Martedì sera, dopo una riunione nella sua sede di Piazza della Croce Rossa (no, non è una battuta…), le Ferrovie dello Stato hanno deciso il loro piano per Alitalia, che prevede l’acquisizione completa dell’ex compagnia di bandiera in attesa di nuovi soci, tra i quali (“a ridaje!” direbbero Alberto Sordi e la mitica Sora Cesira) una compagnia aerea straniera. Nel pieno rispetto della tradizione più che ventennale (ricordiamoci gli a.d. ex Fs Cimoli e Mengozzi ) non proprio da ricordare.
Non è che la decisione abbia dissolto le spesse nebbie che circondano l’operato del Governo sulla questione, un po’ perché l’attesa convocazione delle organizzazioni sindacali per discutere sul da farsi non c’è stata, un po’ perché in questi giorni si è assistito all’ennesimo valzer di smentite su presunti interessi di molteplici società per inserirsi nell’operazione. Eni, Leonardo e Lufthansa hanno tirato i remi in barca e la telenovela continua con un remake dietro l’altro.
L’ultimo dei quali è stato l’aver rispolverato una manovra che nel 2009 causò non poche proteste e dubbi: l’anticipo dell’età pensionabile di 7 anni nel settore del trasporto aereo. D’accordo, l’esperienza precedente fu di un “accompagnamento” con una cassa integrazione speciale, che coinvolse 7mila delle 10mila persone licenziate nella memorabile operazione “Capitani coraggiosi”, fatto rimasto nella memoria e celebrato ogniqualvolta si parla del decadimento dell’imprenditoria italiana per spiegare le ragioni della nostra “eterna” crisi (ma Gianni Morandi e Claudio Baglioni non hanno niente a che vedere con il titolo del loro omonimo tour musicale) .
Insomma, si continua nell’evocare fantasmi passati e riproporre hits (tanto per rimanere nell’ambito artistico) che, se riapplicati, riproporrebbero gli errori marchiani di quasi dieci anni fa, poi ripetuti all’infinito. Davvero non si capisce come il rilancio di un’aerolinea – che quando amministrata normalmente ha dimostrato di saper funzionare (ergo, di non perdere soldi a più non posso) e che avrebbe un estremo bisogno di un piano serio di investimenti per poter macinare utili e finalmente essere funzionale all’economia di un Paese che ne ha estremamente bisogno – passi per il solito maledetto refrain del costo del lavoro. Siamo ai limiti dell’inconscio: verrebbe da chiedersi, ancora una volta di più, dove stia il cambiamento politico paventato, la “rivoluzione” che pare essere una mera restaurazione dell’ancien regime camuffata da proclami. Insomma, ancora una volta, quando si arriva al dunque scatta l’amarcord di sempre.
Eppure, lo ripeto per l’ennesima ma inutile volta, abbiamo davanti l’esempio della compagnia Aerolineas Argentinas, che potrebbe essere seguito a pie’ pari, sempre però che ci sia un piano che rappresenti non solo uno stacco totale con quelli passati, ma potrebbe essere la scossa di cui un certo mondo politico e imprenditoriale ha bisogno per smuovere l’Italia.
Evitare un altro taglio alle maestranze in un settore ad altissimo know-how tecnologico, coinvolgerle nella gestione dell’azienda attraverso una partecipazione azionaria, stringere accordi con le case costruttrici di aerei per far arrivare al più presto almeno 5 nuovi aerei di lungo raggio, investire in nuove rotte e potenziare quelle a più alto rendimento, essere strumento del rilancio italiano attraverso l’innumerevole serie di iniziative che l’immenso patrimonio che abbiamo (ma che non riusciamo mai a sfruttare) ci offre .
In altre parole, costruire una vera Alitalia che possa finalmente sostituire l’Ali-taglia che ancora pare si voglia riproporre per continuare a tirare a campare, aspettando che qualche vettore straniero, dapprima attraverso la “solita” partecipazione , possa mangiarsela, come già successo a tante realtà di un “made in Italy” che sembra avere i suoi più acerrimi nemici proprio al di qua delle Alpi.