“Dopo l’avvio della flat tax, entro febbraio vi presenteremo la proposta economica della Lega per l’Italia dei prossimi 20 anni. La detassazione riguarderà lavoratori dipendenti e famiglie per le quali stiamo lavorando al quoziente familiare”. Così Matteo Salvini ha annunciato l’iniziativa del suo partito cui ha lavorato anche Armando Siri, che in un’intervista al Sole 24 Ore ne ha evidenziato i capisaldi: un piano che partirà dall’abbassamento del primo scaglione Irpef e che in tre anni porterà alla realizzazione della flat tax, in cui troverà spazio anche il quoziente familiare. Per le coperture, “la scommessa si gioca sull’Europa”, ha detto il sottosegretario alle Infrastrutture. “A maggio potremo scegliere se avere un’Europa più vicina alle esigenze dei cittadini e quindi disponibile in casi di stagnazione e recessione come quelli che stiamo vivendo a modificare i vincoli di bilancio per consentire la ripresa, oppure confermare la situazione attuale. L’economia è ciclica e in certi momenti, come è accaduto negli Usa, si può aumentare il deficit per abbassare le imposte e finanziare gli investimenti pubblici”, ha aggiunto. Questa proposta non convince però Nicola Rossi, economista e presidente dell’Istituto Bruno Leoni, secondo cui «così non cambia niente. È un’impostazione di fondo che non porta molto lontano. Sia perché l’Europa non ce lo consentirà, sia soprattutto perché le riforme fiscali di questa importanza fatte a debito non servono a niente».
Perché?
Perché il contribuente alla fine penserà che quel che gli viene consentito di non pagare oggi gli verrà chiesto poi indietro domani. Se si vuole fare una serie riforma fiscale, che riduca la pressione fiscale, bisogna finanziarla mettendo mano alla spesa, se ne si ha la forza. Se non la si ha, meglio fare un altro mestiere.
Se si è al Governo e si vuol chiedere all’Europa di aumentare il deficit vuol dire che questa forza non c’è?
Evidentemente no. Ma soprattutto significa non aver compreso il senso di una vera riforma fiscale. Pensare di farla a debito non funziona.
Intanto la flat tax al 15% per le partite Iva con ricavi fino a 65.000 euro sembra poter essere importante per alcune categorie.
I tagli di tasse fanno sempre comodo a qualcuno. Il problema è la logica della flat tax. Così com’è stata fatta, è un esito del passato, si ripete quel che è già stato fatto in precedenza. Non c’è nessun segno di riforma fiscale nella flat tax così com’è stata immaginata ora, parliamoci chiaro.
Lo dice perché non si interviene sull’Irpef?
No, non lo dico per questo, ma perché non c’è una visione di sistema. Di fatto continua il processo che è cominciato molto tempo fa per cui piano piano si svuota l’Irpef, lasciandovi solo i lavoratori dipendenti e i pensionati, cui si riserva quel simulacro di progressività che nel sistema esiste e a cui vengono invece sottratti tutti gli altri redditi. È una cosa, ripeto, che hanno fatto da almeno 25 anni tutti i governi di tutti i colori. Non può essere spacciata per una novità.
Dunque anche se si ampliasse il tetto dei ricavi dell’attuale flat tax a 100.000 euro…
Non cambierebbe nulla. Il problema è mettere mano a un sistema fiscale che è iniquo, visto che gli unici a essere tassati in forma progressiva sono i lavoratori dipendenti e i pensionati.
Siri ha spiegato che c’è l’idea di introdurre un quoziente familiare che andrà ad assorbire le attuali tax expenditures. Questa non sarebbe una riforma in deficit.
Esistono diverse modalità tecniche per introdurre un quoziente familiare ed è del tutto comprensibile che occorra tener conto del nucleo familiare di appartenenza quando si pagano le tasse. Il punto è la modalità di finanziamento: se essa è rappresentata solo dal taglio delle tax expenditures non serve a niente, perché significa che la pressione fiscale sta rimanendo inalterata. Se si vuole fare una riforma fiscale sul serio, che riduca la pressione fiscale, bisogna altrettanto seriamente mettere mano alla spesa.
A proposito di pressione fiscale, c’è il rischio che nei prossimi anni possa crescere visto che sono state introdotte nuove clausole di salvaguardia non indifferenti.
Ho l’impressione che in realtà la pressione fiscale aumenterà già in questo 2019, prima ancora delle clausole di salvaguardia. È ovvio che se queste dovessero scattare, il problema si farà ancora più serio.
Quindi a maggior ragione bisognerebbe mettere mano alla spesa…
Di qui a settembre bisognerà trovare 23 miliardi prima di cominciare a parlare di qualunque altra misura da inserire nella Legge di bilancio. Da questo punto di vista questo Governo ha fatto esattamente quello che hanno fatto gli esecutivi precedenti: ha rinviato la palla in avanti di un anno. In maniera forse più scombinata a scriteriata, perché c’è stata tutta la polemica con la Commissione europea che ci è costata un paio di miliardi che avremmo potuto risparmiare.
Pensa che questa proposta della Lega, visto che tira in ballo anche l’Europa, sia una mossa elettorale in vista del voto di maggio?
Non lo so, presumo di sì. Visto che anche l’anno scorso era stata promessa una flat tax, una riforma fiscale vera, di cui non si è vista minimamente traccia, tutto lascia pensare che anche questa sia un’iniziativa estemporanea con un valore elettorale. Perché è evidente che se siamo già con una finanza pubblica in condizioni molto precarie e dobbiamo trovare le risorse per non far scattare le clausole di salvaguardia, l’Ue non ci consentirà di fare ulteriore deficit. Francamente mi sembra anche una mossa per poter dare la colpa a Bruxelles per la mancata riforma fiscale, anche se il responsabile è un altro: se c’è una politica italiana che non è in grado, non da oggi ma da 30 anni, di intervenire sulla spesa seriamente, la colpa non è certo dell’Ue.
(Lorenzo Torrisi)