà oltre il 4% di deficit. Risibile che Moscovici – imbarazzato per non aver previsto, lui ma non gli osservatori più attenti, questo ripensamento del governo Macron – non abbia saputo fare altro che ribadire che quelli francesi sono provvedimenti temporanei ed eccezionali. Le promesse di Macron ai cosiddetti gilet gialli sono invece permanenti. Insomma, Moscovici ha dovuto arrampicarsi ancora una volta sugli specchi.
Conte ha ribadito che reddito di cittadinanza e quota 100 rimarranno e partiranno nei tempi previsti. Dove è stato recuperato lo 0,4%?
Questo lo si vedrà dal documento redatto dal Mef. Ma è giusto sottolineare che non esiste in nessun testo di economia che un bilancio debba partire dalle percentuali. Prima si verificano le effettive esigenze di spesa, poi si traccia la linea per vedere i risultati.
Ma il Mef non potrebbe aver rifatto i calcoli, trovando risparmi di spesa che prima non erano stati individuati?
Consideriamo il fatto che nei calcoli dei tecnici del Mef le stime tengono conto della massima erogazione dei provvedimenti assunti.
Cosa significa?
Vuol dire che per quota 100 i potenziali beneficiari complessivi sono 400mila. Ma non sappiamo se tutti vorranno aderire o meno. Basta che siano, per esempio, 350mila o 300mila o 250mila e quel 2,4% è facilmente modificabile. Anche per il reddito di cittadinanza è stata prevista la partenza a inizio gennaio, ma tecnicamente penso sia abbastanza improbabile che ciò avvenga, infatti si parla di marzo/aprile. E già questo basterebbe a giustificare il 2,04% rispetto all’originario 2,4%.
Secondo lei, è stata più accondiscendente l’Italia o più intransigente la Commissione?
Bruxelles ha dovuto rendersi conto che, se non vogliono anche in Italia ciò che sta accadendo in Francia, doveva tenere conto delle più che legittime esigenze di bilancio dell’Italia. Nel nostro Paese persiste un estremo disagio sociale, causato dalla lunga crisi, che non è finora sfociato in proteste perché c’è un governo che fin dall’inizio ha dichiarato di voler andare incontro a queste esigenze. In Francia no, ma le proteste popolari hanno spinto il governo Macron a fare la stessa scelta dell’Italia: aumentare il deficit. A conferma, per l’ennesima volta, che le regole europee, i burocrati europei e l’impostazione su cui si fondano la Ue e la moneta unica sono sempre più distanti dalla realtà. I conti non si fanno mai senza l’oste, e l’oste in questo caso sono i cittadini.
Non abbiamo perso due mesi inutilmente?
No, non credo proprio. Se fossimo partiti subito dal 2%, oggi ci ritroveremmo un deficit/Pil dell’1,7%. Ma non scordiamoci che all’inizio Bruxelles pretendeva lo 0,8%.
(Marco Biscella)