E così eccoci a commentare un’altra puntata della telenovela Alitalia dove, secondo le dichiarazioni del vice premier Di Maio, sarebbe allo studio la realizzazione di una società nella quale, oltre alle Ferrovie dello Stato, ci sarebbero due vettori, rispettivamente lo statunitense Delta e l’inglese EasyJet, a completare la nuova AZ. Si punta a seguire l’esempio di Air France, dove lo Stato ha una partecipazione di minoranza ma detiene un ruolo decisivo nelle decisioni della compagnia, fatto che configurerebbe una novità visto che pure in un caso precedente l’italianità, pur “garantita” da privati (i “capitani coraggiosi” & C.) che detenevano il 51%, di fatto metteva il gioco nelle mani dell’emiratina Etihad, che poi si è dimostrata un partner che puntava solo a uno svuotamento e alla trasformazione di Alitalia nel proprio cavallo di Troia nel ricco mercato europeo.



Ora i vettori sono due e il gioco però, a differenza che in Francia, da noi manca della volontà di costituire un sistema Paese e quindi ritengo che, pur nelle intenzioni, la proposta sarà molto legata alla sopravvivenza di un Governo che, nella migliore delle tradizioni italiche, si regge su di un equilibrio che manderebbe fuori di testa Lorenzo il Magnifico.



Certo, non ci sarebbero tagli al personale e la cosa di per sé è una buona notizia, ma l’Alitalia attuale è pure una compagnia che deve da subito avere solo un pensiero fisso: l’aumento degli utili attraverso l’implementazione di nuove rotte con nuovi aerei intercontinentali e una strategia lowcostizzata sul medio raggio. Di certo il federaggio con Delta e EasyJet risulterebbe utile a questa mossa, ma avrebbe il limite di non poter non cozzare con le strategie di entrambi i vettori. A meno di non rappresentare una divisione di poteri tra i due e in questo modo l’italianità, seppur maggioranza, andrebbe a farsi friggere.



Non è un gioco semplice: se, come mi auguravo, fosse subentrata Boeing, la soluzione sarebbe stata più logica nelle intenzioni del progetto. Ma purtroppo pare che il costruttore americano pretenda giustamente anche uomini di sua fiducia nel direttivo, cosa per il momento non accaduta, e quindi sfumi questa possibilità. A questo punto mi torna alla mente quello che disse un famoso Ad di Alitalia, Nordio, negli anni Ottanta: “La Compagnia guadagnerebbe molto di più se affittasse le proprie rotte”. E con due vettori così radicalmente inseriti in fette di mercato ben marcate (lungo raggio e low cost), ecco che l’equazione prenderebbe forma con la prospettiva sì di nessun licenziamento, ma pure di un’eventuale ristrutturazione contrattuale al ribasso che di certo renderebbe la cosa appetibile sia a Delta che a EasyJet. E i recenti accordi contrattuali firmati da sindacati italiani con Ryanair costituirebbero un precedente estendibile a un eventuale contratto nazionale.

Un quadro quindi, nella sostanza, ben lontano da quello che potrebbe apparire un cambio funzionale a un sistema Paese. Certo è che la forma verrebbe salvata, ma il nucleo della questione si ridurrebbe a una compagnia di bandiera di facciata, senza un sostanziale imprinting che possa essere utile a un Paese che ha un estremo bisogno di muovere la propria economia su basi di un controllo indiretto delle infrastrutture da parte di uno Stato attento a rispettare un Sistema Paese con un’integrazione dei trasporti come punto irrinunciabile di uno sviluppo che al momento manca di un progetto totale. E pertanto molto influenzabile dal cliente di turno di palazzo Chigi, visto che le variabili sono facilmente cambiabili: insomma, il rischio di cambiar tutto affinché nulla cambi tanto caro a Tomasi di Lampedusa è ancora lì dietro l’angolo. Incrociamo le dita quindi…