Stiamo assistendo in questi giorni, a uno stillicidio, da parte di tutti – media, istituti di statistica economica e fiscale, esperti finanziari e chi più ne ha più ne metta… – con l’intento di tentare di stabilire se la “flat tax”, fortemente desiderata e proposta da una parte dell’Esecutivo (Salvini e i ministri della Lega), la cui attuazione legislativa appare molto contrastata da quasi tutti (Di Maio in testa), possa essere una soluzione utile a creare in Italia un’equa giustizia fiscale, ma soprattutto in modo definitivo una stabilità nel sistema delle entrate erariali. Insomma, se non si interviene in fretta, si rischia l’inizio di un sempre più possibile “default”, che tradotto si legge “in un’incapacità patrimoniale di un sistema economico, in questo caso lo Stato, di soddisfare le proprie obbligazioni”. Tale situazione è reale ed è più che uno spauracchio che ci appare sempre più chiaro all’orizzonte. Così, ci sembra opportuno, dare il nostro piccolo contributo a una riflessione sul tema.
Partiamo, nella nostra disamina, a commentare un’elaborazione effettuata da Itinerari Previdenziali, e pubblicata su L’Economia, inserto del Corriere della Sera, che giudica e analizza dati del ministero dell’Economia e dell’Agenzia delle Entrate, per tentare di stabilire se introduzione della flat tax, quindi un sistema di tassazione univoco riducendo magari le aliquote, aumentando le agevolazioni o la no tax area, possa porre rimedio al pressante problema sul tavolo, inerente le sorti finanziarie italiche: nell’analisi i numeri però non tornano.
Lo studio, parte da un primo dato, cioè “che il 49,29% degli italiani non ha reddito e quindi non paga nulla di Irpef e quindi non è gravato di nulla: così facendo, circa 19 milioni pagano solo il 2,62% di tutta l’Irpef e altri 9 milioni, considerando anche le detrazioni, pagano in media circa 157,9 euro l’anno e, di conseguenza, si suppone anche pochissimi contributi sociali, e quindi con molte probabilità saranno dei futuri pensionati assistiti dalla collettività”. Il secondo dato è che a pioggia poi i contribuenti di fascia superiore “pagano un’imposta media annua di 1.979 euro, che si riduce a 1.348 euro se rapportata agli abitanti; anche questa fascia di reddito paga un’Irpef insufficiente per coprire il costo pro capite della sola spesa sanitaria”; in questo si osserva che “1.979 euro di Irpef potranno sembrare tanti, ma se la politica facesse ragionare la gente anziché dire che le tasse sono troppo alte, farebbe comprendere che una gran parte degli italiani sono già oggi ‘a carico’ di altri concittadini”.
Poi c’è, per esempio, la spesa sanitaria nazionale che costa pro-capite circa 1.878,16 euro e partendo da questo presupposto, i primi 2 scaglioni di reddito, considerando la differenza tra l’Irpef media versata e il solo costo della sanità, risultano a carico degli altri contribuenti. A questo punto pare che “per lo meno quasi la metà della popolazione italiana non può certo lamentarsi per le imposte in quanto non le paga proprio; a questi possiamo aggiungere quel 14% che paga imposte insufficienti per pagarsi la sola sanità. Ma allora questo aggravio di Irpef del 58% tanto bandito, chi lo paga?”. Secondo quanto dimostrato nell’elaborazione effettuata da Itinerari Previdenziali, il gettito, che è pari a circa 164 miliardi di euro, è “a carico del 12,28% di contribuenti, poco più di 5 milioni di soggetti che dichiarano redditi da 35 mila euro in su e che pagano ben il 57,88% contro il 2,62% pagato dal 45,19% di dichiaranti”; si afferma altresì che oltre a questo maltrattamento fiscale, i “ricchi” ai quali Luigi Di Maio non vuole concedere la flat tax, devono subire anche il taglio delle pensioni.
Ma quali sono secondo lo studio citato, le possibili soluzioni. Essenzialmente una, “bisognerebbe immaginare una politica fiscale che incentivi l’emersione attraverso il contrasto di interessi tra chi compra la prestazione e chi la fornisce. Per esempio, in via sperimentale, per un triennio, si potrebbe consentire di dedurre ogni anno almeno il 50% di tutte le spese sostenute dalle famiglie, Iva compresa, per lavori di casa, meccanici, assistenti familiari e altro. Questo ‘contrasto di interessi’ può garantire, a differenza delle forme di tassazione che non prevedono la possibilità di deduzioni e detrazione e che incentivano a non chiedere scontrini e fatture, tanto non servono poiché indeducibili, addirittura un aumento del gettito, favorendo al contempo la famiglia che beneficia di una deduzione importante (pari a una 14° mensilità) mentre l’enorme schiera di evasori o elusori dovrà pagare tasse e contributi con grave sollievo di artigiani e lavoratori autonomi onesti e che pagano le tasse”.
Come al solito sul problema Fisco ognuno afferma la sua verità, a favore o contro: ci sembra che tutti vogliano portare, come si suol dire, “l’acqua al proprio mulino”, è un bel guazzabuglio… per non dire peggio; c’è, c’è stata e ci sarà sempre una strenua lotta “intestina” contro lo Stato di protezione d’interessi e di privilegi, fra le varie categorie di contribuenti per pagare meno tasse, per farle pagare “all’altro” o per non pagarle per niente.
Sulla giustizia fiscale e specificatamente sulla flat tax, ci siamo espressi in precedenti articoli. Riaffermiamo che a nostro modestissimo parere la tanto travagliata nascita (se mai verrà alla luce…) della “tassa piatta” dipende dalla scelta di un’aliquota unica che possa attestarsi nel limite del 24% senza toccare le detrazioni e le deduzioni e le esenzioni cui il contribuente ha diritto. Sarà utile poi sopprimere alcuni tributi come Irap e Imu per semplificare e oltre a ciò giustificare il “gap” percentuale della pressione fiscale uguale per tutti. Oltretutto si possono discutere e affiancare soluzioni che permettano al Fisco di recuperare il gettito per permettere al nostro Paese di vivere. Crediamo inoltre che un’ottima spinta al recupero di denaro fresco, come segnalato da Itinerari Previdenziali, sia la possibilità di dedurre, come nel sistema amministrativo finanziario americano, ogni tipo di spesa importante (sanità, assistenza, acquisti rilevanti, ecc.) al fine di non permettere l’evasione e l’elusione fiscale dei vari fornitori di beni e di servizi, con la mancata emissione di fatture e scontrini con una conseguenza favorevole di più entrate tributarie per le finanze nostrane.
Tutto può contribuire a una nuova concezione di “Fisco giusto” sia da parte nostra (contribuenti onesti), che comunque dobbiamo imparare a pagare le tasse per permettere al Tesoro di fornici tutti i servizi necessari per una degna sopravvivenza primaria e economica, sia per le casse erariali che devono adottare in modo organico e definitivo un sistema equo per finanziarsi, ad esempio considerando la sorte dei nostri pensionati, nel baratro della povertà, che vivono il sopruso della disparità di trattamento economico. In aggiunta occorre debellare la piaga degli sprechi di denari perpetrati da sempre, lottando contro corruzione (inusitato sistema in via di sviluppo) ed evasione, che riteniamo il 70% delle cause di un disastro forse sempre più impellente (noi speriamo di no!).
Concludendo, consentiteci almeno di pensare e magari produrre “una lotta dura senza paura”, come si diceva una volta nelle manifestazioni di piazza, che ha il significato della necessità di rimboccarsi le maniche e continuare a sperare.