La data delle elezioni europee si avvicina inesorabile e come da copione riappaiono le discussioni sui numeri magici di deficit e Pil. Numeri che diventano materia per una discussione surreale su questioni che non trovano spazio in nessun continente che non sia l’Unione europea con tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti. Ogni italiano che abbia sfogliato mezzo giornale parla di deficit su Pil come dei giocatori da convocare alla nazionale e tutti hanno in mente la mitica soglia del 3% o vi sapranno dire a che punto è, più o meno, il debito su Pil. Fuori dall’Europa questa è una discussione che non è mai tema di dibattito pubblico e quando lo è, tra esperti, con una prospettiva diversissima da quella europea.
I numeri magici dell’Unione europea, come vi dirà qualsiasi europeista minimamente serio, sono frutto di un’altra epoca storica e oggi sono ampiamente sorpassati dagli eventi. In particolare, da due recessioni nel giro da dieci anni, quella dopo l’11 settembre e quella dopo il fallimento di Lehman Brothers, con il bonus solo e solamente europeo della crisi dei debiti sovrani arrivata per il rispetto ottuso di parametri che in altre fasi, quando per esempio conveniva a Francia e Germania e il presidente della Commissione europea si chiamava Romano Prodi, sono stati ignorati anche per lunghi periodi. Eppure il dibattito in Europa e in particolare nei Paesi colonia continua su questi binari surreali in una fase di guerra commerciale e forse molto peggio.
L’Europa è fuori dalla mappa che conta quando si leggono le classifiche sui maggiori progetti infrastrutturali del globo, fuori dalla mappa che conta quando si parla di settori alla frontiera tecnologica e fuori dalla mappa che conta anche quando si parla di formazione di altissimo livello. Però guardiamo tutti dall’alto in basso, dall’alto dei nostri numeri magici su deficit e Pil. Così non ci accorgiamo che la guerra commerciale contro la Cina colpirà almeno altrettanto duramente l’Europa dato che la crescita tedesca, per esempio, è dieci anni che viaggia al ritmo di quella cinese. Ma di queste cose è meglio non parlare.
Parliamo invece di deficit in modo stupido a meno di dieci anni da una crisi come quella del 2012. L’ossessione imposta per il rispetto di certi parametri e per la riduzione del debito in una fase di recessione, quella post Lehman, ha non solo distrutto l’economia e la società, ma ha prodotto il maggior peggioramento del debito su Pil degli ultimi decenni. Non solo, le radici del successo dei “populismi” di oggi e, soprattutto, della loro eccezionale forza in Italia sono chiaramente il frutto della crisi da austerity del 2012 imposta sotto la dettatura dell’Ue e delle sue regole ed eseguita in modo peggio che dilettantesco dai governanti di allora.
Quei numeri fuori da un contesto non significano nulla. Non esiste un debito che sia assolutamente negativo o assolutamente positivo e lo capisce chiunque abbia fatto un mutuo. Per quanto grande non preoccupa se c’è uno stipendio e magari un po’ di risparmi, mentre anche il debito per una televisione nuova diventa una tragedia se si perde il posto di lavoro. Calato nella “contabilità nazionale”, questo significa che un debito maggiore potrebbe fare parte di una situazione economico-finanziaria italiana più salutare se l’economia stesse molto meglio o crescesse a tassi molto più robusti, mentre un debito minore potrebbe tranquillamente essere molto peggiore se il sottostante economico, la garanzia ultima, fosse in condizioni molto precarie.
Ovviamente i “mercati” questo lo capiscono perfettamente, esattamente come capiscono benissimo cosa significhi avere un rapporto “conflittuale” con la propria banca centrale. Però continuiamo pure a parlare di questi numeri concentrandoci sugli alberi e non sulla foresta di un’economia in pesante difficoltà in un continente che dovrebbe essere concentrato su una profonda riforma del suo modello economico. Non per favorire qualche fannullone mediterraneo, ma perché ne va del suo futuro come blocco economico- politico indipendente. Continuiamo pure a dire che l’importante è non superare il 3% e far calare, da subito anzi meglio da ieri, il debito su Pil nonostante tutto e tutti; nonostante una disoccupazione giovanile altissima, dati sull’emigrazione tragici, un conflitto Usa-Cina che fa paura con il condimento di tensioni geopolitiche appena fuori dai confini europei: Russia, Turchia e Libia solo per fare tre nomi. D’altronde questo mantra ha fatto la fortuna non solo dell’Italia, ma di tutta l’Europa con il suo modello che in questa fase appare davvero molto fragile geopoliticamente.