Nell’audizione sul Def di ieri, Giovanni Tria ha spiegato che finché non si troveranno misure alternative le clausole di salvaguardia che potrebbero far aumentare l’Iva restano confermate. Il ministro dell’Economia ha anche detto che nella prossima Legge di bilancio ci sarà una riforma fiscale per alleggerire il carico sui ceti medi, nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica. Tria ha anche citato esplicitamente la flat tax. “Una riforma fiscale è una cosa serissima. Farla oggi in un Paese malato, l’unico in Europa in recessione, è un controsenso. È come prendere un malato debole e fargli un’operazione a cuore aperto senza aspettare che prima guarisca e si rimetta in forze”, ci dice Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, che proprio ieri, in un articolo su Il Sole 24 Ore, ha mostrato come la pressione fiscale sia aumentata nel nostro Paese.
Professore, partiamo proprio da questo aumento della pressione fiscale. A cosa è stato dovuto?
Prendendo i dati Istat del quarto trimestre 2018 e confrontandoli con quelli dello stesso periodo del 2017 vediamo che l’insieme di tutte le imposte e dei contributi sociali è cresciuto dell’1,8%, mentre il Pil nominale solo dell’1,2%. Cosa che ha portato il tax rate dal 48,58% al 48,84%. Un aumento simile non si vedeva dal terzo trimestre del 2014 ed è stato dovuto sia al rallentamento del Pil che a un incremento del gettito (+0,9% per le imposte dirette e +4,7% per i contributi sociali). Insieme al Sole 24 Ore abbiamo poi elaborato i dati relativi all’anno “scorrevole”, dal quarto trimestre 2017 al quarto trimestre 2018, e il tax rate risulta in aumento dello 0,1%. Il dato incorpora quindi solo due trimestri sotto il Governo Conte.
Come pensa che sarà il dato sulla pressione fiscale dopo un anno di Governo Conte?
Sarà in aumento, perché il Pil è fermo e le imposte aumenteranno come minimo dell’1-1,5%. E le prospettive per i prossimi mesi non sono certo rosee, visto che si parla di aumento dell’Iva e che ora i Comuni possono aumentare le imposte locali. Il rischio è che si possa tornare a una pressione fiscale simile a quella del periodo della crisi 2012-13, dopo che il Governo Monti aumentò le tasse per recuperare risorse utili a ridurre il deficit.
L’ipotesi che scattino le clausole di salvaguardia è effettivamente sul tappeto, come ha confermato anche Tria. Secondo l’Istat, qualora scattassero l’effetto depressivo sui consumi sarebbe dello 0,2%: possibile che incidano così poco?
L’Istat è un istituto autorevole e possiamo assumere che i suoi modelli econometrici non sbaglino. Il problema è che in un momento in cui i consumi crescono dello 0,6%, come prevede lo stesso Def, e incidono per due terzi sulla domanda aggregata, se si riducessero sarebbe poi dura arrivare a un aumento del Pil dello 0,8% come quello stimato dal Governo per il 2020. A quel punto cambierebbero anche i parametri di finanza pubblica. Con tutte le conseguenze del caso. E già ora ci troviamo in una situazione non proprio facile per i conti pubblici.
È davvero un momento così difficile?
Siamo in una fase in cui tutte le variabili del sistema devono essere attentamente guardate nel loro complesso, insieme agli effetti complessivi, anche non lineari, che producono sul sistema dell’equilibrio fiscale. Oggi siamo alle prese con delle misure, reddito di cittadinanza e Quota 100, che costano e impattano sui conti nel medio termine, poi ci sono le clausole di salvaguardia da disinnescare, i 18 miliardi di privatizzazioni da realizzare per arrivare a fine anno al 2,4% di deficit/Pil, senza dimenticare il fardello dello spread e la crescita che non c’è…
Aggiungo che, come ha spiegato Tria, nella prossima Legge di bilancio si vuole varare la flat tax. nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica…
Pensare di fare una flat tax in queste condizioni è come essere in ospedale con 7-8 fratture importanti e pretendere di partecipare a una gara di atletica. La riforma delle imposte è un’operazione che andrebbe fatta in un momento di massima crescita economica: non si può fare durante una crisi dove non si sa bene dove si finirà. Non vedo poi come si riesca a immaginare di fare tutto questo insieme a un equilibrio di finanza pubblica.
Si parla di una riduzione di deduzioni e detrazioni fiscali o di un aumento selettivo dell’Iva in modo da rimodulare l’Irpef.
Si può fare tutto nella vita, ma stiamo scegliendo il momento sbagliato per fare una riforma fiscale. Queste cose vanno pensate quando l’economia ha una sua dinamica regolare. Con la crisi economica in corso, con tutti i fronti aperti di cui abbiamo parlato prima, il rischio è quello di fare un’operazione nella quale il paziente, l’economia italiana, rimane sotto i ferri. Difficile poi toccare le detrazioni e le deduzioni fiscali sui ceti medi: sono fasce di reddito che non possono subire shock fiscali improvvisi.
Il rischio sarebbe quindi quello di fare un’operazione che poi alla fine non ridurrebbe la pressione fiscale, anzi…
Le lascio immaginare. Qui ci sono delle risorse che mancano, questo è il problema. Da qui alla fine dell’anno occorre trovare più di 40 miliardi di euro (18 di privatizzazioni e 23 di clausole di salvaguardia). Come si può pensare che con una serie di rimodulazioni fiscali si possano reperire queste risorse? Quante detrazioni dobbiamo togliere per trovarle? Poi ci sono gli esiti macroeconomici di queste operazioni tutti da immaginare. Mi sembra che manchi una visione complessiva degli effetti delle politiche economiche. Mi rifiuto però di credere che manchi anche a Tria, che infatti nelle sue dichiarazioni è prudentissimo, cerca di barcamenarsi. Il punto è che la maggioranza di governo pur di traguardare la campagna elettorale sta buttando fumo negli occhi.
E dopo le europee cosa può succedere?
Il vero rischio è che se qualcosa dovesse sfuggirci di mano, i conti non tornassero, già questo autunno potrebbero tornare le fibrillazioni sui mercati riguardo i nostri titoli di debito e a quel punto il rischio patrimoniale diventerebbe serio.
(Lorenzo Torrisi)