La settimana economica appena chiusa è stata contraddistinta dal riemergere dei rischi di guerre commerciali a suon di dazi. Una situazione che non aiuta i paesi europei, come Germania e Italia, le cui esportazioni danno un grosso contributo al Pil. Venerdì l’Istat ha diffuso i dati sulla produzione industriale e le vendite al dettaglio nel mese di marzo risultati in calo, dopo i rimbalzi registrati nei primi due mesi dell’anno. «Questo è il quadro di un Paese che è scivolato su un piano inclinato e sta lentamente tirandosi su. Quanta velocità e quanta lentezza esattamente c’è in questo tirarsi su non lo sappiamo, perché le variabili interne e internazionali sono tutte di difficili lettura. Tra un mese ne sapremo di più», ci spiega Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università di Torino.
Vede comunque dei segnali positivi?
Ci sono dei segnali moderatamente positivi. Mi riferisco, per esempio, alle immatricolazioni auto di aprile, che, tra la sorpresa di molti, hanno recuperato il segno positivo addirittura rispetto all’aprile 2018, che era stato un mese abbastanza buono. I segnali che vengono dalle vendite di motociclette, frigoriferi, televisori e altri beni di consumo durevoli sono moderatamente buoni. Il pericolo maggiore che vedo non è quello di una grande crisi, ma di un lento “addormentamento”, perché andremmo sì avanti, ma gli altri lo farebbero più in fretta.
In questi giorni abbiamo visto riaccendersi lo scontro tra Usa e Cina. Può avere conseguenze negative per noi?
Assolutamente sì. Questo per ragioni indirette, che però sono importanti. In particolare, una Cina che vende meno agli Stati Uniti ha meno soldi per comprare prodotti europei, compresi quelli italiani. Si tratta quindi di decisioni che avvengono al di fuori del nostro orizzonte, che non ci riguardano direttamente, ma che possono condizionarci abbastanza. La Cina non è al primo posto nelle nostre esportazioni, ma una riduzione della sua domanda ci colpirebbe in maniera sensibile, visti anche i ritmi di crescita della sua economia.
Pensa che Trump, dopo aver riaperto il fronte con la Cina, possa farlo anche con l’Europa?
Sì, il suo contenzioso con l’Europa è molto ampio. Soprattutto Trump vede l’Ue come controllata da Berlino. Per lui quindi conta la Germania e poi, in posizione anti-tedesca, cosa che nella realtà non è, la Francia.
Sbaglia quindi a considerare i francesi come avversari dei tedeschi?
I tedeschi e i francesi, da 30 anni e più, in politica economica sono sempre andati d’accordo. Dire che l’Europa è tedesca mi sembra una grossa esagerazione e pensare che i francesi si mettano contro i tedeschi certo potrebbe sempre succedere, ma finora non è mai accaduto.
La posizione di Trump verso l’Ue potrebbe essere rimessa in discussione dalle elezioni del 26 maggio?
Se la destra in Germania avesse un’affermazione superiore al 10-12% di cui è accreditata, sicuramente sì. Lui vedrebbe volentieri un’Europa con i sovranisti in posizione di forza, perché ama i confronti non multilaterali: trattando sui grandi temi con i singoli paesi ritiene di poter avere più vantaggi.
Le elezioni europee sembrano essere importanti anche per l’Italia, sia politicamente che economicamente…
In una situazione generalmente confusa, in cui le stelle fisse di una volta non ci sono più, sono tutti lì ad aspettare di capire quali sono le nuove stelle fisse, qual è la forza effettiva degli attori in campo. Questo non lo sapremo fino al 27 maggio. Penso che i prossimi mesi per l’Italia saranno in qualche modo determinati dal calendario economico che abbiamo e che finora nessuno ha preso in considerazione.
A cosa si riferisce?
Al fatto che entro il 31 dicembre va fatta la finanziaria, che serve anche a noi, nel senso che è un vincolo non europeo, ma italiano, altrimenti dal 1° gennaio non si potrebbe spendere niente di più, niente di meno, in tutti i capitoli di spesa, rispetto all’anno precedente, scatterebbe il cosiddetto esercizio provvisorio. Occorre quindi che le forze politiche, al di là del fatto che questa maggioranza vada avanti, assicurino la legge finanziaria. Ci deve essere un Governo che almeno dal 1° di settembre se ne occupi. Con tutti i vincoli che essa ha, con tutte le promesse che sono state fatte, con la decisione se aumentare o meno l’Iva.
Pensa che sarà possibile evitare l’aumento dell’Iva?
Penso che se possibile deve essere evitato, ma anche che questa decisione non è soltanto italiana e che dobbiamo rientrare in un contesto europeo in cui si parla e si contratta. Ritengo che questo sia possibile, perché i tedeschi negli ultimi mesi non hanno più attaccato l’Italia e coi francesi, dopo alcuni “fuochi d’artificio”, non abbiamo avuto screzi importanti. In questo momento pre-elettorale gli attacchi all’Italia arrivano esclusivamente dai paesi piccoli, con i bilanci in ordine, come l’Austria. Fino al 26 maggio questi attacchi proseguiranno, poi però quel che conta è quel che faranno francesi e tedeschi. Molto dipenderà quindi da come andranno le elezioni in Francia e in Germania.
Non pensa che l’economia sia rimasta in secondo piano nella campagna elettorale verso le europee?
Ho assolutamente questa impressione e credo che ciò dipenda dal fatto che è un tema scomodo per tutti, perché non c’è nessuno che vada veramente bene in Europa. Noi siamo quelli che abbiamo più difficoltà, ma anche gli altri non se la passano bene, tedeschi compresi: non è che abbiano dei tassi di crescita di qualche intensità. In questi casi bisogna allora che si arrivi a superare le incertezze. Probabilmente ci potrebbero anche essere soluzioni anti-convenzionali.
Cosa intende dire?
Non c’è nulla che vieti in assoluto – ma questo non vuol dire che pensi che si verifichi – di variare i parametri di Maastricht. Per esempio, si potrebbe portare il famoso 3% nel rapporto deficit/Pil al 3,5%. Se si facesse questo, l’Europa avrebbe una botta di crescita, che andrebbe sfruttata per tradursi in qualcosa di permanente. Questa è una via che ci consentirebbe, per esempio, di svalutare un po’ l’euro, cosa utile per l’export e se gli americani mettono dei dazi. Resta il fatto che siamo in un mondo molto incerto, in cui è inutile pensare che gli economisti sappiano qualcosa più degli altri. Gli economisti hanno conoscenze su un settore preciso, che una volta bastavano perché gli altri settori erano quasi fermi, cioè le stelle fisse erano le stesse da 30-40 anni. Adesso non è più così, le stelle fisse hanno cominciato a muoversi.
(Lorenzo Torrisi)