Lo spread torna a far notizia. Ieri il differenziale tra Btp e Bund ha superato la soglia dei 290 punti base e secondo alcuni analisti la causa di questo rialzo è da ricercarsi nelle dichiarazioni di Matteo Salvini, che ancora ieri ha ribadito che rivedere i vincoli europei, come quello del 3% sul deficit/Pil, “non è un diritto, ma un dovere” se si vuole tornare a crescere. Parole che non trovano d’accordo Luigi Di Maio, che ha spiegato di voler far aumentare il salario degli italiani con il salario minimo, non lo spread. “L’aumento dello spread è evidentemente legato alle dichiarazioni di Salvini”, ci dice Luigi Campiglio, professore di politica economica all’Università Cattolica di Milano.
E cosa pensa di queste dichiarazioni?
Visto il momento in cui sono state formulate, mi sembra che siano più orientate al risultato elettorale che non a una prospettiva robusta di ridisegno delle regole europee. Essendo un politico navigato, credo che Salvini sapesse benissimo che si sarebbe preso la colpa del rialzo dello spread, ma ha ritenuto più importante fare quelle dichiarazioni. Le conseguenze, più che nell’immediato, forse rischiamo di pagarle, come maggiori interessi sul debito, da qui a un anno. Resta il fatto, comunque, che in Europa c’è una situazione obiettivamente troppo sbilanciata. In Germania, per esempio, c’è un robusto avanzo pubblico, ciononostante si intende procedere a una riduzione delle spese.
Ritiene sia possibile cambiare le regole europee in modo che venga favorita la crescita economica?
Continuo a ritenere che sia possibile, ma in un contesto in cui il quadro delle alleanze europee sia diverso. L’Italia non può essere da sola nel richiedere dei cambiamenti. Si possono comunque fare tante cose per stimolare la crescita, a partire dal famoso scomputo degli investimenti pubblici dal deficit e dal debito.
Secondo il premier Conte, la competizione elettorale sta creando agitazione sui mercati e per questo sale lo spread. Non si può negare che queste elezioni europee stanno creando incertezza politica in Italia…
Non vorrei sembrare più realista del re, ma dal punto di vista economico non è rilevante chi governa. La questione del rapporto debito/Pil è sì importante, ma in realtà è in secondo piano rispetto alla crescita. Dal punto di vista del contesto complessivo delle aspettative di imprese e famiglie, quello che conta davvero è se questo Paese ritornerà a crescere, anche gradualmente. Il mondo imprenditoriale ha bisogno di un orizzonte ragionevolmente lungo per fare dei piani di investimento. La situazione attuale è dal mio punto di vista rischiosa perché le elezioni potrebbero non evitare una paralisi decisionale su una politica economica favorevole alla crescita.
E a questo proposito ieri ci sono state anche dichiarazioni sull’aumento dell’Iva: per Conte sarà un’impresa evitarlo, mentre Salvini dà per scontato che non ci sarà. Anche qui l’incertezza non manca.
Di fatto siamo qui tutti quanti ad attendere il responso delle urne. È un po’ il dramma della politica per come è fatta oggi. I discorsi che si sentono in giro più che politici, nel senso migliore del termine, sono elettorali. Certo è che dopo quello che abbiamo sentito in questi mesi sarebbe assurdo vedere in una prossima finanziaria qualcuno inserire di nuovo una clausola di salvaguardia per varare un provvedimento.
Lega e M5s sembrano divisi su tanti fronti, ma appena Di Maio ha parlato di provvedimenti per le famiglie, tramite l’uso di un miliardo avanzato dalle risorse stanziate per il reddito di cittadinanza, il ministro leghista Fontana ha presentato un emendamento al decreto crescita per aumentare il bonus bebè e rendere detraibili spese per pannolini e latte in polvere. Cosa pensa di queste misure?
Sono ipotesi estemporanee. Ieri non c’erano e oggi ci sono: se questo è un quadro di stabilità per le politiche per le famiglie… Come ha ricordato, queste misure nascono perché c’è un avanzo delle risorse stanziate per il reddito di cittadinanza. E se questo avanzo non ci fosse stato? Non è questo il modo di fare politiche a sostegno della famiglia. Certo meglio questo che niente, ma così non si risponde ai problemi veri del Paese sul piano della natalità. Bisognerebbe fare qualcosa di più.
Cosa bisognerebbe fare?
Questa modalità di sostegno alle famiglie sarebbe utile se fosse quanto meno strutturale. Non vedo però nessun fondamento di stabilità tale da dare una coerenza per il futuro a chi vorrebbe mettere in piedi una famiglia. Insieme a queste misure, poi, ci vorrebbe un’economia che cresce, che offre opportunità per i giovani. La Germania negli ultimi anni ha visto tornare a crescere la fertilità e il numero di nascite in virtù di una disoccupazione che ormai è arrivata al 3%. Da noi continua a essere sopra il 10%. Questo ci obbliga a essere forzatamente maltusiani, nel senso che il peggioramento delle condizioni di vita riduce la natalità.
(Lorenzo Torrisi)