Si tratta, con la manovra in aula. Salvini e Di Maio hanno messo nero su bianco, in una nota congiunta, la loro fiducia a Conte, facendone l’unico perno della trattativa con l’Unione Europea. L’obiettivo è quello di evitare la procedura di infrazione; i due vicepremier aggiungono però che il dialogo deve avvenire “senza rinunce su quel patto con gli italiani fondato su equità sociale, lavoro, crescita”. Una sottolineatura che gli emendamenti alla manovra si incaricheranno, nelle prossime ore, di attestare o di smentire, sancendo di fatto le sorti della trattativa. Perché è proprio la crescita il punto da molti giudicato più debole nella legge di bilancio. “Il fatto che le previsioni di crescita siano inferiori a quelle preventivate dovrebbe indurre a fare una manovra più espansiva” — dice al Sussidiario l’economista Vladimiro Giacché — preferibilmente corretta sul lato degli investimenti. Ma anche la Ue deve aprire all’Italia, secondo Giacché, perché le regole europee (“una ricetta per il disastro”) sono estremamente fragili e l’Europa “non sarebbe in grado di resistere a una nuova recessione severa”.
E’ davvero arrivato il “momento Tsipras” del governo Conte, come ha detto l’ex premier Monti?
È buffo: un giorno dipingi il governo italiano come una sorta di Gengis Khan collettivo, il giorno dopo — quando il governo accetta il dialogo — lo dipingi come chi ha già firmato la resa. Io per la verità credo che il rischio di un momento Tsipras non sia prossimo per l’Italia: e che lo allontani precisamente il ricordo di cosa è stato il “momento Troika” incarnato dal governo Monti.
Dunque è giusto rimodulare la manovra, in modo da evitare l’infrazione?
È giusto, e nell’interesse di tutti, arrivare a una de-escalation nella discussione con le autorità europee. Credo che uno sforzo il governo possa e debba farlo, e che questo possa migliorare il mix della manovra, in cui vedrei bene una maggiore enfasi sugli investimenti. Detto questo, per ballare il tango bisogna essere in due. È quindi perfettamente possibile che dall’altra parte non ci sia analogo senso di responsabilità.
A chi pensa?
Le recenti dichiarazioni semi-mafiose di un Dijsselbloem, forte di un 6% dei voti nel paese di origine, ma evidentemente convinto di poter continuare a giocare un ruolo nelle istituzioni europee, ne fanno dubitare. Continua il giochino di aizzare i mercati contro la manovra. Credo però che in questa fase i mercati abbiano cose più preoccupanti di cui occuparsi che di un 2,4% di deficit dell’Italia.
E se buttare benzina sul fuoco funzionasse?
Se anche funzionasse, non penso che chi lo fa ne trarrebbe vantaggio. Perché — e questo un laureato in agraria come Dijsselbloem dovrebbe saperlo — gli incendi si propagano piuttosto in fretta e possono prendere direzioni inaspettate.
“Siamo con l’Italia se l’Italia è con noi”, ha detto Juncker al G20 di Buenos Aires. Alla luce di ciò che l’Unione è oggi, guardia del rapporto deficit/Pil con l’austerity, sovranismo di Germania e Francia e uso politico dello spread, che scenario lascia intravedere questa dichiarazione?
Sarei più benevolo: mi sembra che questa sia una dichiarazione diplomatica, più diplomatica di altre rilasciate in passato da Juncker. Credo comunque che un terreno possibile di intesa ci sia. Ovviamente, come dicevo prima, occorre una volontà politica di entrambe le parti.
In molti hanno fatto notare che una nuova crisi è alle porte, e che, come dimostrano gli ultimi dati economici, l’Italia non crescerà come il governo ha preventivato. Che cosa dovrebbe fare il governo?
Il fatto che le previsioni di crescita siano inferiori a quelle preventivate dovrebbe indurre a fare una manovra più espansiva e non più restrittiva. Certamente è improponibile la riproposizione di misure restrittive del bilancio pubblico alla Monti. E neppure il balletto degli zero virgola che abbiamo visto con governi più recenti avrebbe senso in questo contesto.
Condivide che il tema strategico dei prossimi anni sia la nuova guerra fredda Usa-Cina? Con quali possibili effetti per l’Unione Europea?
Io mi auguro che questa guerra fredda sia scongiurata, e che — come i risultati del G20 lasciano sperare — le schermaglie attuali non sfocino in una vera e propria guerra commerciale tra Usa e Cina. Anche perché le rigidità dell’Ue, e in particolare dell’Eurozona e delle sue regole, la rendono estremamente fragile, e non in grado di resistere a una nuova recessione severa.
In cosa consistono queste rigidità?
Sono numerose: politica monetaria unica per paesi in situazioni molto diverse e divergenti, cambio unico — con una moneta che per il paese centro è sottovalutata, per molti degli altri sopravvalutata —, scarsa se non nulla possibilità di fare politiche anti-cicliche, politiche fiscali più o meno obbligate, regolamentazione bancaria anch’essa pro-ciclica, con una superfetazione di nuove norme ma senza la minima condivisione dei rischi, estrema attenzione al rischio di credito a fronte di un rischio di mercato assolutamente sottovalutato… Potrei continuare. La sintesi è: queste regole sono una ricetta per il disastro, in quanto rappresentano altrettanti vincoli alle politiche economiche e monetarie. Che in particolare in fasi non espansive dovrebbero invece essere massimamente flessibili.
Salvini e anche Siri a questo giornale hanno detto che se fosse dipeso dalla Lega, la manovra sarebbe stata basata principalmente sugli investimenti. Con il condizionale però non si fa politica. Quanto costa al governo e al paese il contratto M5s-Lega?
Anche se fosse dipeso da me. Trovo però che le due anime di questo governo in qualche modo si bilancino, consentendo la rappresentanza di una pluralità di interessi. Si tratta di un governo di coalizione, e a me sembra naturale che le cose vadano così.
C’è anche un’altra partita, prettamente politica, che Repubblica e Corriere lavorano per trasformare in crisi istituzionale: la frattura interna di M5s, in cui coesistono posizioni non solo virtualmente diverse, e quella tra M5s e Lega. Questa crisi è nelle cose oppure no?
A me in realtà sembra che il tasso di conflittualità, fisiologico in un governo di coalizione, sia abbastanza sotto controllo. Abbiamo visto cose ben peggiori. Del resto, non vedo alternative praticabili all’orizzonte.
A Berlino e a Parigi molto sta cambiando: la Merkel è al capolinea, Macron perde consensi ogni giorno di più. Che cosa significa per questa Unione Europea la fine del modello-Merkel?
Significa il venir meno di un perno che ha giocato un ruolo essenziale dalla crisi in poi. A mio giudizio più nel male che nel bene: purtroppo infatti l’oggettivo spostamento dei rapporti di forza economici verso la Germania non è stato usato a fin di bene…
Uno spostamento dei rapporti di forza basato su quali presupposti?
Robuste politiche keynesiane effettuate dal 2009, con 69 miliardi di incentivi alle imprese manifatturiere e un risanamento del sistema finanziario costato 259 miliardi di euro.
Diceva della Germania.
La Germania della Merkel ha preferito la difesa occhiuta dei propri interessi, e l’espansione della propria quota di produzione manifatturiera a scapito dei diretti concorrenti, Italia e Francia in primis. Il risultato è stato la destabilizzazione di fatto dell’Unione Europea e, cosa ancora peggiore, la perdita di fiducia dei popoli europei in un’Unione dimostratasi inadeguata a fronteggiare la crisi.
In questa Ue il surplus tedesco convive con il 20% di disoccupazione greca. Tolga la Grecia e metta al suo posto il Sud Italia. In un redde rationem economico e sociale vero (e di scelte economico-politiche ed elettorali relative) Sud e Nord avrebbero interessi completamente divergenti. L’Italia sopravviverà alla crisi dell’euro e dell’istituzione europea?
Le cose sono più articolate di così. Sia al Nord che al Sud ci sono territori che stanno resistendo in modo diverso a questa lunga crisi. Ad esempio, la Campania negli ultimi tempi sta crescendo come e più di alcune regioni del Nord. È vero però che Sud e Nord hanno accentuato in questi anni la loro divergenza. Ma questo semmai è un motivo a favore, e non contro, la fine di vincoli che rendono oggi pressoché impossibile qualsivoglia politica monetaria od economica.
(Federico Ferraù)