Tra strepiti, polemiche, proteste in piazza e in parlamento, tra un tira e molla di annunci e ripensamenti, tra un copia e incolla di misure abbozzate, scritte, riscritte, tra negoziati interni ed esterni, al governo, a Roma, a Ischia, a Genova e, naturalmente, a Bruxelles, alla fine la legge di bilancio oggi passerà con un voto di fiducia che lascia l’amaro in bocca. Molti si aspettano che domani, nel suo messaggio di fine anno, il presidente della Repubblica faccia un riferimento critico quanto meno al metodo davvero bizzarro con il quale è stata messa insieme la politica economica giallo-verde. Vedremo che cosa dirà Sergio Mattarella, il quale, stando alle indiscrezioni dei giornali, ha manifestato, sia pure nel suo modo discreto, segni di insofferenza. La questione, però, è se questa Legge di bilancio rende l’Italia più o meno forte di fronte a un evidente peggioramento dello scenario economico che il governo non aveva visto o aveva ignorato.



La tesi di fondo è che siamo in presenza di una svolta keynesiana rispetto all’ortodossia rigorista seguita dal governo Monti in poi. Dunque, deficit spending, cioè aumento della domanda interna per consumi e investimenti, finanziata in disavanzo. Cammin facendo il governo ha dovuto ridimensionare alcune scelte di fondo: ha rivisto una previsione di crescita troppo ottimista, scendendo dall’1,5 all’1% per il 2019; ha ridotto il disavanzo pubblico dal 2,4% al 2,04%, di conseguenza ha tagliato parte delle spese previste per i suoi due provvedimenti bandiera (il reddito di cittadinanza e il pensionamento a quota 100).



Cominciamo dalla domanda per consumi. Per capire l’impatto di queste misure sui redditi degli italiani bisogna sapere come verranno realizzate concretamente, in quali tempi e quanti saranno i soggetti potenzialmente interessati. Tutto ciò a oggi non è ancora chiaro. Ma ammettiamo che abbiano, come dovrebbero, un impatto positivo. Il problema è se basterà a compensare la ricaduta dei rincari fiscali sul reddito disponibile. La pressione complessiva delle imposte aumenta l’anno prossimo dal 41,9% al 42,4% del prodotto lordo, stima l’Ufficio parlamentare di bilancio, ma è difficile calcolare la traslazione degli aggravi più importanti sul reddito finale.



La Legge di bilancio prevede 12,4 miliardi in più di nuove tasse nel triennio da imputare al giro di vite su banche e assicurazioni (5,6 miliardi), sulle imprese in generale (2,4 miliardi), sul settore del gioco d’azzardo (2,1 miliardi), sui grandi gruppi dell’economia digitale (1,3 miliardi), sui consumatori (0,6 miliardi) e sugli enti del non-profit (0,4 miliardi). A fronte di questo ci sono riduzioni per 6,9 miliardi: la flat tax sulle partite Iva (-4,8 miliardi) e sul settore immobiliare, dell’edilizia e degli interventi sulla casa in generale (-1,8 miliardi) e altri interventi minori (-0,2 miliardi). Il saldo finale, dunque, è negativo per 5,5 miliardi. Non solo. Viene dato via libera agli enti locali affinché aumentino le imposte e c’è il timore che parta una vera corsa al rialzo in particolare nei comuni con i bilanci disastrati (i romani già tremano). Non è chiaro, inoltre, fino a che punto banche, assicurazioni, imprese faranno ricadere gli oneri fiscali sugli utenti e i consumatori finali.

Su tutto questo grava l’ombra minacciosa dell’Iva. La clausola di salvaguardia è stata disinnescata per il 2019, ma aumentata a 23 miliardi nel 2020 e a 28,8 miliardi nel 2021. La tagliola non scatterà, giura il governo, ma basta la sua incombente presenza a spingere famiglie e imprese alla massima prudenza nell’impiego dei loro risparmi. In conclusione, l’impatto dal lato dei consumi è un grande punto interrogativo, anche se tutto spinge a credere che l’effetto espansivo sarà modesto.

Decisamente negativa, invece, è la componente investimenti. Doveva essere il fiore all’occhiello, secondo Giovanni Tria e Giuseppe Conte, mentre Paolo Savona aveva già messo in funzione la sua calcolatrice per stimare l’effetto moltiplicatore delle infrastrutture. Alla fine della fiera, la spesa pubblica per investimenti da un aumento di 1,4 miliardi passa a una riduzione per un miliardo di euro.

Con buona pace dei neokeynesiani, la domanda interna (consumi più investimenti) non aumenterà, certo non tanto da compensare il rallentamento della domanda estera che in questi anni ha fatto da locomotiva. In più, l’impatto delle incertezze economiche e politiche sulle aspettative sarà quasi certamente negativo, come teme la Bce. Di espansione se ne vede davvero poca, mentre restano irrisolti alcuni dei peggiori nodi strutturali: debito pubblico, bassa crescita (se non proprio recessione) e fragilità del sistema bancario, un triangolo perverso che soffoca il Paese. Da maggio a oggi la borsa ha bruciato 100 miliardi di euro e buona parte della perdita grava proprio sui titoli bancari.

Nel valutare la Legge di bilancio non è meno importante la logica redistributiva che l’ha ispirata. Sul piano fiscale, sono avvantaggiate le partite Iva sotto i 100 mila euro annui, ma i lavoratori dipendenti che rappresentano i tre quarti della forza lavoro occupata sono gravati da imposte troppo alte e persino crescenti. Vengono favoriti gli anziani grazie a quota 100, senza nessuna garanzia che i posti di lavoro lasciati liberi dagli occupati vengano rimpiazzati, tanto meno dai giovani. Quanto al reddito di cittadinanza, in attesa di capire chi ne usufruirà in concreto, intuitivamente favorisce l’Italia meridionale, ma con tutta probabilità, combinato con le norme del “Decreto dignità”, finisce per irrigidire ancor più il mercato del lavoro. Dunque, non avrà un impatto anti-ciclico.

L’economia italiana non sarà più protetta, il governo non ha aperto nessun ombrello che ci ripari dalla tempesta, ha perseguito i suoi obiettivi politici, spesso ideologici, per lo più con lo spirito di smontare le riforme dei governi precedenti e con intento punitivo (si pensi alle imposte sul non-profit o sulle banche). Quanto a John Maynard Keynes, che dire? Se ci sei batti un colpo.