Dopo mille traversie, raccontate dettagliatamente dalla stampa nelle ultime settimane, la Legge di stabilità è arrivata in porto, approvata nei tempi. Gli allarmi gridati nelle ultime giornate, gli annunci apocalittici di dittatura e violenza alla Costituzione, le risse nell’emiciclo, si dissolveranno come i fumi dei fuochi di Capodanno, lasciando poco più del ricordo dei botti che li hanno preceduti. D’altra parte, l’elettore ha la memoria breve e su questa considerazione, mai così dimostrata come in questi anni, i partiti ora al Governo stanno scommettendo molto del loro futuro. Se a maggio il cittadino “medio”, quello che dichiarano essere il loro interlocutore, non avrà sentore di vivere un’esistenza peggiore (non occorre che sia migliore, basta che sia almeno stabile), è facile prevedere la riconferma della fiducia verso Lega e M5S, anche perché non esiste alcuna opposizione propositiva e un minimo interessante. Al contrario, se il miscuglio informe della legge appena approvata dimostrerà di aver perso nel caos che ne ha guidato la scrittura la concretezza delle misure più popolari, ecco allora che il filo di fiducia che ancora lega il Paese al Governo finirà con lo spezzarsi.
Il lavoro è certamente uno dei temi sui quali sarà misurata l’efficacia dell’esecutivo. Il reddito di cittadinanza partirà, in ritardo e dimezzato, ma partirà. La valutazione di questa riforma dipenderà dalla sua effettiva copertura: le tante aspettative hanno generato molta attesa, in particolare nelle zone più povere della Penisola. Qualora le risorse stanziate (7,1 miliardi nel 2019 a salire fino a 8,3 nel 2021) non permettessero un’ampia copertura, la delusione sarà proporzionale alla quantità di speranze riposte. Anche la flat tax non è quella promessa all’inizio del dibattito sulla legge di Bilancio, ma anche questa riforma sarà attiva dal 2019, determinando una tassazione al 15% per redditi autonomi fino a 65.000 euro.
I dipendenti pubblici, traditi dal blocco alle assunzioni inserito all’ultimo nell’emendamento governativo, potranno godere della “Quota 100”, la pensione anticipata che, come ha osservato la Cgil, sarà accessibile soprattutto ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni e ai dipendenti uomini del Nord Italia. Interessanti, infine, seppure secondarie, le norme sul congedo di maternità da godere, previo consenso del medico, interamente dopo il parto; i maggiori fondi stanziati per il rimborso delle spese per asilo; il bonus assunzioni destinato ai giovani e ai disoccupati del Sud Italia, ai laureati eccellenti e ai dottori di ricerca.
Non vale la pena esercitarsi nel ricercare un filo rosso progettuale che non c’è: quel che accomuna queste misure è la volontà di rispondere alle istanze di alcuni mondi giudicati di rilevante interesse elettorale. Per conseguire questo risultato i partiti di maggioranza non hanno avuto timore ad approvare soluzioni tra loro contraddittorie, ma ognuna in grado di vivere di vita comunicativa propria.
È indubbio che il Decreto dignità in vigore dal 1° novembre, nel tentativo di ricondurre verso il contratto a tempo indeterminato le nuove assunzioni, ha avuto come conseguenza la diminuzione del numero degli occupati. Parte di questi sarà altrettanto certamente reintrodotta nel mercato del lavoro mediante le partite Iva beneficiarie della nuova “imposta piatta”. Si tratterà di rapporti di lavoro che prima sarebbero stati stipulati in forma dipendente, per quanto a termine: questa nuova caratterizzazione, forzosa e contraria alle norme tuttora vigenti derivanti dal Jobs Act, determinerà contemporaneamente maggiore precarietà per la persona, minori entrate per lo Stato e più elevati rischi di contenzioso per i datori di lavoro. Allo stesso modo migreranno verso la flat tax gli autonomi che nel corso del 2018 hanno fatturato meno di 65.000 euro, ovvero la maggioranza, generando ulteriore ammanco di bilancio, quantomeno nel breve termine.
Per chi invece risulterà impossibile il ritorno alla occupazione si prefigura l’accesso al reddito di cittadinanza, solo apparentemente gravato dall’obbligo di accettazione delle proposte di lavoro che mai si realizzerà in quelle regioni nelle quali mai i Centri per l’impiego hanno proposte da sottoporre ai cittadini.
Non c’è, quindi, un filo rosso programmatico tra queste misure. Rimane soltanto la scommessa (e la speranza) che siano in grado di riattivare l’economia del Paese: se così non fosse i costi derivanti da questa Legge di stabilità diventeranno presto insostenibili e con essi anche il Governo che li ha approvati.
@EMassagli