Se avessimo un euro per ogni volta che è uscito un articolo che parlava di un possibile “matrimonio” di Fca, saremmo milionari. Eppure ne state leggendo un altro. Questa volta per colpa del Financial Times, che nel giro di una settimana ha dato alle stampe due grandi scoop. Il primo narra di un interessamento di Renault che dopo aver portato a termine un merger con la partecipata Nissan, tra circa dodici mesi, vorrebbe dare l’assalto al Lingotto. Il secondo a opera della corrispondente da Milano, che tra una lode e l’altra al presidente John Elkann, definito “baluardo della dinastia Fiat” e “il perfetto modello di un moderno industriale globale”, mette nero su bianco la volontà degli eredi Agnelli di non lasciare il settore automotive e parla di un futuro fatto di accordi con i competitor per condividere spese e risultati di ricerca e sviluppo, fusione o unione con un grande gruppo tecnologico.
Cosa c’è di vero? Tutto. Come erano vere le proposte di Hyundai che aveva messo sul piatto una ventina di miliardi. Come erano veri gli abboccamenti con il Gruppo Volkswagen che sono arrivati almeno due volte nel corso degli anni passati a un passo dalla firma, sventata solo da un intervento dei sindacati tedeschi che siedono nel Consiglio di sorveglianza di Wolfsburg. Veri i colloqui con alcune case automobilistiche cinesi, Geely in testa, ma anche Great Wall. Vero è l’interesse del gruppo Peugeot-Citroen, che lo ha fatto capire in tutti modi possibili. Veri i colloqui segreti con la famiglia Tata che controlla Jaguar Land Rover, con Bmw controllata dalla famiglia Quandt, con Mercedes, con Suzuki e anche con Madza. Mai emersi, ma molto probabili, anche i sondaggi verso Toyota.
Sergio Marchionne diceva che era suo dovere parlare con tutti ed esplorare ogni possibilità di aumentare il business, ma quello che sta facendo John Elkann è un passo avanti: “il perfetto modello di un moderno industriale globale” sta facendo il giro delle sette chiese per riuscire a trovare una soluzione che permetta di dare un futuro a se stesso, alla propria famiglia (allargata) e a un’azienda che non ha, nonostante tutte le rassicurazioni del Ceo Mike Manley, nessuna possibilità di competere in un settore che ha bisogno di cospicui investimenti e di dimensioni gigantesche per ripartire i costi.
La faccenda non è facile. Fca non è contendibile dato che Exor, pur avendo poco meno del 30% delle quote della casa automobilistica, ha circa il 45% dei voti in assemblea perché il diritto olandese premia così gli azionisti storici e più fedeli. Un’Opa ostile è difficile se non impossibile, altrimenti qualcuno l’avrebbe già lanciata. Il pallino ce l’ha in mano Elkann, che non sembra avere le idee chiarissime, anche se le opzioni sul tavolo sono sostanzialmente solo due con una serie di corollari: la vendita dell’azienda, tutta intera o a pezzi, oppure la fusione con il rischio di avere capitali immobilizzati e di contare poco o nulla nelle decisioni.
Gli accordi più o meno importanti, capaci di portare anche dei risparmi, in fondo lasciano il tempo che trovano e sono solo dei palliativi.