Dopo la presentazione del maxi emendamento – che recepisce i contenuti essenziali dell’accordo tra Governo e Commissione europea – e l’approvazione al Senato, la legge di bilancio potrà proseguire il suo iter parlamentare verso una votazione definitiva, da parte della Camera, entro la fine dell’anno. “È senz’altro positivo che si sia evitata la procedura di infrazione, che sarebbe stata come benzina sul fuoco di una situazione economica già in fase di rallentamento. L’accordo non coincide con le regole del Fiscal compact, quindi la Commissione ha dovuto allentare le sue pretese, ma allo stesso tempo il Governo ha dovuto fare retromarcia rispetto all’atteggiamento esultante dal balcone di palazzo Chigi”, ci dice Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.



Quale quadro vede per l’economia?

La situazione economica rimane precaria sia per quanto riguarda il fronte domestico, sia per quello esterno. Per quanto concerne quest’ultimo, come già avevo detto, probabilmente vedremo gli effetti sui dati relativi al quarto trimestre. Il fronte interno preoccupa soprattutto perché si è creato uno stacco molto forte tra le imprese, le loro aspettative e quello che il Governo sta portando avanti. C’è molta incertezza anche per quanto riguarda i consumatori, che negli ultimi mesi hanno visto diminuire il valore dei loro investimenti. L’allentamento della crisi con l’Europa potrà permettere una progressiva attenuazione del peso dello spread, ma la gente non torna a spendere come prima il giorno dopo l’annuncio dell’accordo raggiunto tra Governo e Ue: ci vorrà del tempo.



Il 2019 partirà male?

Sono pessimista, anche perché il ciclo degli acquisiti per automobili nuove, che è stato molto forte negli ultimi due-tre anni, non dà più quell’apporto che è stato importante. Si prospetta un inizio 2019 piuttosto fiacco e ancora non sappiamo come chiuderà il 2018. È un quadro confuso dove non c’è nemmeno la speranza che le misure di politica economica che saranno adottate il prossimo anno possano incidere seriamente. Gli investimenti delle imprese sono stati scoraggiati, solo una platea molto piccola di cittadini vedrà ridotte le tasse e i consumi hanno una prospettiva molto fiacca.



Quale ritiene sia la misura più “positiva” della manovra e quale invece la più dannosa per l’economia?

Nella manovra, la gran parte delle risorse viene messa su reddito di cittadinanza e riforma delle pensioni. Si tratta di misure che non possono scatenare un potenziale di crescita significativo sulla dinamica economica. Gli interventi più importanti sono eventuali forme di mantenimento in essere delle iniziative a favore degli investimenti delle imprese. Bisognerà anche capire come verrà portato avanti il piano Industria 4.0. C’è però da stare attenti.

A cosa?

Con le previsioni di crescita che sono già state ridimensionate, ma che probabilmente potrebbero essere ancora ridotte, il timore è che tutti i margini di manovra per centrare il target di deficit necessario a sbloccare i 2 miliardi di spesa “congelati” secondo l’accordo con Bruxelles andranno purtroppo a discapito delle imprese. Nel momento in cui si dovesse vedere che i conti non tornano, il Governo non farebbe retromarcia sul reddito di cittadinanza o sulla Quota 100, ma andrebbe a cercare di tagliare altrove.

Nei giorni scorsi c’è stato un riavvicinamento della Lega al mondo delle imprese, simboleggiato dall’incontro tra Salvini e le associazioni imprenditoriali. Crede che ci possa essere una svolta nel Carroccio, anche per recuperare una parte importante del suo elettorato?

Occorre capire che ogni volta che si creano delle relazioni virtuose tra la politica e il mondo imprenditoriale non si stanno facendo gli interessi delle imprese, ma del Paese. Non si riesce a comprendere che non abbiamo grandi gruppi come altre nazioni, ma centinaia, migliaia di imprese, piccole e medie, che esportano e tengono in piedi il Paese. Ci sono più di 22.000 imprese tra i 10 e i 499 addetti che rappresentano il 70% circa dell’export manifatturiero. Immaginare uno scollamento tra la politica e questo tessuto produttivo è veramente assurdo, soprattutto nel caso di una forza, come la Lega, che rappresenta storicamente il nord. Faccio fatica a immaginare che non si vada in una direzione di riavvicinamento, anche più concreto degli incontri che si sono visti ultimamente.

Il Movimento 5 Stelle starà a guardare?

No, dovrà fare una rincorsa, perché non può vivere solo di promesse se vuole essere un partito di Governo. Non dimentichiamo poi che Di Maio è a capo del ministero dello Sviluppo economico, quindi vuol dire che lui può gestire le misure più concrete per le imprese. Per esempio, aumentare la dotazione del fondo per le esportazioni, varare defiscalizzazioni alle imprese piccole ed esportatrici non strutturate per assumere export manager. Se non si alimenta questo tessuto imprenditoriale, se lo si lascia deperire, esauriremo sempre di più il nostro potenziale di crescita.

Ci potrà essere un cambiamento di questo tipo da parte delle forze di Governo in un anno contraddistinto dalle elezioni europee?

Evidentemente ci sarà bisogno di uno storytelling che porti avanti quello che ha permesso l’affermazione alle politiche. Però è molto probabile che per non arrivare a uno scollamento che potrebbe essere pericoloso, anche in termini di delusione su ampie fasce di elettorato, ci sia un rafforzamento di questa tendenza di riavvicinamento alle imprese. Molto dipenderà anche da cosa faranno le forze di opposizione, che al momento appaiono piuttosto labili. Può darsi inoltre che le imprese stesse cerchino di tenere vivo il dialogo.

(Lorenzo Torrisi)