E così, dopo un bel po’ di tempo, ecco riapparire Air France che, con Delta, ritorna a figurare tra i pretendenti di Alitalia. Se ne sentiva la mancanza in quello che ormai è più assimilabile a una fiction televisiva che a una questione molto seria per l’economia di un Paese. Nel 2008, l’allora Ad di Air France, Jean-Cyril Spinetta, abbandonando il tavolo delle trattative dopo il no dei sindacati a seguito del “miracoloso” piano “Capitani Coraggiosi” targato Berlusconi (poi rivelatosi un miracolo alla rovescia come tutti sanno), aveva predetto: “Noi ci ritiriamo anche perché in futuro acquisteremo Alitalia a un euro”.



Il rientro in campo del colosso francese, dopo un periodo di crisi importante che sta per essere risolto dal nuovo Ad canadese Benjamin Smith (ex Ad di Air Canada) è però accompagnato da un rinnovato interesse di Lufthansa: i vertici di Ferrovie, che in questo delicato momento per l’ex compagnia di bandiera svolgono la funzione di delegati a risolvere la spinosa questione (ma con la voglia di uscire dalla faccenda il più presto possibile) stanno trattando pure con i tedeschi, che però pretendono sacrifici di personale e ovviamente il controllo della compagnia.



Ma non è che con l’asse franco-americano targato SkyTeam la musica cambi… e questa è senz’altro l’ennesima dimostrazione, già verificata in altre questioni riguardanti il nostro benamato Paese, di come il Governo attuale, nonostante i proclami “rivoluzionari”, costituisca la fotocopia di quelli che l’hanno preceduto nella disastrosa Seconda Repubblica succedutasi alla Prima. Perché, come ormai ripetuto all’infinito anche sul Sussidiario, la si giri come si vuole, ma alla fine l’arco delle soluzioni che si prospettano per Alitalia segnerà inequivocabilmente l’arrivo di un vettore che, pur con il classico emiratino 49%, alla fine avrà il completo controllo della compagnia, alla faccia dei proclami sbandierati su un ritorno a un’amministrazione statale, anche parziale, come parte attiva. Cosa che può avvenire solo quando non si coinvolgano altre aerolinee nella questione, visto che Alitalia non potrà mai, lo ripeto mai, volare alto (Renzi docet) quando nelle mani di concorrenti diretti.



E di questo devono rendersene conto anche i dipendenti, illusi dalle chimere populiste di un qualcosa che sarebbe possibile (il ritorno di un vettore di riferimento completamente o a maggioranza attiva italiana anche per avere un mezzo atto a compiere la funzione di cinghia di trascinamento del settore turistico, diventato un vero architrave economico vista la situazione attuale, oltre a essere un possibile volano per l’economia nostrana), ma che non si vuole attuare.

Si potrebbe controbattere a questa tesi sostenendo che pure la Spagna, con la sua Iberia, alla fine si è “arresa” al controllo da parte di una società a maggioranza britannica e che anche l’olandese Klm alla fine ha subito la presenza maggioritaria di Air France. Ma ambedue i vettori sono entrati in queste alleanze con un potere contrattuale diverso, economicamente forti, e non con le pezze sul sedere come nel caso italiano. E questo non si deve ovviamente all’ultima gestione di Alitalia, che ha rimesso in sesto diverse cose (lasciandone però altre in sospeso) e producendo utili, ma al fatto che ormai è conosciutissimo da sempre e che si è aggravato negli anni (gestioni allegre a parte).

Un vettore, Alitalia, che ha da sempre teoricamente posseduto un traffico globale, ma che ha altrettanto cronicamente avuto una flotta largamente basata su aerei di medio raggio. Nel 1998 con l’intelligente alleanza con Klm si tentò di porre rimedio alla questione, anche introducendo una proprietà partecipata con i dipendenti che, senza la guerra dichiarata da certi sindacati, avrebbe costituito un elemento di forza e anche di riferimento per tutto il mondo del lavoro nostrano.

Certo sarebbe ora di ricominciare proprio da questo, costruendo però un diverso assetto proprietario: insisto con Boeing per la vitale questione del cambio e ammodernamento della flotta, ma se non dovesse essere possibile, far entrare nel capitale società finanziarie o banche con l’obbligo però di un management esperto nel settore, non una Armata Brancaleone di un recente passato che ha portato al miracolo di un ulteriore fallimento di un’Alitalia a deficit zero consegnatagli da uno Stato “amico”. Ma temo che ormai, e mi duole ripeterlo, il gattopardesco “cambiar tutto perché nulla cambi” sia il leitmotiv reale di una politica che in questi giorni ci sta dimostrando come la povertà possa essere eliminata per decreto. Ormai mancano solo i viaggi nel futuro, con ritorno al presente… magari con Alitalia?