Doveva essere la sua ultima l’assemblea di Fca, quella del “cambio della guardia”, nella quale Sergio Marchionne avrebbe svelato il nome e passato il testimone al nuovo amministratore delegato. Chissà se il nome che aveva scelto era quello dell’attuale ceo Mike Manley. Chissà come avrebbe commentato i numeri. E, soprattutto, chissà se avrebbe definito “entusiasmante” la “nuova era” che hanno di fronte le case automobilistiche in tutto il mondo.



Alla prima domanda si deve rispondere: molto probabilmente. Manley ha gestito con bravura Jeep, la gallina dalle uova d’oro del Gruppo, ha mantenuto il dna del marchio, ha allargato la commercializzazione nel mondo e lo ha fatto senza infierire sui margini. Alla seconda domanda non siamo in grado di rispondere perché Marchionne ci aveva abituato a tali colpi di scena nei momenti topici della vita aziendale del Gruppo che non ci permettiamo neanche di immaginare le sue possibili dichiarazioni. Sulla terza domanda purtroppo non abbiamo, invece, dubbi: non avrebbe mai definito in termini elogiativi i prossimi anni del settore. Li avrebbe, forse, definiti “difficili”, “complicati”. O tutto al più “folli”, “imprevedibili”.



Marchionne non era il numero uno al mondo sul prodotto automotive, ma i conti li sapeva fare molto bene. E li aveva già fatti da anni. Con il risultato di stabilire che Fca non sarebbe stata in grado di andare avanti da sola vendendo qualcosa di più di 4 milioni di auto all’anno. Da questi numeri è nata la sua ricerca, a volte fin troppo affannosa e scomposta, di un partner. E da questo ragionamento, qualcuno dice, era nata anche l’idea di lasciare lo scettro di comando, visto che con lui di mezzo era difficile portare avanti una trattativa con qualsiasi altro competitor.
Fin qui il passato. Per carità, recente, ma sempre passato. Oggi la situazione narrata in assemblea, la sua prima da protagonista assoluto, dal presidente di Fca John Elkann è questa: «Siamo pronti a giocare il nostro ruolo in questa nuova ed entusiasmante era dell’industria dell’auto. Come in passato, siamo preparati a prendere decisioni e ad agire con coraggio e creatività, per costruire un futuro solido e ricco di opportunità per Fca».



D’accordo, nelle assemblee non si dice quasi nulla, tranne in rare eccezioni che riguardano solo personaggi eccezionali, e a volte si dicono cose che non si pensano davvero, ma queste sono rassicurazioni troppo generiche per essere prese seriamente in considerazione. Forse per questo Elkann ha aggiunto: «Mai stati così in salute. Nonostante la seconda parte del 2018, con le difficoltà dovute alla guerra commerciale che si sono protratte nel 2019, prevediamo un significativo miglioramento nel secondo semestre». Bene, ma ci sarebbe piaciuto almeno un commento sui conti fatti da Jato Dynamics, un’autorità nel settore automotive, che quantificano in 34 miliardi di euro le multe che verranno comminate ai produttori auto in Europa per il mancato rispetto dei limiti nel 2021, o sui dati messi nero su bianco da Ubs, la banca svizzera, che ha quantificato nel 20% la riduzione dei margini Fca provocati dalle sanzioni europee. Oppure sapere qualcosa di più sull’accordo (concluso o in discussione?) con Tesla che certamente farà pagare carissimo l’opportunità di bilanciare le proprie zero emissioni con quelle della gamma Fca.

Comunque, che l’azienda italo-americana sia al centro di innumerevoli colloqui con concorrenti e aziende di altri settori è, ormai, un dato di fatto incontrovertibile, almeno quanto la confusione che una ridda di notizie, a volte fatte girare ad arte, generano nella testa degli addetti ai lavori e dei semplici spettatori. Non ci resta che aspettare uno di questi due lieti eventi: il miracolo di un’azienda che, moderno Davide tra i Golia, sbaraglia (o almeno combatte alla pari) con gli avversari nonostante la sua evidente inferiorità finanziaria o l’arrivo di un partner che prenda per mano Fca, o i suoi pezzi migliori, e li faccia entrare nel futuro a testa alta. Aspettiamo fiduciosi.