Lo chiede la Confindustria, lo dice da un po’ anche Paolo Savona: bisogna riscrivere la manovra. Ma quale manovra? L’anno sta per finire e ancora non si riesce a sapere che cos’è, quanto costa e quanto dà il reddito di cittadinanza; non è dato capire quando scatterà e quanto durerà quota 100 per andare in pensione; nessuno è in grado di dire a quanto ammonterà il disavanzo pubblico rispetto al prodotto lordo. E alla luce dei dati Istat sul Pil del secondo trimestre (crescita zero) e del terzo (meno 0,1%), l’obiettivo per l’anno prossimo (+1,5%) sembra del tutto irrealistico.



Il 2018 chiuderà se tutto va bene a +0,8% o +0,9% con un trend discendente molto difficile da fermare tra la primavera e l’estate prossima, non parliamo di invertirlo. Bisognerebbe aggiungere sette o otto decimali di punto, ben oltre dieci miliardi di euro, aumentando soprattutto la domanda interna a cominciare dagli investimenti, che andavano bene fino alla scorsa primavera e poi sono crollati. Sempre sperando che la domanda estera continui a tenere, il che è tutt’altro che scontato, a giudicare da come sta andando in Germania e nel resto dell’Unione. Il Quantitative easing è finito e i tassi d’interesse di mercato stanno salendo; se consideriamo uno spread attorno al 3%, ferita auto-infilitta, vediamo che buona parte del Pil aggiuntivo verrebbe assorbito dal pagamento del debito pubblico.



A questo punto cambiano le carte in tavola anche nella trattativa con Bruxelles per evitare la procedura d’infrazione. Un rallentamento dell’economia porta con sé una riduzione automatica delle entrate, sia delle imposte dirette sia di quelle indirette, e un probabile aumento anche delle spese. Altro che 2% come vorrebbe l’Ue, altro che 2,2% come sarebbe disposto a concedere il Governo, altro che 2,4% cioè l’obiettivo originario, il disavanzo viaggia per proprio conto verso il tetto del 3%. È vero che la Commissione europea guarda soprattutto al deficit strutturale, cioè al netto degli effetti congiunturali, ma questo è fissato già all’1,7% e per compensare gli effetti della frenata economica dovrebbe scendere in modo significativo, rimettendo in discussione dalle fondamenta le spese correnti, cioè il reddito di cittadinanza e le pensioni.



Il ministro Savona dice che bisogna ricavare più spazio per gli investimenti in modo da contrastare le tendenze recessive e ha ragione, ma chi lo ascolta? Non sembra nemmeno partecipare alla trattativa nonostante sia il titolare dei rapporti con l’Ue, e in ogni caso bisognava pensarci prima, oggi come oggi la manovra è così sbilanciata e così sgangherata che bisogna cancellarla del tutto e ricominciare da capo.

C’è chi dentro la maggioranza se ne rende conto anche se con grave ritardo: sono soprattutto gli esponenti leghisti attenti al grido di dolore che si leva verso di loro dal mondo delle imprese, in particolare nel nord. Ma anche tra i pentastellati cresce la fronda contro Luigi Di Maio azzoppato dai pasticci familiari, e contro i governativi; in molti sono convinti che l’esperienza sia fallimentare e mordono il freno per tornare ai bei tempi del Vaffa e del comico fondatore. Tirato da una parte e dall’altra, il governo Conte vacilla e si fa strada l’idea di andare a elezioni anticipate. Una caduta prima di aver approvato la Legge di bilancio porterebbe all’esercizio provvisorio che impedisce di fare alcunché, ma sospenderebbe il negoziato con Bruxelles. E i mercati? Che cosa accadrebbe allo spread? Di fronte al rischio di una crisi di fiducia simile a quella del novembre 2011 siamo sicuri che il presidente della Repubblica scioglierebbe le camere? O non spingerebbe piuttosto per un’altra soluzione alla Monti?

Alla Lega sono convinti che non ci sono le condizioni e un esecutivo tecnico non avrebbe i voti in parlamento. Tutt’al più, sarebbe un governo di minoranza per andare al voto, lasciando campo libero alla propaganda contro i tecnici, la speculazione, l’Unione europea e lo stesso presidente della Repubblica, quindi raccogliendo altri consensi su una piattaforma populista a scapito di un Movimento 5 Stelle destinato al declino per manifesta incapacità. Può darsi, in ogni caso sarebbe un bell’azzardo. Quanto a Matteo Salvini, vorrebbe sì andare alle elezioni, ma alla guida del ministero dell’Interno al quale spetta organizzarle.

Vedremo che cosa prevarrà. In ogni caso, è chiaro che i dati della congiuntura hanno un impatto politico forte e il Governo dovrà conquistare la fiducia economica degli italiani, prima ancora di pensare a nuove elezioni.